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Santa Virginia da Roma? Prove di convergenza tra Chiesa e Movimento 5 Stelle

Santa Virginia da Roma? Prove di convergenza tra Chiesa e Movimento 5 Stelle

Tratto da: Adista Notizie n° 24 del 02/07/2016

38594 ROMA-ADISTA. Tra gli ultimi risultati elettorali che passeranno alla storia della politica italiana, la “marcia su Roma” del Movimento 5 Stelle di Virginia Raggi, ha provocato più di altri uno scossone nel panorama politico nazionale.

Uno degli elementi distintivi di questa tornata elettorale è stata l'assenza quasi totale di una riflessione sul “voto cattolico”, forse auspicata dopo gli anni dell’amministrazione Marino durante i quali i rapporti tra Campidoglio e Santa Sede si erano particolarmente incrinati. Anche da parte delle gerarchie ecclesiastiche italiane e vaticane, e dei loro mezzi di informazione, non pare esserci stato un esplicito sostegno ad alcuno dei candidati in lizza, sulla base di orientamenti etici o di tutela degli interessi temporali e politici della Chiesa. Anche il goffo tentativo di Mario Adinolfi (direttore della Croce Quotidiano e animatore delle piazze del Family Day) di fondare a Roma un soggetto in grado di catalizzare le aspirazioni del mondo cattolico, è miseramente naufragato, nell'indifferenza generale non solo dei fedeli della domenica, ma anche dei loro pastori. Segno inequivocabile della compiuta dispersione del voto cattolico su tutto l'arco parlamentare ma anche delle grandi difficoltà per le gerarchie cattoliche di riposizionarsi in un quadro politico tutt'altro che pacificato e in continua trasformazione, con i riferimenti di un tempo (centrodestra e centrosinistra) lacerati e in piena crisi di identità, e con l'avanzata di un terzo polo che potrebbe monopolizzare stabilmente la scena futura e con il quale le gerarchie già sanno di doversi confrontare.

Raggi, perché no?

Poco più di commenti balbettati con poca convinzione, eppure qualcosa si è mosso tra le mura vaticane. All'inizio della campagna elettorale, interpellato da un cronista del Messaggero, il segretario di Stato vaticano, card. Pietro Parolin, aveva sottolineato il «grande contributo» delle donne «per una politica più attenta alla persona e al bene comune» e poi, incalzato dal giornalista sul nome della candidata pentastellata, aveva timidamente lanciato la volata dell'attuale sindaca di Roma: «Le auguro ogni successo e di diventare quello che vuole diventare». Nelle settimane precedenti il voto, molte analisi hanno poi ricordato con insistenza la frattura che si è consumata negli ultimi anni tra Santa Sede e amministrazione capitolina: il noto “licenziamento” di Ignazio Marino da parte di papa Francesco, e ancor di più il Giubileo della Misericordia, un treno perso per la capitale – questa l'opinione strisciante in Vaticano – proprio per colpa di una sua pessima gestione da parte del Comune. A confermare l'ipotesi di un rapido allontanamento della Santa Sede dal Pd di Matteo Renzi è stato poi lo strappo consumato nei mesi di dibattito intorno alle unioni civili. Tutto questo avrebbe portato i vertici vaticani a guardare con certa curiosità all'attuale ascesa del M5S, soprattutto nella “culla della cattolicità”.

L’“Avvenire” di Virginia e il mondo Lgbt

Alcune mosse della candidata grillina in piena campagna elettorale lascerebbero poi intuire le mire del movimento sull'elettorato di ispirazione cattolica. In un'intervista del 19 marzo sul quotidiano dei vescovi Avvenire, Virginia Raggi ha espresso con forza la sua totale contrarietà alla maternità surrogata, dichiarando persino che i parlamentari di Beppe Grillo sarebbero impegnati «per porre veri argini a questa prassi». Alla domanda sul suo parere circa le adozioni gay, la grillina ha poi glissato, affermando che bisogna prima consultare gli esperti e poi rimettere ogni decisione alla volontà popolare, tramite referendum.

