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Islam, islamofobia e libertà religiosa ancora da costruire

Islam, islamofobia e libertà religiosa ancora da costruire

Tratto da: Adista Documenti n° 37 del 29/10/2016

La libertà religiosa per i musulmani residenti in Italia, immigrati o cittadini italiani che siano, semplicemente non esiste. E se non esiste per loro, significa che la libertà religiosa non esiste per nessuno, sebbene essa sia sancita come diritto inalienabile nella nostra Carta Costituzionale. Ne sono testimonianza i tanti referendum, assolutamente illegittimi, che si tengono in tutte le città, soprattutto al centro nord, dove si vorrebbe erigere una moschea. O le oramai numerose leggi regionali, quella lombarda già operante e quelle Veneta e Ligure in via di approvazione, finalizzate ad impedire, attraverso mille cavilli giuridici, la possibilità di costruire moschee. O cose ancora peggiori come le aggressioni a singoli musulmani, soprattutto donne, o danneggiamenti o veri e propri attentati nei confronti dei luoghi di culto islamici. Oppure la chiusura sistematica di luoghi di culto islamico, che raccolgono soprattutto immigrati, come la storica moschea al-Huda di Centocelle.

Nei confronti dei musulmani italiani è in atto, oramai da oltre un quindicennio, una vera e propria persecuzione che ricorda ciò che è successo, nel nostro Paese e in Europa, durante il periodo della Seconda guerra mondiale contro gli ebrei. L’islamofobia, che attualmente stanno vivendo i musulmani, si configura sempre più come una variante dell’antisemitismo. Stessi i metodi, stessi i contenuti di ciò che viene diffuso contro i musulmani descritti come violenti e assassini, stesse le forze politiche che hanno fatto dell’islamofobia la loro caratteristica di fondo. Secondo l’Eurispes, nel suo rapporto reso noto agli inizi del 2016, «ben il 39,8% degli italiani si trova a guardare con sospetto le persone dai tratti medio-orientali». 

I numeri di un Islam plurale

La comunità musulmana in Italia, secondo gli ultimi dati disponibili, costituisce sicuramente la seconda religione del nostro paese. Essa è composta da circa un milione e seicentomila immigrati e da circa 245mila cittadini italiani passati, secondo Eurispes, dai «10mila cittadini del 2001 (appena lo 0,9%) ai 40mila del 2008 (3,4%) fino alle 245mila unità dell’anno scorso (15%)». E si tratta di cifre destinate a crescere sia per l’arrivo di nuovi migranti, sia per il fenomeno delle conversioni di cittadini italiani che, secondo i responsabili di molte organizzazioni islamiche, è in aumento ma di cui non c’è al momento una stima attendibile. Il numero così rilevante dei musulmani cittadini italiani è attribuito però, dai centri di ricerca, al fenomeno della naturalizzazione dei migranti e non alle conversioni. In ogni caso ci sono circa due milioni di persone musulmane senza diritti religiosi in spregio della nostra Costituzione. 

E si tratta di un Islam che nella sua composizione è plurale, sia per le molte correnti di pensiero che lo attraversano fin dalla sua nascita (sunniti, sciiti, kharigiti, nate subito dopo la morte del profeta Muhammad), sia per quelle che poi sono nate nel corso dei 1.438 anni di storia dell’Islam (malikiti, shafi’iti, hambaliti, hanafiti e tanti altri), sia soprattutto per le tante nazionalità diverse che compongono il variegato mondo degli immigrati giunti nel nostro Paese, ognuna con un proprio modo di intendere l’islam nella propria vita quotidiana. È un fenomeno tipico di tutte le grandi religioni che, espandendosi su scala mondiale, si sono incarnate nelle specifiche culture di ogni Paese. Non si può trattare allo stesso modo un musulmano della penisola arabica, dove l’islam è nato, con un musulmano pachistano, o indiano, o turco, o libico o marocchino. Come succede anche per i cristiani.

E già da qualche anno, assistiamo nel nostro Paese al fenomeno dei luoghi di culto organizzati su base etnica. Stesso fenomeno esiste per i cristiani. Accanto alle prime moschee che raccoglievano musulmani di varie provenienze etniche, negli ultimi anni si sono organizzate, per lo più spontaneamente e senza alcun coordinamento, luoghi di culto di singole etnie o nazionalità. Pachistani, bengalesi, senegalesi, nigeriani, marocchini... ritrovandosi casualmente in una determinata città si sono uniti incontrandosi in scantinati o garage trasformati in luoghi di culto, senza andare a cercare le moschee già esistenti. E spesso queste ultime hanno grandi difficoltà ad entrare in contatto con queste comunità, chiuse al proprio interno e con grandi difficoltà a relazionarsi con la realtà del nostro Paese. 

La legge sulla libertà religiosa e l’intesa

Nella vita quotidiana del Ministero dell’Interno, che si occupa dell’applicazione della legge sui culti ammessi, tutte le religioni diverse da quella cattolica sono guardate con sospetto, anche se esse hanno da tempo l’Intesa con lo Stato secondo l’art. 8 della Costituzione2. Eppure la stessa religione cattolica è oggi, di fatto, una minoranza della popolazione. Pur dichiarandosi cattolici, secondo Eurispes, il 71,1% della popolazione, percentuale questa già molto bassa rispetto a quella di una decina di anni fa, il numero dei praticanti e di quelli che rispettano integralmente tutti i precetti cattolici sono solo il 5,3%.

