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«Una società giusta e colorata di pace». Arrivano i primi migranti nelle parrocchie di Pistoia

«Una società giusta e colorata di pace». Arrivano i primi migranti nelle parrocchie di Pistoia

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 04/06/2016

38572 PISTOIA-ADISTA. Attesi per metà aprile, i primi 4 rifugiati – guineani sbarcati in Sicilia con una carretta del mare – sono arrivati nella parrocchia di Marliana (località alle porte di Pistoia) domenica 22 maggio e sono stati accolti dal parroco, don Alessandro Carmignani, e dai suoi parrocchiani, avvisati del loro arrivo durante la messa della mattina e accorsi nel pomeriggio per offrire un contributo pratico e un’accoglienza calorosa. Altri 7 profughi, provenienti dal Sudan, sono poi giunti, tre giorni dopo, nella parrocchia di don Massimo Biancalani (parroco di Vicofaro, altra zona periferica di Pistoia). E così il progetto di un’accoglienza integrale e armoniosa dei migranti nel territorio pistoiese ha iniziato a muovere i primi passi nelle parrocchie dei due parroci, i quali – supportati dai propri fedeli e assistiti dall’associazione “Virgilio-Città futura”, accreditata presso la prefettura perché già impegnata nell’accoglienza dei bisognosi – avevano deciso di rispondere in maniera concreta all’appello di papa Francesco a spalancare le porte di parrocchie e conventi a chi fugge da guerre e disperazione. Proprio per dar seguito a quell’invito nasceva un progetto per l’accoglienza di 18 rifugiati che, nel sogno condiviso dei due sacerdoti, avrebbe visto protagoniste tre parrocchie alle porte di Pistoia (Vicofaro, Marliana e Ramini), ma anche le tre rispettive comunità locali, sempre coinvolte e partecipi nella fase preparatoria, le quali avrebbero messo a disposizione tempo ed energie per fare di questa iniziativa non solo un’esperienza di “carità cristiana” – offrendo un tetto e un pasto ai nuovi arrivati – ma anche un’occasione di sostegno e affiancamento per una loro integrazione profonda nel territorio e anche, infine, un’opportunità di reciproco arricchimento, provocato dall’incontro con le diverse culture e spiritualità che questep ersone incarnano. «Conoscere il diverso per conoscere se stessi», ha motivato don Alessandro a La Nazione lo scorso 23 maggio: «Questa nostra iniziativa non è soltanto di aiuto a chi arriva da lontano ma anche a tutte le persone che in un modo o nell’altro entreranno in contatto con questa esperienza».

Nel mese di marzo, a far rimbalzare la notizia del progetto di accoglienza sulla cronaca, non solo locale, è stata la reazione, dura e a tratti minacciosa, delle destre ultracattoliche locali e di taluni commentatori nazionali, paladini del cattolicesimo tradizionalista, i quali hanno attaccato i due sacerdoti a causa della loro proposta di mettere a disposizione degli nuovi ospiti musulmani alcuni spazi interni alle loro chiese. La notizia aveva anche spinto il vescovo di Pistoia, mons. Fausto Tardelli, a precisare “d’autorità” che tali spazi sarebbero stati invece esterni alle chiese, destinate dunque alla sola preghiera cattolica (v. Adista Notizie n. 13/16). Adista ha raggiunto il parroco di Marliana per scambiare con lui alcune impressioni. 

Don Alessandro, in che condizioni erano i ragazzi appena arrivati?

Che strana sensazione: era ancora notte inoltrata e i quattro ragazzi provenienti dalla Guinea Conakry (ex colonia francese) erano molto provati dal viaggio e ancora non si rendevano conto di dove fossero capitati dopo essere sbarcati a Trapani pochi giorni prima. Ma subito, dopo un tè caldo, sono andati a letto, rassicurati del fatto che lì, finalmente, sarebbero stati al sicuro e che da quella "casa" sarebbe potuta ripartire la loro vita.

Cosa li aspetta ora? Nelle vostre intenzioni c’è l’idea di un'accoglienza globale: non solo tetto e cibo, ma anche una serie di iniziative per l’integrazione. Cosa prevede il menu?

Il menù è fatto di portate nutrienti e capaci di far crescere, sotto lo slogan “essere e fare insieme”. Anzitutto vogliamo renderli consapevoli che c’è un’Italia accogliente e partecipe delle loro sofferenze. Inizieremo poi un percorso di autonomia: dalla gestione delle questioni pratiche all’apprendimento della lingua italiana (strumento fondamentale per l'integrazione); sono previsti poi incontri con tutti i parrocchiani, momenti di scambio e condivisione in cui metteremo insieme il racconto della loro storia e quello della nostra storia, fatta anch'essa di emigrazione. Alcune famiglie, quando lo richiederanno, accoglieranno i ragazzi in momenti particolari della giornata, come i pasti, le partite di calcio in tv, ecc. Momenti di incontro ci saranno anche con i giovani del paese, futuri costruttori di una comunità aperta e inclusiva. Per gli ospiti, sempre nell’ottica di un’acquisizione progressiva di indipendenza anche economica, sono previste anche delle occasioni per lavorare, ad esempio nella riqualificazione degli uliveti e dei boschi abbandonati del circondario. Infine, come segno di pace, stiamo pensando di organizzare momenti di preghiera che possano valorizzare, nella differenza, le tradizioni religiose cristiane e islamiche insieme.

