Nessun articolo nel carrello

I COMPITI DELLA CHIESA NEL XXI SECOLO

Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 22/05/2010

(...) 1. Tornare a Cristo, norma fondante e fondamentale della Chiesa

Non c’è riforma possibile nella Chiesa se non tornando a Gesù. Per discernere abusi o infedeltà nella Chiesa non abbiamo altro criterio che il Vangelo. Molte delle tradizioni stabilite nella Chiesa possono condurla a una vera prigionia.

Se la Chiesa intende seguire Gesù, non deve far altro che continuare a raccontare al mondo cosa è avvenuto, riferendo quello che è stato il suo insegnamento e la sua vita. Gesù ha proclamato il suo programma - il Regno di Dio - e i grandi di questo mondo (impero e sinagoga) lo hanno perseguitato ed ucciso. La sua condanna a morire in croce fuori dalla città, come un rifiuto umano, è la massima dimostrazione della sua incompatibilità con i signori di questo mondo. Massacrato dal potere, è il servo sofferente, immagine di altri innumerevoli servi, sconfitti da quelli che governano e che si fanno chiamare signori, ma sostenuto e resuscitato da Dio stesso.

 

2. Tornare a una Chiesa serva e annunciatrice del Regno

“La Chiesa riceve la missione di annunciare il regno di Cristo e di Dio e di instaurarlo in tutti i popoli” (Lg, 5). La Chiesa, se ha una responsabilità, è quella di rendere manifesto quello che ha fatto Gesù. La Chiesa non è mai fine a se stessa. La salvezza viene da Gesù, non dalla Chiesa. Essa non ha mai avuto altro Signore.

La vocazione della Chiesa, a somiglianza di Gesù, è quella di annunciare il Regno di Dio. Lo stesso Cristo non ha annunciato né ha predicato se stesso, ma il Regno. La Chiesa, discepola e seguace, deve fare lo stesso. La sua vocazione è servire, non dominare: “Serva dell’umanità”, la chiamava Paolo VI. Questo servizio lo svolge vivendo nel mondo, sentendosi parte del mondo e in solidarietà con esso, poiché “il mondo è l’unico tema a cui Dio si interessa”.

Da qui il compito di aiutare, in umile accompagnamento, a rendere la vita intellegibile e degna, facendo di essa una comunità di eguali, senza caste né classi, senza ricchi né mendicanti, senza imposizioni né anatemi e senza ricette di morale sessuale. (...).

Troppe volte la Chiesa dà l’impressione di avere certezze in abbondanza ma di mancare di dubbi, di libertà, di dissenso e di dialogo. Mai più, dunque, scomuniche del mondo o ricerca di soluzioni ai propri problemi mediante un ritorno all’oscurantismo anziché al messaggio di Gesù.

 

3. Tornare a una Chiesa democratica e democratizzatrice che traduca in realtà l’uguaglianza

Nel Popolo di Dio “comune è la dignità dei membri per la loro rigenerazione in Cristo, comune la grazia di adozione filiale, comune la vocazione alla perfezione; non c'è che una sola salvezza, una sola speranza e una carità senza divisioni. Nessuna ineguaglianza quindi in Cristo e nella Chiesa per riguardo alla stirpe o nazione, alla condizione sociale o al sesso, poiché ‘non c'è né Giudeo né Gentile, non c'è né schiavo né libero, non c'è né uomo né donna: tutti voi siete uno in Cristo Gesù’ (Gal 3,28 gr.; cfr. Col 3,11)” (Lg, 32). “Vige fra tutti una vera uguaglianza riguardo alla dignità e all'azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il corpo di Cristo” (Lg, 32).

La democratizzazione della Chiesa è una questione vitale affinché essa possa acquisire credibilità nella società attuale. Ma questa democratizzazione non è possibile senza realizzare un’autentica convivenza tra fratelli ed eguali. E questo obiettivo non si raggiunge certamente per i sentieri di un sacerdozio presbiterale superiore, privilegiato ed escludente, con concentrazione assoluta di potere al vertice, poi delegato agli altri gradi della gerarchia.

