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Il santo business di Padre Pio, tra credenze ancestrali e superstizioni pre-conciliari

Il santo business di Padre Pio, tra credenze ancestrali e superstizioni pre-conciliari

Tratto da: Adista Notizie n° 7 del 20/02/2016

38441 ROMA-ADISTA. Divideva quando era vivo, continua a dividere anche da morto. L’ostensione della salma di padre Pio, collocata all'interno della basilica di San Lorenzo al Verano – accanto alle spoglie di san Leopoldo Mandic, l'altro santo che papa Francesco, insieme al frate di Pietrelcina, ha voluto indicare, nell'Anno Santo straordinario del Giubileo della Misericordia, come esempio di confessore – ha suscitato un intenso dibattito, anche nell’area della Chiesa conciliare e progressista. Troppo smaccata, troppo esibita è sembrata a molti la scelta di portare a Roma la salma del frate di Pietrelcina per offrirla al culto e all’adorazione delle masse dei credenti. E troppo legata ad una precisa strategia di marketing ecclesiastico, poiché l’arrivo di padre Pio a Roma – dal 3 al 10 febbraio scorsi – è uno degli eventi clou di questo Giubileo (l’altro è la canonizzazione, il prossimo 14 settembre, di madre Teresa di Calcutta); un evento su cui la Chiesa ha puntato molto (e con indubbio successo); e che pare organizzato appositamente per tentare di vivacizzare un Anno Santo partito in sordina e con finora pochi pellegrini. Ma il ricorso al devozionismo più tradizionale, a forme religiose che sfiorano la superstizione e l’irrazionalità, ha provocato la sollevazione di una parte del mondo laico, così come il fermo e argomentato dissenso di tanti credenti, laici, teologi, consacrati. Tra questi quello di diversi preti progressisti che pure avevano salutato con grande favore l’ascesa al trono pontificio di Francesco, sostenuto le sue scelte ed incoraggiato le sue riforme.

Offeso e indignato

Il primo a prendere la parola è stato don Franco Barbero che sul suo blog (donfrancobarbero.blogspot.com) già il 3 febbraio aveva scritto: «Mi sento profondamente offeso da questa banalizzazione della fede e mi sento indignato perché ancora una volta la gerarchia inganna le persone manipolando il loro bisogno di aiuto». «Tutto fa brodo in questo colabrodo culturale. Non abbiamo bisogno di salme da incensare e di reliquie da  venerare. Abbiamo bisogno di mettere le nostre risorse e i nostri cuori, le nostre mani e i nostri soldi per alleviare le sofferenze dei vivi, per solidarizzare con i più poveri e i meno fortunati di questa società. Ma la spettacolare ostensione cadaverica di padre Pio ha alcune motivazioni vaticane ben evidenti. Papa Francesco cerca ogni strada per tenere insieme una Chiesa a brandelli e con alcuni comparti in liquidazione. In più il mito di padre Pio e il turismo alberghiero ad esso collegato hanno subìto negli ultimi anni un tracollo: alberghi che chiudono e vengono trasformati in aziende o in case di abitazione. Il viaggio trionfale verso Roma è un rilancio del culto che andava spegnendosi. Però, davanti a tale spettacolo, se qualche teologo alzasse la voce, forse aiuterebbe un po' a non disperderci tra le superstizioni con l'alibi della religiosità popolare». Poi, lo scorso 4 febbraio, don Franco ha “postato” un altro breve commento: «Roma è certamente la capitale mondiale del turismo e del business religioso. Sembra che alle autorità ecclesiali nulla faccia problema e che, tutto sommato, Chiesa cattolica e affari trovino sempre nuove occasioni per consolidare una secolare alleanza. A tutto danno della fede».