Un progetto ambizioso e, a dirla tutta, più unico che raro.

Il nostro è un progetto assolutamente innovativo nel panorama italiano. La Chiesa accoglie direttamente nelle proprie strutture che, come dice il Vademecum della Cei per l'accoglienza dei migranti, non è opportuno che affitti a gestori esterni. Quella portata avanti con don Massimo e con l'associazione “Virgilio-città futura”, è una iniziativa diocesana, di Chiesa, e come tale sentiamo la responsabilità di aprire una strada nuova, secondo la linea di Francesco, anche alle altre parrocchie della diocesi e non solo. La Chiesa vive per l'accoglienza, e questa non è solo un accessorio della sua azione.

Come vi comporterete con la preghiera musulmana? Dopo le polemiche e dopo la “correzione” del vescovo, avete intenzione di proseguire su questa linea rischiando ulteriori attaccchi?

È un rischio necessario quando si vuole crescere nella comprensione del Vangelo e nella sua messa in pratica. Il Vangelo è per l'essere umano e per la sua libertà. Direi che è un rischio necessario proprio perché evangelico: sacro è l’essere umano prima che l’edificio. Il vescovo ha sbagliato a non parlare con noi prima di lanciare la sua “reprimenda” che ha creato grande confusione. I vescovi non possono non seguire la linea del Vangelo e del papa, quella di dare la priorità alla persona e alla sua dignità, anche nella legittima esigenza di permettere a ognuno l'espressione della propria religione. Talvolta si nota una discrasia profonda fra la novità e la freschezza del Vangelo che papa Francesco sempre sottolinea e il “boicottaggio subdolo” che ne fanno alcuni vertici della Chiesa, soprattutto italiana (come abbiamo potuto vedere nell'ultima assemblea generale della Cei).

Molti vescovi e cardinali attaccano Francesco per “difendere” la fede, la tradizione…

In pericolo qui non c’è la Tradizione, tutt’altro. Il vero pericolo per la Chiesa di oggi è piuttosto il tradizionalismo – che dimentica Dio sostituendolo con la norma e con la legge dell'essere umano – promosso dai movimenti "ultracattolici" che trovano terreno fertile in alcune canoniche, paladini delle celebrazioni in latino (che spesso nemmeno conoscono) e incapaci di dialogo con la società che semplicemente rifiutano.

Come ha reagito la sua comunità all’annuncio del progetto e all’arrivo dei ragazzi?

Una grande gioia verso una sfida che chiama tutti a mettersi in gioco, anche se qualche voce discorde non è mancata e qualche titubanza va superata. Credo sia bello poter cogliere quest'occasione per crescere nella conoscenza e fiducia reciproca, per collaborare e allenare i nostri occhi a vedere le necessità di tanti fratelli: senza distinzioni. I poveri non hanno colore, razza, religione che li distingua: i poveri sono la missione del cristiano e la comunità cristiana è chiamata a fare la propria parte eminentemente profetica. La Chiesa o è profetica o non è.

Cosa scatena la rabbia e la paura di molti di fronte ai progetti di accoglienza come questo? 

È la solita storia del capro espiatorio. Abbiamo bisogno di trovare una causa delle nostre difficoltà e del nostro malessere, e soprattutto alcuni partiti politici cavalcano l'onda delle tante difficoltà che molti cittadini e famiglie vivono oggi, solo per guadagnare consenso: che pericolo il populismo… In realtà, in Toscana l'accoglienza diffusa, con piccoli gruppi di migranti in ogni comunità, seppur fra tante difficoltà, sta andando bene ed è funzionale a una vera integrazione. Anche se certo potrebbe essere fatto di più…

Per esempio?

Ad esempio sarebbe più che opportuno velocizzare i tempi per il riconoscimento dello status giuridico dei richiedenti protezione. Poi serve un serio progetto di professionalizzazione per i migranti, perché non stiano ad attendere un mondo che purtroppo non li vuole, che li considera scarti. Poi c’è da fare un grande lavoro culturale, soprattutto nelle scuole, per contrastare le semplificazioni (interessate) di tanti mezzi di comunicazione.

Insomma, l’accoglienza si può e si deve fare!

Ci sono esempi anche in Italia in cui vediamo che la convivenza è possibile, anzi è fruttuosa. Le migrazioni sono un fenomeno che ha da sempre caratterizzato la storia del mondo: questo è il mondo nel quale siamo chiamati a vivere. Questo fenomeno non dobbiamo subirlo ma va governato, e così costruire un mondo che trovi nell'accoglienza il cardine sul quale far maturare una società solidale, giusta e colorata di pace. 

* Foto di Hunter. Foto tratta dal sito Flickr. Immagine originale e licenza.

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