Per intraprendere questo cammino bisogna partire dalla vita di Gesù, il quale, da laico, produsse una trasformazione del sacerdozio (Eb 7,12). La vita intera di Gesù è stata una vita sacerdotale, nel senso che si è fatto uomo, si è fatto povero, ha lottato per la giustizia, ha fustigato i vizi del potere, si è identificato con gli oppressi, li ha difesi, si è rapportato con le donne senza discriminazioni, è entrato in conflitto con quanti avevano un’altra immagine di Dio e della religione e ha dovuto accettare per fedeltà di essere perseguitato e di morire crocifisso fuori dalla città. Questo originale sacerdozio di Gesù è quello che bisogna portare avanti nella storia.

Conseguentemente, è questo ciò che insegna il Vaticano II: “Tutti i battezzati sono consacrati per formare un sacerdozio santo” (Lg, 10).

Come insegna l’apostolo Paolo, esiste nella Chiesa una diversità di funzioni, ma nessuna di esse si traduce in rango, superiorità o dominio. Tutti sono fratelli e sorelle e, di conseguenza, eguali. Un compito immenso, questo, nei confronti delle donne, doppiamente discriminate nella Chiesa come laiche e come donne.

Il Vaticano II non pone il fondamento della Chiesa nello schema bipolare “chierici-laici” che toglie protagonismo, partecipazione e responsabilità all’assemblea cristiana. Il presbitero è, prima di ogni altra cosa, “ministro della Parola”, che deve comunicare a tutti, senza vedersi confinato quasi esclusivamente sull’altare e nell’amministrazione dei sacramenti.

Ritengo imprescindibile aggiungere alcune cose a questo riguardo:

Primo: bisogna superare il tabù relativo al fatto che la Chiesa non è una democrazia. Gesù invita i suoi seguaci a un radicale spirito e a una radicale pratica democratici. “Se qualcuno continua a pensare che usare la parola “democrazia” in rapporto alla Chiesa possa minacciare o oscurare la confessione del suo mistero, che non lo faccia mai ridimensionando l’appello di Gesù ai valori dell’umiltà e del servizio... La differenza può esistere solo puntando in alto: se non è ‘democrazia’, allora è molto più che democrazia” (Agenda Latinoamericana 2007, La democracia en la Iglesia, p. 47).

Secondo: Se la Chiesa è più che una democrazia, non può erigersi in guardiana di questa senza vivere “in casa” i valori che predica a quelli di fuori. “Se, come afferma Casaldáliga, la democrazia che conosciamo è una democrazia che nausea e indigna” (Latinoamericana 2007, Exigimos y hacemos otra democracia, p.10), che dovrà fare la Chiesa per non apparire più come nemica della democrazia e per smettere di perdere credibilità? Risponde Casaldáliga: “Persino Dio deve essere democratizzato e l’esperienza religiosa della fede deve aprirsi al dialogo nel pluralismo e deve condividere l’azione rivolta alle grandi cause comuni della vita e di ogni essere dell’universo” (Idem, p. 11).

Terzo: la nostra forma di democrazia è lodevole e ricca di valori. Ma non possiamo continuare ad alimentare il mito che essa sia il miglior sistema di vita per la convivenza. Nuove forze economiche hanno acquisito un potere formidabile, con cui distorcono e piegano le nostre democrazie. La democrazia perde il suo contenuto e viene meno al suo compito nel momento in cui gli Stati concedono autonomia alle multinazionali.

“La globalizzazione degli scambi di servizi, di capitali, di brevetti ha condotto negli ultimi dieci anni alla nascita di una dittatura mondiale del capitale finanziario. Le ridotte oligarchie transcontinentali, che detengono il capitale finanziario, dominano il pianeta... Su milioni e milioni di esseri umani i signori del capitale finanziario mondializzato esercitano un diritto di vita e di morte. Mediante la loro strategia di investimenti, le loro speculazioni in borsa, le alleanze che promuovono, essi decidono giorno per giorno chi ha diritto a vivere in questo pianeta e chi è condannato a morire” (J. Ziegler, Derechos Humanos y democracia mundial, Latinoamericana 2007, p. 26).