Un minestrone di fanatismo e superstizione

Altro prete da tempo sostenitore di Francesco ma profondamente deluso della kermesse di padre Pio andata in scena a Roma è don Aldo Antonelli, prete di Antrosano (Aq) il quale, sul suo blog sull’Huffington Post (9 febbraio), ha scritto che «il chiasso mediatico del viaggio turistico della salma di padre Pio dalla cripta dorata di San Giovanni Rotondo alla piazza domata di San Pietro in Roma non può zittire tutti gli interrogativi sulla storia del cappuccino di Pietrelcina». Antonelli cita il celebre libro, edito dalla Einaudi nel 2007: Padre Pio. Miracoli e politica nell'Italia del Novecento di Sergio Luzzatto nel quale, tra l’altro, si parla di lettere ai suoi direttori spirituali, in parte copiate, parola per parola dell'epistolario di Gemma Galgani; delle simpatie fasciste del frate di Pietrelcina; ma soprattutto dei cospicui ordinativi di acido fenico che arrivavano a San Giovanni Rotondo: «Lasciamo agli specialisti l'analisi sociopsicologica sul rapporto tra questo frate e la massa di devoti che lo adorano al limite del feticismo», prosegue Antonelli. «A noi non resta che denunciare il fenomeno: un minestrone tossico di superstizione, di fanatismo, di miracolismo. E in più: l'esteriorità dei riti, la rinuncia al pensiero, l'affarismo, la furbizia, l'abuso della credulità popolare. E ci interroghiamo su una Chiesa tutta ripiegata nella gestione affaristica del fenomeno», convinti, prosegue Antonelli «che tutto ciò non fa bene alla crescita della fede e alla maturazione dei fedeli».

Scandaloso feticismo dei cadaveri

Anche don Giorgio De Capitani, prete della diocesi di Milano, sulla sua pagina Facebook, si dice scandalizzato per l’uso strumentale che la Chiesa ha fatto della salma di padre Pio: «Basta col feticismo dei cadaveri e col commercio delle reliquie», tuona don Giorgio. E spiega: «Il cadavere mummificato del santo è stato blindato come fosse un tesoro inestimabile. E lo è, patrimonio della Chiesa, visto che alla Chiesa interessano di più i cadaveri-simboli del suo potere»: «Povera Chiesa che ha bisogno di idolatrare cadaveri per auto-incensarsi! Una Chiesa necrofila che futuro potrà avere? Ma, per fortuna, c’è una Chiesa “altra”, più invisibile ma reale, ed è quell’Umanità, senza confini o limiti, a cui appartengono gli spiriti più liberi, che amano la vita nel profondo dell’essere umano».

Un’orgia di irrazionalità

Amara e fortemente critica anche la lettura di don Paolo Farinella, prete a San Torpete, Genova: «Mancavano all’appello padre Pio e frate Mandic, sono arrivati anche loro e ora siamo al completo. La religione è servita, il popolo, facile alla lacrima, si affolla per chiedere miracoli. I frati che hanno perseguitato padre Pio in vita ora lo portano in spalla e lo esaltano come supereroe. I preti, a cominciare dal vescovo Fisichella che pontifica dalla sacrestia di “Porta a Porta”, gongolano per la grande fede dimostrata dalle masse religiose, che, dopo quelle operaie dissoltesi in paradiso, sono le uniche rimaste sulla piazza. Squillano le trombe, rullano i tamburi perché nel Giubileo che celebra il 50° anniversario del Concilio Vaticano II, con questi simulacri, issati come totem ancestrali, si archivia definitivamente la visione conciliare di Chiesa e di fede. Resta solo la religiosità sentimentale, priva di radici, oltre il Vangelo, annegata in un’orgia di irrazionalità che offende la dignità della stessa religione e comunque della spiritualità». Ma è l’uso strumentale fatto dalla gerarchia cattolica del corpo di padre Pio a suscitare il biasimo di don Farinella, non certo la religiosità popolare: «Se i romani perseguivano il welfare del panem et circenses, oggi la religione cattolica, anche quella rappresentata da papa Francesco, si affida al simulacro del numinoso e ai totem cristianizzati. Pazienza, ce ne faremo una ragione». Anche perché, conclude don Farinella, «come cattolico, credente e consapevole, dichiaro pubblicamente che faccio a meno di padre Pio e soci perché mi basta Gesù Cristo e, credetemi, ne avanza anche in abbondanza». 

* Immagine di gnuckx, tratta dal sito Wikimedia Commons. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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