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CANCELLATO IL PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA

Tratto da: Adista Documenti n° 71 del 27/06/2009

Per comprendere in tutta la sua enorme gravità e inciviltà i provvedimenti dell’attuale governo in materia di immigrazione, penso sia utile riflettere sulla contraddizione profonda che tale legislazione presenta con l’intera tradizione liberale, consegnataci dalla Rivoluzione Francese e ancor prima dai classici del liberalismo.

 

L’abbandono della tradizione liberale

C’è un grande rimosso nella cultura politica odierna: il fatto che il diritto ad emigrare, lo ius migrandi, sia stato il primo diritto naturale teorizzato dalla tradizione liberale. È stato un grande internazionalista, il gesuita Francisco De Vitoria, a teorizzare nel ‘500 il diritto ad emigrare come diritto universale. Ancor prima del diritto alla vita di Hobbes, ancor prima dei diritti di libertà di Locke, il diritto ad emigrare è stato teorizzato come un diritto che spetta a tutti gli esseri umani in quanto persone. La ragione di questa teorizzazione era una ragione di comodo: si trattava di legittimare la conquista del Nuovo Mondo da parte degli spagnoli. E allora conveniva abbandonare i vecchi titoli dell’occupazio-ne della res nullius per elaborare una grande teoria cosmopolitica basata sulla fratellanza universale, in base a cui ognuno ha il diritto di andare in qualunque punto del pianeta e, qualora incontri resistenza, a reagire con la forza - vim vi repellere licet -, con lo ius ad bellum. E questo diritto è rimasto per cinque secoli alla base del diritto internazionale, legittimando cinque secoli di conquiste, colonizzazioni, rapine, sfruttamenti del Nuovo Mondo - nuovo per noi - da parte del-l’Occidente. Tutta la tradizione liberale ha teorizzato questo diritto. John Locke ha addirittura fondato sul diritto di emigrare la legittimità del capitalismo.

Qual era il ragionamento di Locke? La proprietà è il frutto del lavoro e il lavoro è conseguente unicamente alla volontà di lavorare: non esiste il problema della disoccupazione, perché, diceva Locke, ci sono sempre le terre incolte d’America nelle quali emigrare e in cui procurarsi da vi-vere con il proprio lavoro.

Il diritto ad emigrare è stato teorizzato ancora da Immanuel Kant e compare anche nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, all’articolo 13, come pure nell’art. 35 della Costituzione italiana.

Ho voluto ricordare questo grande rimosso perché, se non altro, tale legislazione dovrebbe essere accompagnata dalla cattiva coscienza della sua illegittimità. Al contrario, nel senso comune, nel senso comune avvelenato dalle campagne sulla sicurezza, dalle campagne razziste, si confonde proprietà e sovranità: "questa è la nostra terra" e "abbiamo il diritto di respingere chi non ci aggrada, chi non è nato in questo territorio".

 

Asimmetria rovesciata

Oggi l’asimmetria sulla quale si è fondato il diritto di emigrare si è rovesciata. Gli emigranti sono persone che provengono da quegli stessi Paesi nei quali l’Occidente è emigrato con le sue colonizzazioni. E oggi il diritto di migrare si è trasformato in delitto, in reato, in illecito. Così, ora che si trattava di prendere sul serio quell’universalità in forza della quale quel diritto spetta a tutti - 500 anni fa non erano certo gli indigeni d’America a venire in Italia o in Inghilterra -, si è viceversa sviluppata una legislazione contro l’immigrazione in contrasto con la nostra tradizione liberale - sottolineo il termine liberale: è un banale diritto di libertà - e con le norme del diritto internazionale in cui quella tradizione si è conservata.

Ancora nel ‘48 l’emigrazione avveniva in maniera legale. Tutta la classe operaia di tutti i Paesi è il frutto di diverse ondate di immigrazione: la classe operaia inglese descritta da Engels, la classe operaia americana formata da immigrati italiani, irlandesi e di altri Paesi europei, la classe operaia italiana formata da gente del Sud. E le diverse generazioni di immigrati sono state sempre discriminate e vessate socialmente ma mai giuridicamente. Oggi a quella discriminazione sociale si aggiunge una discriminazione giuridica, un’inferiorità giuridica in contraddizione con le stesse norme, con gli stessi principi, con gli stessi diritti fondamentali stabiliti in tutte le Carte costituzionali.

Ma oggi la legislazione dell’attuale maggioranza compie un ulteriore salto di qualità: non è più semplicemente una legislazione anti-immigrazione, ma diventa una legislazione che criminalizza gli immigrati, che ne fa persone illegali e quindi discriminate in forza della loro identità. Non dimentichiamoci che noi abbiamo conosciuto le leggi razziali: queste sono le nuove leggi razziali perché la loro logica è uguale a quella delle leggi del ’38, in quanto discriminano e penalizzano delle persone unicamente a causa della loro identità. Già con il decreto-legge sull’immigrazione non siamo più uguali di fronte alla legge, in quanto la condizione di immigrato clandestino costituisce un’aggravante e comporta l’impossibilità di applicare le attenuanti generiche sulla semplice base della mancanza di precedenti penali. L’art. 5 di quel decreto prevede per chiunque a titolo oneroso dia alloggio ad un immigrato clandestino una pena elevata e anche la confisca dell’immobile, con il risultato che queste persone sono destinate a dormire sotto i ponti, compresi i regolari, dal momento che i permessi di soggiorno hanno durata inferiore a quella dei contratti di locazione. Ma oggi, con questo disegno di legge, viene pure introdotto il reato di immigrazione, che è in contrasto con il principio di uguaglianza, con il principio di legalità - per cui si può essere puniti per un fatto non per una condizione personale - e con il principio di offensività: dov’è il carattere offensivo di questa situazione di debolezza analoga alla povertà o alla mendicità?