Non è difficile scoprire gli effetti e le conseguenze a cui ci conduce la dittatura neoliberista installata nelle democrazie: ci travolge con l’industria del divertimento, ci porta ad ignorare i diritti umani, arriva a convincerci che non vi sia nulla che si possa fare, che non vi sia alternativa possibile. Per cambiare il sistema, bisognerà distruggere il potere dei nuovi signori feudali. Chimera? Utopia?

Detto ciò, posso aggiungere la quarta cosa, la più importante:

Quarto: La Chiesa di Gesù può e deve apportare valori basilari, essenziali, per preservare l’autenticità della democrazia. Quali?

 

1. Primato degli ultimi.

La Chiesa dovrebbe proclamare e testimoniare che, come criterio di organizzazione sociopolitica e di educazione, andrebbe adottato il riconoscimento che tutti gli uomini sono fratelli e che, pertanto, occorre lottare per relazioni di uguaglianza e per l’eliminazione degli ostacoli che impediscono tali relazioni: il denaro e il potere. Bisogna stabilire come priorità il fatto che queste maggioranze che vivono nella miseria e nell’esclusione (gli ultimi) vengano al primo posto. Se Gesù chiama i poveri beati è perché assicura loro che la situazione cambierà e per questo è necessario creare un movimento che sia capace di far ciò, restituendo loro dignità e speranza. Bisogna dare il primato agli ultimi: “Il cristianesimo originario si scontra con il regno del denaro e del potere come meccanismo di dominazione e introduce una passione nella storia: che gli ultimi smettano di esserlo, che si adottino comportamenti e si promuovano politiche ed economie che diano loro la priorità, per costruire una società senza ultimi né primi o, almeno, con la minore disuguaglianza possibile tra gli esseri umani convocati ad essere fratelli” (R. Díaz Salazar, La Izquierda y el cristianismo, Taurus, 1998, p. 354).

 

2. Cogliere le cause della disuguaglianza.

In base a questa passione per gli ultimi, avere la sensibilità e i criteri per capire dove si incontrano nel nostro mondo le cause e i meccanismi che producono i primi e maggiori problemi di disuguaglianza e di ingiustizia.

 

3. Anteporre le necessità degli ultimi.

Creare una volontà collettiva che sia capace di anteporre le necessità degli ultimi e che articoli politiche e comportamenti sociali solidali, con la conseguente adozione di impegni e di rinunce comuni. Se la passione per gli ultimi si traduce in idea e forza morale di mobilitazione, avremo allora la possibilità di politiche internazionali di solidarietà, di democrazia economica, di assunzione della povertà evangelica, giungendo a creare nuovi soggetti sociali, con una nuova scala di valori antropologici e una nuova finalità per la vita personale e collettiva.

 

4. Cultura del samaritano.

Far propria la cultura del samaritano di fronte al prossimo bisognoso: sentire come proprio il dolore degli oppressi, avvicinandosi ad essi e liberandoli. Senza questo impegno, ogni religiosità è falsa: Jon Sobrino, tenendo conto della tradizione biblico-cristiana e guardando a ciò che sta succedendo oggi nelle nostre democrazie, avanza le seguenti proposte per aiutare ad umanizzare la democrazia:

- la compassione verso il popolo crocifisso,

- la giustizia,

- la parzialità per il povero.

Partire dalla croce dei popoli significa partire da quanti non hanno potere e, per ciò stesso, soffrono di tutti gli handicap. Ad essi le nostre democrazie - eurocentriche - tolgono tutto: vita, cultura, dignità e libertà. E di fronte a questi popoli crocifissi non c’è altra posizione onesta che quella di “calarli dalla croce”, perché in essi è presente Dio.   

L’ingiustizia fa sì che molti uomini muoiano di fame, vengano assassinati. La bontà di Dio nei confronti di tutte le sue creature deve apparire nella concreta trasformazione di un mondo ingiusto in un altro giusto. La giustizia si oppone al disprezzo, alla violenza, alla menzogna, alla schiavitù, alla morte. Nella misura in cui elimineremo tutto questo, la vita sarà giusta e sarà umana.

