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Religioni a scuola. Integrazione o giustapposizione?

Religioni a scuola. Integrazione o giustapposizione?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 7 del 20/02/2016

Basta dare una scorsa ai titoli dei giornali sul recente scoop “il cardinale Scola e l’islam” per verificare una volta di più l’enorme potere esercitato dai media sulla formazione di un’opinione pubblica già catturata dal solo titolo.

Si è registrato  un coro unanime di commenti, in gran parte insulti all’indirizzo del cardinale, definito ubriaco, rimbambito, incapace di dirigere la Curia milanese, pronto a svendere l’identità dei cattolici a vantaggio dei musulmani e – a seguire – i consueti insulti razzisti, connotati in questo caso da una sorta di gelosia, in quanto già quei titoli farebbero presagire – secondo i commentanti – la messa a rischio di tradizioni secolari, proprio da parte di chi dovrebbe esserne il tutore… 

Non si trova tra la marea di commenti il minimo sostegno alla proposta del cardinale.

“Scola e l’Islam-Integriamo le feste musulmane con le nostre” (Corsera)

“L’apertura del cardinale Scola. Istituire una festa islamica in tutte le scuole” (la Repubblica).

“Inserire una festa islamica nella dimensione pubblica” (Il Giornale).

“Scola vuole una festa islamica nelle scuole” (Libero).

Questi i titoli di alcuni dei giornali più diffusi, i quali hanno indubbiamente contribuito a suscitare nei lettori e nelle lettrici le reazioni emotive cui abbiamo accennato. Qualcuno ha pensato addirittura all’ipotesi di un presepio con elementi della cultura islamica, una forma di sincretismo… cooptato. Il “nostro” presepio resterebbe nelle scuole, ma solo grazie all’aggiunta di altri culti? E quali feste musulmane verrebbero istituite nelle scuole? Una o più di una? 

Le esternazioni del cardinale Scola – avvenute nel corso dell’incontro con la stampa “Comunicazione e Misericordia”  durante la consueta cerimonia per la Festa di San Francesco di Sales nell’Istituto dei ciechi di Milano – presentano tuttavia ben altre criticità.

Una prima perplessità riguarda l’uso dell’aggettivo “pubblico” con cui il cardinale definisce la dimensione che dovrebbe essere conferita alle ricorrenze islamiche: «Prendere una loro festa e inserirla nella dimensione pubblica», sembrerebbero essere state le parole del prelato.

Ma il cardinale ha veramente valutato il peso di questo termine?

Dimensione pubblica significa giornata di astensione dal lavoro, sospensione delle lezioni, rilevanza nazionale o quanto meno locale… Per ottenere questa condizione è indispensabile la stipulazione di un’Intesa tra Stato italiano e confessioni religiose, secondo quanto previsto dall’art. 8 della Costituzione. Lo Stato italiano ha sottoscritto Intese con varie confessioni religiose, soprattutto nell’ultimo ventennio del secolo scorso,  ma con l’islam non è stato ancora raggiunto un accordo. Comunque, in nessuna delle Intese fin qui stipulate, è prevista una “dimensione pubblica” delle festività delle diverse religioni.

Resta l’anomalia della religione cattolica, forte dell’art. 7 della Costituzione e del Nuovo Concordato tra Stato italiano e Chiesa cattolica. Grazie al Concordato è presente nelle scuole l’Irc e hanno dimensione pubblica – per credenti, diversamente credenti, laici, atei – molte feste religiose. Il cardinale nomina i bambini musulmani, ma quelli appartenenti ad altre religioni? Non avrebbero anch’essi diritto a una “dimensione pubblica” delle loro feste religiose? È solo questione di numero, o l’appartenenza a una fede religiosa è per ogni individuo un diritto non negoziabile? Quante festività, se i diritti di ogni confessione religiosa dovessero essere trattati alla pari? La domanda che il cardinale avrebbe dovuto porsi sarebbe piuttosto: “È giusto che le feste della sola religione cattolica abbiano dimensione pubblica? O in presenza di una società multietnica e multi religiosa – come è divenuta la nostra società – sarebbe opportuno un passo indietro, in nome della parità dei diritti di ciascuna religione?”.

Un secondo problema riguarda la riflessione del cardinale sui simboli religiosi.

Alla  domanda dei giornalisti sul rispetto dei simboli cristiani in rapporto alla presenza di fedeli di altre religioni, egli risponde che «la ragione dei simboli è la ragione della comunicazione interpersonale (…). Una società che rinuncia a un simbolo perché costretta perde qualcosa». La domanda evidentemente si riferiva alla presenza del crocefisso nelle aule scolastiche. La risposta mira a legittimare la presenza di tutti i simboli religiosi, sempre nella logica dell’“aggiungere”; così, conservando il presepio – se ci sono bambini musulmani nella classe – è bene procedere alla narrazione delle loro feste. Ma chi farebbe questa narrazione?  Avverrebbe tra le attività alternative all’Irc, o come una casuale rievocazione di fronte al presepio? O come parte delle  lezioni di storia, rivolte a tutta la classe?

Quanto alla presenza di simboli  nella classe, non sarebbero caricati alunni e alunne di una rappresentanza che li identificherebbe e finirebbe per pregiudicare proprio la loro integrazione, la loro libertà?

L’ultima perplessità riguarda il giudizio del prelato sulla “laicità alla francese”. Coerentemente con quanto già affermato, il cardinale non poteva che opporsi a un “buio” a suo parere “neutro”,  in cui nulla “si aggiunge” ma  tutto “si toglie”.

Per noi, laicità della scuola, ossia assenza di simboli e di privilegi, è  la sola condizione in cui uguaglianza di diritti  e libertà di coscienza possono favorire un autentico scambio interculturale. Riti e tradizioni religiose, come è per eccellenza il presepio, si celebrano all’interno delle proprie comunità e delle proprie abitazioni, mentre lo spazio laico della scuola è il luogo della formazione critica della personalità, dove è garantito l’esercizio del diritto alla libertà di coscienza, e a relazioni liberamente scelte, all’esterno del contesto familiare.

 Un primo passo per dar vita a una scuola laica sarebbe rappresentato dalla  collocazione dell’Irc – divenuto facoltativo – al di fuori dell’orario scolastico obbligatorio. Ci stiamo lavorando da anni. Occorre una revisione dell’Intesa applicativa del Concordato, che un Parlamento laico e democratico potrebbe, anzi dovrebbe, sollecitare. L’occasione può essere l’approvazione della Legge di Iniziativa Popolare “Per una Buona Scuola della Repubblica” (LIP), in cui abbiamo inserito un  articolo destinato ad attuare la “Laicità della scuola”, articolo che ci auguriamo consapevolmente condiviso da insegnanti, studenti e genitori. Bisognerà attendere la prossima legislatura?

Antonia Sani, dell’Associazione “Per la scuola della Repubblica”

* Immagine di jessie essex, tratta dal sito Flickr, licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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