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"La nostra cruda logica". In un libro, le scioccanti testimonianze di 145 soldati israeliani

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 19/11/2016

Hebron, 2004. La Tnuva Road, che porta dal quartiere di Avraham Avinu alla Grotta dei Patriarchi, è divisa dalle transenne: su un lato passano i palestinesi; sull'altro i coloni. Un palestinese cammina con il figlio al fianco. A un certo punto compaiono quattro bambini, figli di un colono: prendono un sasso e lo tirano al ragazzino palestinese. Un soldato israeliano sgrida i bambini, ma arriva il padre a difenderli. «A parte abbassare il capo per la vergogna, non c'era niente che potessi fare – racconta il soldato – perché non posso alzare una mano contro i bambini di un colono. Non li posso minacciare con la mia arma. Se la situazione fosse stata l'opposto, non so cosa sarebbe accaduto».

Questo spaccato di terribile quotidianità ce lo consegna il libro La nostra cruda logica. Testimonianze di soldati israeliani dai Territori occupati, con il quale Donzelli Editore offre al pubblico italiano 145 testimonianze di soldati israeliani raccolte tra il 2000 e il 2010 dall'ong Breaking the Silence (Donzelli Editore, 2016, pp. 360, euro 30).

L'organizzazione, che riunisce veterani ed ex combattenti dell’esercito israeliano (IDF) che hanno prestato servizio nei Territori palestinesi dall’inizio della seconda Intifada a oggi, è nata nel 2004 con l'obiettivo di far conoscere la verità circa la presenza militare israeliana nei Territori occupati. A questo scopo intervista uomini e donne che hanno militato nelle forze di sicurezza israeliane e organizza conferenze e visite in Cisgiordania.

Il libro La nostra cruda logica è uscito per la prima volta in ebraico nel 2010 con il titolo Kibush HaShtachim ed è poi stato tradotto in inglese nel 2012. Suscitando ovviamente un ampio dibattito.

Le testimonianze non lasciano spazio a dubbi: se da un lato è vero, si legge nell'introduzione al volume, che nel decennio in questione «l'apparato di sicurezza ha dovuto reagire a minacce concrete», è altrettanto vero che «le azioni israeliane non hanno un carattere esclusivamente difensivo». Anzi: «Hanno sistematicamente portato all'annessione di fatto di ampie porzioni della West Bank, mediante l'appropriazione dei beni degli abitanti palestinesi, rafforzando il controllo sulla popolazione civile e instaurando un clima di paura». Insomma, «la concezione corrente nella società israeliana, secondo la quale il controllo dei Territori occupati ha l'esclusivo intento di proteggere i cittadini israeliani, è incompatibile con le informazioni fornite da centinaia di militari della IDF». 

Crolla così la narrazione dominante nella società israeliana circa le azioni dell'esercito. I racconti dei soldati mostrano che «l'effetto delle attività svolte da Israele nei Territori non è il mantenimento dello status quo bensì la sua trasformazione. Mentre Israele procede ad espropriare in misura sempre crescente aree di territorio, la superiorità militare di cui dispone gli consente di controllare la vita dei palestinesi a tutti i livelli. Contrariamente all'impressione che il governo di Israele tende a trasmettere, quella di uno Stato impegnato in un cauto e lento ritiro dai Territori in condizioni di sicurezza, le testimonianze dei militari descrivono un incessante sforzo teso a rafforzare la presa che Israele esercita sulla terra e sulla popolazione palestinese».

I testimoni, spiega Breaking the Silence, provengono da tutti gli strati della società israeliana e quello che raccontano contiene riferimenti a quasi tutte le unità della IDF impegnate nei Territori occupati. Fra di loro vi sono sia comandanti e ufficiali che soldati semplici; uomini e donne. Tutte le testimonianze sono state raccolte da veterani e verificate prima della pubblicazione. Nessuna è mai stata smentita. 

Arrivare fino all'ultima pagina è dura: le umiliazioni, le vessazioni, le violenze cui i soldati sottopongono bambini, donne e uomini sono le più varie. Dal saccheggio delle case alle percosse su detenuti immobilizzati; dall'uso delle persone come scudi umani agli omicidi compiuti per rappresaglia; dai posti di blocco eretti solo per provocare e dare fastidio alla chiusura dei negozi come forma di punizione collettiva.

Molte testimonianze raccontano di un disagio, di una contrarietà rispetto a queste azioni, ma i soldati nella quasi totalità dei casi non riescono ad opporre resistenza a questo sistema di abusi generalizzati. 

È nella distanza – di tempo e di luogo – che al “semplice” disagio si sostituisce la consapevolezza e il desiderio di condividere quell'esperienza. «Se la testimonianza riguarda i fatti nel momento in cui accadono, la memoria e il racconto riguardano la costruzione e l'evoluzione della soggettività», scrive Alessandro Portelli nella prefazione: «Il tempo che trascorre fra gli eventi e la memoria è il tempo della ricerca di senso e del cambiamento». L'intero libro è, in buona sostanza, «un profondo esercizio di autoanalisi dei narratori e attraverso di loro, della loro umanità e di quella del loro mondo. Il suo potere sta proprio nel fatto che i narratori partono dall'interno della “cruda logica” e faticosamente cercano di districarsene. I soldati hanno paura, sono soli, sono confusi, non capiscono; sanno di essere circondati da ostilità, usano anche in senso molto estensivo il termine “terrorista” (“nei Territori ogni palestinese è un potenziale terrorista”). Riconoscere l'umanità dell'altro – prosegue Portelli – non significa necessariamente identificarsi o fraternizzare: in questi racconti resta sempre un dislivello, una distanza, una estraneità anche linguistica. Le ragioni dei palestinesi dobbiamo cercarle altrove; l'argomento del libro non è la Palestina, ma Israele»: «Nessuno di questi soldati – spiega Portelli – ha neanche l'ombra di un'incertezza sul diritto di Israele a esistere, a difendersi, a vivere con sicurezza, ma cominciano a domandarsi se questo sia il modo migliore, più morale e a lungo termine più realistico di perseguire questi fini». 

Breaking the Silence e altre organizzazioni impegnate sul fronte dei diritti umani, negli ultimi tempi sono state accusate, anche da esponenti di governo, di tradimento, di essere agenti stranieri impiantati in Israele allo scopo di aiutare il «terrorismo» palestinese (v. Adista Notizie n. 1/16). Ma è vero il contrario. Come scrive Portelli, questo libro è un «atto di patriottismo, un contributo alla vita di un Israele che cerchi di essere democratico, non solo verso se stesso ma anche verso l'altro».

* Soldati della Israeli Defense Forces a Hebron (novembre 2000). Foto di Devin Asch, immagine originale e licenza.

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