Una politica democratica, di segno cristiano, nella pratica si misura sui poveri. Continuare a parlare nelle nostre democrazie di uguaglianza è un vero inganno, perché non è così: bisogna introdurre il criterio della parzialità. È il povero sofferente che deve venire al primo posto. C’è un avvertimento di Gesù di Nazareth con cui dovrebbero confrontarsi tutti i poteri: civili e religiosi, democratici, monarchici, socialisti, di qualunque segno: “Voi sapete che coloro che sono ritenuti capi delle nazioni le dominano, e i loro grandi esercitano su di esse il potere. Fra voi però non è così; ma chi vuol essere grande tra voi si farà vostro servitore, e chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti” (Mc 10,41: Mt 20,25).

 

4. Tornare a una Chiesa profondamente umana che stabilisca una nuova relazione con il mondo

Sono molti i testi in cui il Concilio parla di “tendere un ponte verso il mondo”, di “voler stabilire un dialogo con esso”, di “sentirsi solidali con la sua storia”, ecc. (...).

Due conseguenze possiamo trarre da questa nuova relazione con il mondo:

 

Presenza di una Chiesa missionaria e dialogante

La Chiesa, portatrice del Vangelo, sapeva di non poter chiudere la porta al dialogo senza annullare la verità che poteva sorgere da qualunque parte, avendola Dio piantata generosamente. La Chiesa non aveva più il monopolio della verità né poteva salire in cattedra su mille questioni umane né poteva pertanto sostenere atteggiamenti che denotassero arroganza o superiorità. Doveva, piuttosto, uscire sull’arena comune, semplicemente e umilmente, e condividere questa ricerca comune della verità.

Il dialogo doveva precedere la missione come un semplice atteggiamento di ascolto, per costruire su ciò che vi è di comune piuttosto che insistere sulle differenze, contando sul contributo degli umanesimi e delle religioni non cristiane che riconducono alla base costitutiva di ogni credo e ideologia. Il cristiano ha il suo sostrato, primo e più importante, nell’umano. Non si può essere cristiani senza prima essere persone. E la persona offre una struttura e un ventaglio di caratteristiche e di possibilità che non sono patrimonio di alcuno, bensì dell’umanità intera.

 

Un’identità cristiana nuova

L’identità cristiana doveva costruirsi insieme all’autenti-camente umano, come fermento e servizio, compito che richiede una presenza lì dove si presentano le grandi cause umane, per quanto senza pubblicità, senza fama, senza visibilità, bensì con la forza della testimonianza, dell’azione militante, dell’amore senza condizioni. Presenza nascosta sotto forma di fermento.

Questa presenza andava condivisa con quanti in una maniera o nell’altra portassero dentro di sé il fuoco dell’a-more, della giustizia, della liberazione, della difesa dei diritti umani. Si poteva definire questa presenza come santità politica, anticipazione della pienezza escatologica.

Sicuramente questa presenza non contava sul sostegno e sulla forza dell’istituzione, essendo creata dal basso, a partire da quanti sono ridotti all’insignificanza, e avanzando in diaspora, in piccoli gruppi o comunità, dando vita a un nuovo modello di vita cristiana, in cui l’agire è più diluito, più capillare, ma testimoniale e profetico.

 

5. Tornare a una Chiesa dei poveri

C’è stato un buon gruppo di vescovi che ha portato questa opzione nel cuore del Concilio, sotto la spinta delle parole pronunciate da Giovanni XXIII l’11 settembre 1962: “La Chiesa di Gesù Cristo è la Chiesa di tutti, ma per i Paesi sottosviluppati è la Chiesa dei poveri”.

Il Concilio ha raccolto questo profondo orientamento dottrinale: “Come Cristo infatti è stato inviato dal Padre ‘ad annunciare la buona novella ai poveri, a guarire quanti hanno il cuore contrito’ (Lc 4,18), ‘a cercare e salvare ciò che era perduto’ (Lc 19,10), così pure la Chiesa circonda d'affettuosa cura quanti sono afflitti dalla umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l'immagine del suo fondatore, povero e sofferente, si fa premura di sollevarne l’indigenza e in loro cerca di servire il Cristo” (Lg, 8).