Argomento spinoso quello dei diritti Lgbt, dopo l'approvazione delle unioni civili e per la coincidenza del voto amministrativo con i vari Gay Pride celebrati lungo tutto lo Stivale. A segnare il divorzio tra la grillina e la comunità lgbt romana sono giunti gli attacchi per aver stralciato le istanze Lgbt dal programma elettorale, a causa proprio della grande influenza vaticana sulla capitale. Secondo il quotidiano online Lettera43 (31 maggio) il Tavolo politiche sociali del M5S romano – organo del Movimento nato nel 2013 con lo scopo di tutelare i diritti civili – aveva elaborato due schede per il programma di Raggi: la prima su un progetto culturale e turistico chiamato “Roma Gay Friendly”, la seconda contro la transfobia e sull'inclusione delle persone trans. Schede poi scomparse dal programma definitivo e sintetizzate, chiarisce il quotidiano con dovizia di particolari, in una generica riga – «Organizzazione e promozione di iniziative per una Roma città accogliente e tollerante nei confronti di tutte le diversità» – che ha scatenato, anche dentro il Movimento, le ire degli omosessuali tacciati in un sol colpo come “diversi da tollerare”. Tutt'altra storia nella città di Torino, dove l'attuale sindaca Chiara Appendino, a “distanza di sicurezza” dal Cupolone, aveva dedicato un intero capitolo del suo programma elettorale al riconoscimento dei diritti delle persone omo e transessuali.

Ciliegina sulla torta, infine, la clamorosa buca rifilata al Gay Village lo scorso 2 giugno: invitata insieme a Stefano Fassina e Roberto Giachetti ad un confronto elettorale sui temi cari al mondo Lgbt come omofobia e bullismo, la candidata del Movimento ha declinato affermando di avere altri impegni. Secondo due leader del Gay Village, Vladimir Luxuria e Imma Battaglia, Raggi avrebbe invece scansato l'evento per non disturbare l'opinione pubblica di destra, interessata a quei voti in prossimità del ballottaggio.

Alfio chi?

Voci e smentite si erano rincorse sulla cronaca politica romana durante tutta la campagna elettorale. Lo scorso 13 maggio, in un articolo dell'Espresso, Marco Damilano parlava del Vaticano come di un «Grande Elettore» pronto a puntare su Alfio Marchini, aggiungendo inoltre che il vicario del papa per la diocesi di Roma, card. Agostino Vallini, avrebbe ritenuto Marchini favorito perché «candidato di pacificazione», perché ben agganciato a papa Francesco «per i suoi trascorsi in Argentina e per la devozione alla vergine di Lujan». Il Vicariato, in quell'occasione, era subito corso ai ripari per scongiurare il fastidioso “matrimonio” con Marchini, ribadendo in un comunicato stampa la propria neutralità e terzietà: «La Chiesa non è parte in competizione, ma doverosamente e responsabilmente si schiera per il bene comune, ascolta con rispetto tutti e si impegna verso i bisogni di tutti». Infine, in merito alle dichiarazioni sul cardinale Vallini, chiosava il comunicato, «il Vicariato di Roma nega che tali affermazioni corrispondano a verità» (Sir, 19/5).

Vescovi in “movimento”?

Sembrerebbe più che disteso il rapporto tra Raggi e i vescovi, come testimoniano le ultime battute sul loro quotidiano, Avvenire. A pochi giorni dal ballottaggio, il 21 giugno, il direttore Marco Tarquinio ha sottolineato alcuni elementi chiave del voto: così come accaduto nel 2014 con l'affermazione del renziano Pd, «ha vinto chi ha saputo interpretare una basilare volontà “di cambiamento”»; gli elettori hanno voluto punire il Pd e, più precisamente, Matteo Renzi; questo voto potrebbe avere pesanti ripercussioni sul referendum costituzionale di ottobre; i tentativi di forzare il bipolarismo ha logorato destra e sinistra, lasciando campo libero al terzo polo. Dunque, ha scritto Tarquinio, «i cittadini là dove "vedono" una proposta alternativa alla "vecchia politica" autoreferenziale, troppo politicante e poco efficiente rispetto alle loro civiche attese, la scelgono». Niente protesta, dunque, ma solo «voglia di cambiare».

Nelle pagine interne, il quotidiano dei vescovi pubblica poi le sue pagelle su leader e candidati: sul podio Chiara Appendino (9 punti), Grillo (8) e Raggi (7 e mezzo, solo perché il suo è stato praticamente un «goal a porta vuota»); bocciati il premier e Piero Fassino (voto 5), seguiti da Matteo Salvini (4), ultimo degli ultimi. Il giorno seguente Paolo Rodari di Repubblica ha chiesto lumi al direttore Tarquinio, interrogandolo proprio sulle simpatie del quotidiano per i vari politici italiani. «Non facciamo apprezzamenti né endorsement per nessuno», ha chiarito Tarquinio, «semplicemente abbiamo voluto fotografare la realtà così come si è palesata». Che poi ha concluso: «I toni che hanno scelto di usare Raggi e Appendino subito dopo la vittoria sono molto intelligenti e istituzionali. Non ce l'aspettavamo all'inizio della loro parabola. E rilevarlo ora mi sembra un fatto del tutto importante e non scontato». 

* Immagine di Andrea Puggioni, tratta dal sito Flickr, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite.

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