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Reinterpretando le Sacre Scritture. Il nuovo paradigma archeologico-biblico

Reinterpretando le Sacre Scritture. Il nuovo paradigma archeologico-biblico

Tratto da: Adista Documenti n° 4 del 30/01/2016

DOC-2760. ROMA-ADISTA. È da anni dominata dalla riflessione sui nuovi paradigmi della teologia – da quello ecologico a quello pluralista fino a quello post-teistico e post-religionale, tutti inevitabilmente intrecciati tra loro – la ricerca teologica dell'Associazione Ecumenica dei Teologi e delle Teologhe del Terzo Mondo (Asett o Eatwot), nella convinzione che l'opzione per i poveri, vera ragion d'essere dell'associazione, comporti anche un servizio di «eccellenza teologica», in quanto «i poveri hanno diritto non solo al nostro servizio, ma a un servizio della massima qualità, all'altezza dei nuovi paradigmi e del futuro che si avvicina». Un impegno, questo, di cui è facile rendersi conto semplicemente dando uno sguardo ai diversi numeri di Voices, la rivista teologica dell'associazione (puntualmente rilanciati in Italia da Adista), dominati da temi come “Teologia della Liberazione e nuovi paradigmi” (n. 4/14); “Ecologia profonda, spiritualità e liberazione” (nn. 2-3/14); “Verso un paradigma post-religionale?” (n. 1/12). Ma è con particolare soddisfazione che la Commissione Teologica Internazionale dell'Eatwot (internationaltheologicalcommission.org) ha presentato l'ultimo numero della rivista, dedicato al “Nuovo paradigma archeologico-biblico”: «A quanto sappiamo – si legge nella presentazione – è la prima volta che una pubblicazione teologica destinata al grande pubblico» affronta tale argomento, finora confinato in alcuni «scritti tecnici, assai specialistici», pubblicati principalmente su riviste di archeologia. E lo fa - attraverso il contributo di undici autori, tra cui alcuni dei massimi rappresentanti del campo prettamente archeologico - allo scopo di offrire una presentazione sintetica ma più o meno completa del tema, «del suo significato, dei suoi limiti e delle sue possibilità pedagogiche», a cominciare da una necessaria distinzione fra le tre scuole o gruppi di studiosi che si contendono la scena dell'archeologia biblica: la scuola massimalista, nota anche come fondamentalista o conservatrice, che, seguendo letteralmente il testo biblico, usa l'archeologia per dimostrarne la veridicità (ricevendo a tale scopo sostegno e finanziamenti da parte dello Stato di Israele); la scuola minimalista o decostruzionista, secondo cui la Bibbia non può in alcun modo essere considerata una fonte storica, essendo in gran parte una costruzione immaginaria - basata su antichi miti intrecciati ad alcune memorie di fatti storici del periodo dal IX al VI secolo a. C. - funzionale all'élite del tempio di Gerusalemme, interessata a ricostruire una nuova identità nazionale intorno ai concetti di elezione divina e di sacralità del tempio; e infine una scuola alternativa, che, partendo dal contesto in cui sono stati redatti i diversi testi, mostra come questi possiedano, sì, un valore storico, ma - come sottolinea Ademar Kaefer dell'Università Metodista di São Paulo - forniscano spesso più informazioni sul periodo in cui sono stati scritti che sul tempo che descrivono, rappresentando un eccellente strumento «per studiare il contesto storico dell'epoca della loro redazione». 

Un approccio, quest'ultimo, che, grazie anche allo sviluppo di nuove tecniche e di nuovi metodi delle scienze archeologiche, apre nuove prospettive per la comprensione della storia e del testo biblico, invalidando la teoria - tanto cara allo Stato di Israele - relativa alla grande monarchia unita che, sotto Davide e Salomone, tra il 1000 e il 930 a.C. avrebbe riunito sotto un unico governo con sede a Gerusalemme tutto il territorio di Israele e della Giudea (essendo la Gerusalemme del X secolo a. C. una piccola città con accentuati tratti rurali e senza alcuna fortificazione o costruzione monumentale, e non certo la capitale di un impero) o dimostrando, diversamente da quanto si è creduto fino alla fine del XX secolo, come l'antico Israele non sia stato sempre monoteista, rendendo originariamente culto, al contrario, ad altre divinità - esattamente come i popoli vicini - così come emerso dal ritrovamento, in tutto il territorio israeliano, di centinaia di statuette di divinità femminili della fertilità, venerate nelle fasce popolari anche dopo l'imposizione del monoteismo. E, soprattutto, decostruendo la teoria dell'esodo (esperienza fondante di Israele) - la cui tradizione sarebbe nata come una forma di resistenza al dominio dell'impero egizio a Canaan sotto il faraone Sheshong I (intorno al 926 a. C.) - e della conquista della terra promessa, con ovvie ripercussioni anche sulla situazione geopolitica del conflitto tra israeliani e palestinesi.

Di fronte a una tale opera di decostruzione, è naturale - sottolinea ancora Kaefer - che le scoperte archeologiche possano provocare «un certo malessere, una sorta di incertezza rispetto alla Parola di Dio», e finanche la sensazione di essere stati ingannati per tutta la vita. Ma, prosegue, così come oggi si accetta facilmente il fatto che Adamo ed Eva non siano mai esistiti o che non sia stato Mosè a scrivere il Pentateuco, avverrà la stessa cosa anche per ciò che sta venendo alla luce oggi. E ciò ci obbligherà anche, come afferma il teologo José María Vigil, a porre su una nuova base la nostra religiosità, verso una spiritualità «purificata e più profonda, al di là dei racconti mitici su cui ci siamo con completa ingenuità tradizionalmente appoggiati». 

Rimandando, per la lettura integrale del numero, al sito della rivista Voices, vi proponiamo, in una nostra traduzione dallo spagnolo, ampi stralci degli interventi di José Lopes Silva e di Santiago Villamayor.

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