A causa dell’islamofobia crescente, il percorso per la stipula di un’intesa fra l’Islam in Italia e lo Stato Italiano, sul tipo di quello realizzato per una molteplicità di religioni, non solo cristiane, non è neppure cominciato, pur essendoci proposte in tal senso fin dal 1990 formulate all’epoca dall’UCOII. Ostacoli su ostacoli vengono frapposti a che l’intesa si realizzi. Si va dal fatto che l’Islam non è univocamente rappresentato, cosa che non ha pesato in alcun modo, ad esempio, per le confessioni cristiane ognuna delle quali, con l’eccezione dei Testimoni di Geova, ha l’Intesa con lo Stato ratificata e operante; ai sermoni che devono essere in italiano e non in arabo e via cavillando. 

L’11 luglio 2016 c’è stata una riunione del Consiglio per i rapporti con l'Islam Italiano presso il Ministero dell’Interno dove è stato presentato un documento redatto da un gruppo di esperti, presieduto dal valdese Paolo Naso, dove si traccia un percorso che, secondo le intenzioni dei proponenti, dovrebbe portare alla realizzazione dell’Intesa o quanto meno creare i presupposti affinché essa si realizzi. Questa proposta è in itinere e al momento non sappiamo come andrà a finire. Tutti i percorsi hanno i loro pro e i loro contro. Viviamo una fase nella quale la stessa possibilità che si raggiunga un’Intesa, qualunque essa sia, con l’Islam è vista come il fumo negli occhi dalle forze politiche di destra, Lega Nord in testa. Un’intesa sarebbe dunque estremamente necessaria, anche se non risolutiva, perché poi bisogna affrontare la lunga battaglia per la sua approvazione parlamentare che, come sanno bene i Testimoni di Geova che hanno un’Intesa firmata fin dal 1999, potrebbe essere rimandata sine die, soprattutto se al governo dovessero andare le forze apertamente islamofobe.

Il dialogo contro le ideologie della guerra

Ma perché siamo arrivati a questo punto nerissimo della nostra storia? C’è chi agita quotidianamente lo spauracchio della “invasione religiosa islamica”. Alcuni numeri smentiscono categoricamente questa presunta invasione. Secondo il Dossier Statistico Immigrazione curato dal Centro Studi e Ricerche Idos, tra gli oltre 5 milioni di immigrati stanziati in Italia, oltre la metà (53,8%) sono cristiani (circa 2.700.000 persone) e solo il 32,2% è musulmano (circa 1.600.000 persone). Rispetto al 2013, i cristiani sono 6 punti decimali in più, mentre i musulmani sono 9 punti decimali in meno e i fedeli di religioni orientali 6,7% sono 3 punti decimali in più. È chiaramente inventata la paventata “invasione religiosa” islamica.

L’islamofobia è dunque creata ad arte. Bugie su bugie vengono diffuse dai grandi mass-media che diffondono i proclami apertamente razzisti dei partiti della destra che sono fatti passare come “legittime opinioni politiche”. Ma il razzismo non è una legittima opinione politica, come non lo è il fascismo.

Queste posizioni hanno una lunga storia alle spalle. Risalgono al 1993 quando Samuel P. Huntington inventò la dottrina dello “scontro di civiltà” per dare supporto ideologico all’espansionismo statunitense che si era manifestato immediatamente dopo la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’URSS (1989-1990). La dottrina di Huntington, sullo scontro di civiltà intese come religioni, è quella che ha dato il via alla campagna mediatica su scala mondiale contro l’islam che, da allora, fu individuato come il nemico da battere per mantenere la superiorità occidentale. Caduta l’Urss, i politologi statunitensi come Huntington inventarono il nuovo nemico contro cui dirigere le forze armate americane. Huntington sostenne l’idea che la divisione del mondo in Stati sia riduttiva, e che questo vada invece suddiviso a seconda delle civiltà enumerandone nove: Occidentale, Latinoamericana, Africana, Islamica, Sinica, Indù, Ortodossa, Buddista e Giapponese. È stato Huntington ad affermare che «le frontiere dell'Islam grondano sangue», sostenendo che le guerre non si sarebbero combattute per motivi economici o ideologici ma saranno legate alla cultura. 

Huntington reinventò, ad uso e consumo dell’imperialismo statunitense, la dottrina delle “guerre di religione”. Gli attentati dell’11 settembre del 2001, che diedero inizio a quella che poi papa Francesco ha chiamato «terza guerra mondiale a pezzi», sono stati letti nell’ottica di Huntington della “guerra di religione”, pur essendo la sua dottrina del tutto confutabile sul piano scientifico e storico.

«Ma quei giorni – scrive il comunicato stampa del 12 settembre 2016 del Comitato organizzatore della Giornata del dialogo cristiano-islamico (giunta alla sua XV edizione) riferendosi al dopo 11 settembre – furono usati anche per rilanciare il dialogo tra le religioni e l’impegno per la pace. Mentre veniva dispiegata la più grande macchina da guerra che la storia abbia mai registrato, compresi potenti media che hanno soffiato sul fuoco dell’odio e hanno diffuso l’idea della “guerra di religione”, dal basso, uomini e donne di pace, teologi, giornalisti, studiosi, associazioni, lanciarono con un appello l’idea di una Giornata ecumenica del dialogo cristiano-islamico che, da allora, è diventata un appuntamento fisso della nostra vita sociale». 

L’AUTORE

Giornalista, diplomato in Teologia presso la Facoltà Valdese di Teologia. Si occupa di dialogo ecumenico ed interreligioso. È direttore del periodico “il dialogo” di Monteforte Irpino (www.ildialogo.org), punto di riferimento nazionale del dialogo cristiano-islamico.

* La Grande Moschea di Roma. Immagine di Pina Sozio, tratta dal sito Flickr, licenzaimmagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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