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Referendum trivelle: occasione per opporsi a un modello di sviluppo senza futuro

Referendum trivelle: occasione per opporsi a un modello di sviluppo senza futuro

In vista del referendum di domani vi proponiamo il documento prodotto dalla Commissione Globalizzazione e ambiente (Glam) della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei).


In Italia sono vigenti 83 permessi di ricerca per idrocarburi sulla terraferma (Basilicata, Campania, Calabria, Puglia, Molise, Abruzzo, Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Friuli) e 24 permessi nel sottofondo marino. Le concessioni su terraferma sono 119 e quelle in mare 72, mentre le nuove istanze presentate per permessi di ricerca sono 57 in terraferma e 36 in mare. Attualmente la superfice in cui è concessa attività di coltivazione degli idrocarburi in zone marine rappresenta circa il 25% della superficie totale della piattaforma continentale italiana (139.656 kmq). Una delle aree maggiormente interessate dalla ricerca e dalla coltivazione è il mar Adriatico, un “mare chiuso” dall’ecosistema estremamente fragile, già messo a dura prova con 78 concessioni attive per l’estrazione di gas e petrolio, 17 permessi di ricerca già rilasciati nell’area italiana e 29 in fase di rilascio in quella croata, a cui si aggiungono 24 richieste avanzate per il tratto italiano, per un’area complessiva di circa 55.595 kmq.

I pericoli per ambiente e salute?

Le attività e i composti chimici necessari per le indagini e le trivellazioni (260 sostanze coperte dal segreto industriale, molte di queste tossiche, cancerogene e mutagene) e lo smaltimento degli scarti delle lavorazioni (acque spesso radioattive) comportano alti rischi per la salubrità del suolo, del sottosuolo, delle falde acquifere, dell’aria (ossidi di azoto e di zolfo acidi emessi dagli impianti) e delle risorse idriche strategiche per alcuni territori del Sud. Un impatto che può essere aggravato dall’omissione delle corrette procedure estrattive per incompetenza tecnica o utilità

Vi è inoltre da considerare il rischio sismico e i danni ad attività economiche e turismo che solo nelle località adriatiche vale 19 miliardi di euro.

Royalties più basse d’Europa

402 milioni di euro a fronte di utili da attività estrattiva pari a 7 miliardi nel 2014 (7% e 4% sul valore di vendita rispettivamente di petrolio e di gas estratti in mare, 10% per i prodotti estratti sulla terraferma), mentre i territori interessati dai pozzi si spopolano e si impoveriscono, come testimonia il caso della Basilicata, dove si estrae l’80% del petrolio nazionale e vengono impiegati nel settore estrattivo 143 residenti.

Vantaggi energetici irrisori

In cambio le estrazioni di idrocarburi offrono vantaggi irrisori sotto il profilo energetico ed economico: i giacimenti italiani rappresentano quantità infinitesimali delle riserve mondiali e sono di breve durata se è vero, come scrive il Ministero dello Sviluppo Economico, che le nostre riserve di idrocarburi ammontano a 130 milioni di tonnellate, di cui solo il 30%, circa 40 milioni, definite “certe” (il 50% sono “probabili”, il 20% “possibili”), destinate quindi ad esaurirsi in poco tempo al ritmo di 6 milioni di tonnellate di petrolio e 5 di gas estratti all’anno (dato 2015)>>.

Fin qui quanto emerso in un seminario  del Consiglio direttivo nazionale di Italia Nostra svoltosi a Roma il 27 febbraio 2016.

Il senso del referendum è abbastanza chiaro: non rendere di durata imprevedibile (ovvero legate all’esaurimento dei giacimenti) le autorizzazioni e concessioni legate allo sfruttamento degli idrocarburi (sia petrolio che gas) presenti nei nostri mari. Rendere invece coerente tutto il sistema con l’obiettivo della legge approvata in materia che punta ad eliminare completamente i pozzi situati entro 12 miglia dalla costa dati gli effetti pregiudizievoli degli stessi sull’ambiente e sull’ecosistema.

La deroga che si vuole, almeno in parte, eliminare con il referendum del 17 aprile, è stata introdotta con la precisa intenzione di favorire le multinazionali e le altre aziende beneficiarie della stessa, le quali applicano la medesima logica che sta colpendo l’ambiente e l’ecosistema, una logica predatoria che non tiene in considerazione gli interessi delle economie e delle popolazioni locali. 

Questo referendum, che segue ad un pronunciamento di alcune Regioni, si colloca in uno Stato che manca di un piano energetico nazionale e che contestualmente è il primo al mondo per contributo del fotovoltaico nel mix elettrico nazionale (7,9%, dati relativi al 2013), meglio di Grecia (7,6%) e Germania (7%). Insieme le fonti rinnovabili coprono circa il 37,5% della domanda annuale nel 2014. In Italia gli impianti alimentati da fonti rinnovabili sono circa 600mila, per una potenza installata di 50mila MW: 112 TWh nel 2013 in leggera crescita nel 2014. Il 47-48% dell’energia rinnovabile prodotta in Italia proviene dalla fonte idraulica, seguita dal solare a quota 19-20%, dalle bioenergie al 14%, dall’eolico al 13% e dal geotermico al 5%. 

Il Gestore dei Servizi Energetici (GSE) ha pubblicato i dati preliminari sulla produzione di energia da fonti rinnovabili in Italia alla data del 31 dicembre 2015. Nel rapporto il GSE precisa che le stime si basano sulle sue fonti, sui trend recenti del settore individuati dagli analisti e su parametri climatici. I dati ufficiali verranno diffusi da Terna e dallo stesso GSE non appena disponibili.

Dai dati preliminari si apprende che nel 2015 le fonti rinnovabili hanno soddisfatto il 17,3% dei consumi finali lordi di energia nazionali, a fronte del 17,1% coperto nel 2014. L’Italia è così riuscita a centrare in anticipo gli obiettivi comunitari sulla produzione di energia da fonti rinnovabili, fissati per il 2020 a quota 17%.

Questo referendum può essere l'occasione per un pronunciamento dei cittadini a favore di un modello energetico coerente con gli obiettivi definiti a Parigi nella COP 21 relativamente al cambiamento climatico. L'uso di energie fossili deve diventare residuale in tempi molto veloci. Per questo le chiese in Svezia, Inghilterra, e altri Paesi stanno od hanno già disinvestito in questo settore che continua a godere di importanti sussidi economici.

Ricordiamo a questo proposito che il 27 gennaio 2016 rappresentanti dell’ECEN (la rete cristiana europea per l’ambiente) hanno incontrato il gruppo informale di parlamentari europei impegnati sul tema del disinvestimento nelle energie fossili. (vedi Riforma n.5 del 5 febbraio 2016).

L’atteggiamento verso il cambiamento climatico ha infatti una componente etica non eludibile.

Rigettando anche in questa occasione l’invito a disertare le urne, invitiamo a considerare la sproporzione tra costi e benefici oltretutto associati ad un modello di sviluppo senza futuro che nel presente produce conflitti e guerre.

4 aprile 2016

* Immagine di Divulgação Petrobras / ABr, tratta dal sito Wikimedia Commons, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite 

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