Sarebbe stato l’episcopato latinoamericano a sviluppare in maniera speciale, nei suoi incontri di Medellín e di Puebla, questa fondamentale piattaforma conciliare: “Le tremende ingiustizie esistenti in America Latina non possono lasciare indifferente l’episcopato latinoamericano” (Chiesa e Liberazione, Documento di Medellín, 14, I, 1); “Il particolare mandato del Signore di evangelizzare i poveri deve condurci a dare una preferenza effettiva ai settori più poveri e bisognosi e agli esclusi per qualsiasi causa” (Idem, 14, III, 9); “La solidarietà nei confronti dei poveri significa far nostri i loro problemi e le loro lotte. Ciò deve concretizzarsi nella denuncia dell’ingiustizia e dell’oppressione, nella lotta cristiana contro l’intollerabile situazione che sopporta frequentemente il povero, nella disposizione al dialogo con i gruppi responsabili di questa situazione per far loro comprendere i loro obblighi” (Idem, 14, III, 10).

Certamente, questa opzione conciliare ha fatto sì che moltissimi cristiani ridefinissero l’orientamento della propria vita, ha portato molte congregazioni religiose a rivedere le proprie norme e i propri stili di vita, ha dato a una parte dell’episcopato un carattere riformatore, libero, profetico e ha fatto sorgere in moltissimi luoghi, dall’impegno per la liberazione, il frutto del martirio.

 

A mo’ di conclusione

In questi ultimi anni, i pronunciamenti della gerarchia ecclesiastica hanno provocato crescente malessere e sconcerto tra la gente. (...).

È sicuramente vero quello che mi diceva un sociologo: la gerarchia non è credibile perché vive in un altro mondo, rimpiange le posizioni egemoniche di potere e di dominio proprie di un’altra epoca, non è disposta a spogliarsi - a lasciarsi morire - per iniziare un processo di adattamento che le faccia apprezzare la nuova situazione.

Le cose stanno così. C’è stata negli ultimi secoli una positiva evoluzione della coscienza sociale ed ecclesiale. Il Concilio Vaticano II lo ha inteso perfettamente e, per la prima volta, ha operato una riconciliazione ufficiale con il mondo moderno, con la democrazia, l’uguaglianza, il pluralismo e la libertà. (...). E, quando avviene questo cambiamento, non lo si vuole riconoscere come un’evoluzione positiva, che obbliga a cambiare e a convertirsi, ma si guarda da un’altra parte e si inventa un falso nemico a cui dare la colpa di tutto. Il passaggio da un’epoca teocratica e imperialista ad un’altra umanocentrica e democratica è interpretato come un cumulo di mali, provocati da una politica di sinistra, secolarista e atea.

Penso che le inquietudini e le premonizioni negative della gerarchia si debbano al fatto che essa subisce una dislocazione rispetto al tempo in cui viviamo. È significativo che la Chiesa - gerarchia e popolo - sia tanto poco allenata a vivere in una situazione democratica. Vivere in democrazia è qualcosa di importante e di difficile. E le abitudini democratiche non si improvvisano, bisogna apprenderle, coltivarle, amarle.

Tutto sembra indicare che la Chiesa di Benedetto XVI cammini con vento in poppa verso il preconcilio: privilegia i neoconservatori, mette a repentaglio il dialogo ecumenico, volge le spalle alla legittima autonomia della cultura e delle scienze, trascura le grandi cause dell’umanità che, in quanto primarie e prioritarie, devono unirci tutti.

Voglio concludere con un testo vigoroso e illuminante del Vaticano II: “Nessuna legge umana è in grado di assicurare la dignità personale e la libertà dell'uomo, quanto il Vangelo di Cristo, affidato alla Chiesa. Questo Vangelo, infatti, annunzia e proclama la libertà dei figli di Dio, respinge ogni schiavitù che deriva in ultima analisi dal peccato, onora come sacra la dignità della coscienza e la sua libera decisione, ammonisce senza posa a raddoppiare tutti i talenti umani a servizio di Dio e per il bene degli uomini, infine raccomanda tutti alla carità di tutti. (...). Perciò la Chiesa, in forza del Vangelo affidatole, proclama i diritti umani, e riconosce e apprezza molto il dinamismo con cui ai giorni nostri tali diritti vengono promossi ovunque” (Gs, 41).

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.