E ancora: viene introdotto il divieto di matrimoni misti - possibili solo se lo straniero o la straniera hanno un permesso regolare -; sono posti degli ostacoli alle rimesse degli emigranti; gli immigrati vengono obbligati a sottoscrivere accordi di integrazione, in contrasto evidentemente con la libertà di coscienza. Viene infine previsto il divieto, e questa è la norma più odiosa, di iscrivere i figli all’ana-grafe, con la conseguenza che, non potendo essere riconosciuti, essi potranno essere sottratti alle madri e dati in adozione. E lo stesso reato di immigrazione potrà comportare, malgrado l’eliminazione della norma sui medici e sui presidi, il rischio che qualunque pubblico ufficiale, non particolarmente coraggioso, denunci un immigrato clandestino per non incorrere in incriminazioni per favoreggiamento o per omissione d’atti d’ufficio.

 

Leggi razziste

Siamo di fronte ad una violazione del principio di u-guaglianza in materia penale che contraddice il fondamento stesso di qualsiasi diritto penale liberale, in forza del quale si può essere puniti per quel che si è fatto e non per quel che si è.

Qui si punisce un’identità, un’identità etnica: per questo dobbiamo avere il coraggio di denunciare la natura razzista di questa legislazione, che peraltro non è ancora sufficiente a soddisfare le pulsioni razziste del ceto politico.

Vorrei parlare sommariamente dei respingimenti. Questi respingimenti - nel corso dei quali una giovane donna incinta è morta e centinaia di persone non si sa dove siano andate a finire - sono illegali, perché sono in contrasto con il diritto d’asilo. Le navi in cui queste persone sono state fatte salire sono navi italiane, territorio italiano, e sul territorio italiano è indispensabile accertare i presupposti del diritto d’asilo. È stato violato l’art. 13 sull’habeas corpus, sulla libertà personale, perché si è trattato di accompagnamenti coattivi, al limite del sequestro di persona. È stata violata perfino la legge Bossi-Fini, che esclude i respingimenti collettivi consentendo solo quelli individuali e anzi esclude espressamente l’espulsione di donne incinte, di minorenni e, ovviamente, dei richiedenti asilo. È stata violata la Dichiarazione universale dei diritti umani e il Protocollo 4 della Convenzione europea dei diritti umani, che pure vieta le espulsioni: non a caso vi sono state le reazioni della Commissione europea e dell’Onu, oltre che del Vaticano. Abbiamo assistito, insomma, ad un crimine enorme, che si è svolto sotto gli occhi di tutti e che, soprattutto, è stato legittimato di fronte alla pubblica opinione con dichiarazioni false, come se si fosse scoperto un nuovo sistema per fronteggiare il problema dell’immigrazione.

Ecco, questo tipo di campagna che fa leva sulla paura, che costruisce l’identità dell’immigrato come pericoloso delinquente, è il veleno razzista iniettato nella società. Questo tipo di leggi non solo legittima ma asseconda le pulsioni razziste. Se è una legge dello Stato a stabilire l’illegalità delle persone, questo veleno consentirà uno sviluppo senza freni del razzismo.

Concludo con una citazione di Foucault che trovo molto efficace: "Il razzismo non è la causa delle oppressioni, delle discriminazioni, delle vessazioni, il razzismo è l’effetto delle vessazioni". Possiamo tollerare, dice Foucault, che migliaia di persone vengono respinte alle frontiere dei nostri paradisi democratici, possiamo tollerare che milioni di persone muoiano ogni anno per mancanza di farmaci essenziali e di alimenti, possiamo tollerare questa carneficina quotidiana che provoca milioni di morti ogni anno in quanto consideriamo queste persone come non-persone. Il razzismo è ciò che consente di tollerare che vengano messe a morte milioni di persone, che vengano respinte alle nostre frontiere. Credo che la cosa più grave di questa legislazione - per quanto sia difficile dire quale sia il suo aspetto più grave - è minare le basi stesse della nostra democrazia: non soltanto il principio di legalità e di offensività, ma, prima di tutto, quello del-l’uguaglianza e della dignità di tutti gli esseri umani. Queste leggi, il dibattito che le ha precedute, il successo elettorale realizzato sull’onda della paura, dell’odio, del disprezzo per i deboli e per i diversi, hanno già guastato le radici della nostra democrazia. Non so se sarà facile uscirne: certamente stiamo minando in maniera sempre più grave i fondamenti della nostra democrazia e di una convivenza pacifica.

 

 

 

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