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La libertà religiosa in Italia: un punto di vista protestante

La libertà religiosa in Italia: un punto di vista protestante

Tratto da: Adista Documenti n° 37 del 29/10/2016

L’eccezionalismo italiano

Si è spesso parlato, nell’ambito delle discipline storiche e sociologiche, del cosiddetto “eccezionalismo americano”, intendendo con questa espressione una particolare attitudine molto religiosa del popolo americano ed una autocomprensione di sé, dei propri valori e del proprio compito nella storia, contrassegnate da questa vocazione originaria. Tale peculiare imprinting della società americana è stato sovente richiamato per giustificare la pressoché totale assenza di quei tradizionali elementi di secolarizzazione e di relativismo che spesso connotano invece le “società cristiane” in Europa. Esiste, mutatis mutandis, anche un “eccezionalismo italiano”.

L’espressione, com’è noto, venne in talune occasioni adottata da Giovanni Paolo II per evidenziare la specifica inclinazione confessionale degli italiani. Gli italiani cioè sarebbero culturalmente cattolici-romani, e quindi più refrattari a forme di relativismo religioso ed etico rispetto agli altri popoli europei.

Da protestante italiano, faccio mia la formula wojtyliana dell’esistenza di un eccezionalismo italiano, ma ne do una rilettura inevitabilmente di segno diverso. La peculiarità italiana è figlia di una storia plurisecolare che risale almeno fino al Medioevo e che trova, ci sia concessa la semplificazione, in un falso storico quale la cosiddetta donazione di Costantino la sua legittimazione formale. Appellandosi a quel documento, infatti, i papi rivendicarono un potere temporale ed esercitarono quindi una forma di egemonia politica su Roma e sull’Impero. Tale dominio, con alterne vicende, si è prolungato per tutto il Medioevo e per buona parte dell’età risorgimentale, fino alla caduta di Roma il 20 settembre 1870.

L’eccezionalismo italiano, da un punto di vista protestante, si è storicamente specificato in tre distinte caratteristiche:

1. Un forte confessionismo dello Stato Italiano, protrattosi, di fatto, fino ad epoche recenti. Non si può infatti dimenticare che l’articolo 13 dello Statuto Albertino, che riconosceva nella Chiesa di Roma la religione dello Stato italiano, è stato formalmente soppresso soltanto nel corso dell’ultima revisione del Concordato tra Stato e Santa Sede, nel 1984, dunque a Costituzione repubblicana vigente. Si può parlare di un fatto formale finche si vuole, ma indicativo di un cammino di emancipazione piuttosto faticoso. Tanto più che, contemporaneamente, fino al 1984, l’art. 8 della Costituzione era rimasto inapplicato.

Il carattere laico delle istituzioni della Repubblica e il riconoscimento del diritto di libertà religiosa in capo all’individuo – si dirà – emergeva già con perspicua chiarezza dall’organica lettura degli articoli 2, 3, 8, 19, 20 della Costituzione e dal rilievo in essi accordato anche alle formazioni sociali ove si realizza la personalità. Tutto vero. Rimane la constatazione che il carattere laico e pluralista delle istituzioni pubbliche non si esprime soltanto in una sostanziale non confessionalità (o addirittura indifferenza) dello Stato, ma, secondo la definizione che ne ha dato la Corte Costituzionale nella sentenza 203/1989, «implica (…) garanzia dello Stato per la salvaguardia della libertà di religione, in regime di pluralismo confessionale e culturale». Implica cioè un atteggiamento attivo e solerte delle istituzioni della Repubblica, teso a garantire la fruizione concreta del diritto di libertà di religione.

2. Un’enorme difficoltà nella maturazione di una consapevolezza plurale del popolo italiano. La società italiana infatti, complice un apparato mediatico neghittoso e unilaterale, si è per lungo tempo percepita come sostanzialmente monoreligiosa.

3. La grande difficoltà per le minoranze religiose di far sentire la loro voce e far apprezzare la loro presenza nello spazio pubblico.

Una situazione in movimento

La situazione attuale nel nostro Paese risulta in movimento, e in rapido mutamento.

I flussi migratori, negli ultimi decenni, hanno fatto emergere con maggiore forza minoranze culturali e religiose consistenti che reclamano diritti e visibilità non più ignorabili.

La società italiana sta faticosamente maturando dunque un’idea di sé plurale ed eterogenea. Il quadro politico istituzionale non sembra aver preso ancora correttamente le misure del fenomeno, e non mancano partiti politici che usano argomenti retorici e propagandistici per promuovere una visione nazionalista e xenofoba dell’Italia.

La Chiesa Cattolica-romana gioca come sempre diversi ruoli, anche in corrispondenza delle sue diverse anime. A differenza dei due precedenti pontefici, l’attuale sembra più attento alla cura pastorale e agli sviluppi del dialogo ecumenico e meno incline ad ingaggiare una lotta contro gli esiti della modernità, evitando al tempo stesso di ingerirsi direttamente nelle vicende politiche del Paese. 

Al tempo stesso riemergono movimenti ecclesiali laici, non orfane di patrocinio da parte di settori qualificati della Cei, che lottano contro determinate proposte legislative. Sono i promotori del Family Day, della lotta contro qualunque riconoscimento giuridico delle coppie omosessuali, contro il gender, promuovono una applicazione restrittiva della legge 194 sull’aborto, o ne boicottano l’applicazione invocando l’obiezione di coscienza. 

Si deve anche aggiungere che la Santa Sede in anni recenti (2009-2012) ha interloquito fruttuosamente con il nostro Ministero degli Esteri spronandolo ad occuparsi maggiormente del monitoraggio e della promozione della libertà religiosa nell’ambito della propria azione diplomatica.

Sembra complessivamente di poter osservare che il tema di un riconoscimento ampio della libertà religiosa nel nostro Paese, per il player cattolico-romano, non sia più un tabù.

Timidi passi in avanti

La situazione odierna non ci consente tuttavia di essere ottimisti. Nonostante nella scorsa legislatura e nell’attuale si siano ratificate alcune Intese ai sensi dell’art. 8 della Costituzione, con rispettive Chiese e con tre religioni non cristiane, rimane purtroppo urgente la necessità di una legge quadro di libertà religiosa che superi, pur senza rinnegarlo, l’attuale regime concordatario e traduca in norme inclusive e valide per tutti i principi costituzionali. Le Intese infatti sono uno strumento immaginato dai nostri costituenti per intervenire in un quadro religioso relativamente poco plurale e perlopiù riconducibile al novero delle presenze cristiane. Ne consegue che nell’attuale contesto plurale, ricco anche di religioni non cristiane (la seconda religione in Italia infatti per numero di aderenti è l’Islam) il sistema dei rapporti bilaterali tra Stato e singola confessione/religione, fatalmente risulta lento, estremamente farraginoso e ingolfato.

L’istantanea che emerge attualmente è quella di un sistema a piramide: al vertice la confessione Cattolica-romana, che in virtù del concordato (ex art. 7 della Costituzione) gode di una tutela giuridica esclusiva. Seguono Chiese e religioni (12 in tutto) che hanno siglato un’intesa con lo Stato, le quali fruiscono certamente di una buona piattaforma di diritti, pur tuttavia non paragonabile a quella cattolica. E infine, alla base ampia della piramide, vi è una stratificazione di confessioni cristiane e religioni – secondo l’ultimo dato accreditato dal Cesnur sarebbero circa 800 – che in taluni casi hanno solo una semplice personalità giuridica e in molti altri casi ne sono privi e ricadono sotto la vecchia legge (1159/1929) fascista sui culti ammessi. Per tutti questi cittadini o ospiti nel nostro Paese, avere un ministro e un luogo di culto, l’assistenza spirituale nei luoghi di cura o di reclusione, un adeguato riconoscimento nel sistema scolastico (diritti di libertà religiosa), è quasi impossibile. 

Un’ottica protestante

Il protestantesimo è al suo interno molto variegato. La pluralità protestante, al netto dei dissidi e delle reciproche scomuniche, non fu però esattamente un difetto d’origine, ma la conseguenza dell’aver rinunciato ad avere una autorità ecclesiastica centrale e un unico modello di ecclesialità, ed aver riconosciuto la Scrittura come unica guida e sola fonte normativa. Naturalmente anche il protestantesimo si è dotato di strutture di governo della Chiesa, ma ha perlopiù individuato in organi sinodali (dunque collegiali) ed elettivi lo strumento idoneo alla funzione.

La libertà religiosa (ci si consenta l’anacronismo), anche in seno alla Riforma del XVI secolo, fu poco praticata: basterebbe chiedere conferma ai tanti anabattisti annegati, torturati o messi al rogo, o ricordare la sorte del dissidente Michele Serveto nella Ginevra di Giovanni Calvino. Cionondimeno è fuor di dubbio che dal crogiolo della Riforma protestante e dalle sue propaggini nascerà un’epoca nuova che, anche attraverso compromessi ruvidi come il cuius regio eius religio, preparerà la strada all’affermarsi della libertà religiosa.

Se la libertà religiosa, come più tardi affermerà il pastore protestante Alexandre Vinet, è una declinazione imprescindibile della libertà di coscienza, crediamo sia giusto ricordare a questo punto del nostro discorso, che quest’ultima non si estrinseca solamente nella prima.

Oggi più che mai la libertà religiosa ha davanti a sé due sfide: tradursi in una concreta libertà di culto per gli individui e le comunità, e chiamare all’appello gli altri diritti che dalla coscienza scaturiscono.

Le Chiese e le religioni non possono più rivendicare, come pure è accaduto, il giusto riconoscimento dell’insopprimibile anelito della coscienza alla determinazione del proprio credo, disinteressandosi o addirittura avversando, su altri terreni, il pieno riconoscimento dei diritti della persona, il pieno godimento dei diritti civili. Le Chiese e le religioni, specie quelle che hanno conosciuto in molte parti del mondo la condizione di minoranza, devono educarsi ed educare alla indivisibilità dei diritti. Lo possono fare con pertinenza, proprio perché storicamente le minoranze hanno conosciuto il sacrificio dei diritti civili e politici come ritorsione per lo loro ostinata richiesta di libertà religiosa.

La recente e reiterata ostilità, giusto per fare un esempio, di molta parte del mondo cristiano nei confronti del riconoscimento da parte dello Stato delle coppie gay, contraddice il rispetto per gli insindacabili statuti della coscienza che il mondo religioso in genere dice di voler ossequiare.

La Chiesa, per dirla davvero in gergo protestante, deve riconciliarsi con tutte le espressioni della parola “libertà” ed educare gli individui e le comunità alla responsabilità davanti alle proprie scelte.

Occorrono dunque istituzioni laiche e consapevoli del loro difficile ma fecondo ruolo di mediazione e fedi che sappiano chiedere con garbo ospitalità e attenzione alle istanze dell’uomo moderno. È quasi il caso di dire: il cammino è forse già la meta. 

L’AUTORE

Pastore avventista e direttore del Dipartimento Affari Pubblici e Libertà Religiosa dell'Unione Italiana delle Chiese Cristiane Avventiste del 7° Giorno.

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