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Strage di Casalecchio di Reno. Era una mattina bellissima...

Strage di Casalecchio di Reno. Era una mattina bellissima...

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 44 del 17/12/2016

Tutto accadde il 6 dicembre 1990 a Casalecchio di Reno. Un aereo militare compie un’esercitazione sorvolando il paese, tira aria di guerra in Iraq, e bisogna esercitarsi... sui civili. 

Quel 6 dicembre è tutto tranquillo come sempre, giornata fredda ma serena nonostante l'inverno, bella mattinata davvero. Il sole rischiara le vite di chi sta lavorando, di chi passeggia, di chi dorme, di chi studia. 

Poi quell'aereo militare comincia a perdere quota, il pilota, un tenente, che oggi è colonnello, vilmente si getta fuori e l'aereo se ne va per conto suo. Cade su una nostra scuola, il “Salvemini”, 12 ragazzi muoiono, circa 90 rimangono feriti gravemente, alcuni sfigurati per sempre, un paio di anni dopo qualcuno si toglie la vita. La giustizia dapprima colpisce duro, poi se ne lava le mani: il 26 gennaio 1998 i giudici della IV sezione della Cassazione di Roma rigettano tutti i ricorsi, «il fatto non costituisce reato». Nessun responsabile quindi se le vite di Laura, Deborah, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen e Alessandra sono state stroncate. Dopo che la strage venne negata in appello, con scarse reazioni istituzionali e con sdegno di breve durata, alcuni ragazzi dell'Associazione studenti ed ex-studenti del Salvemini, scrissero una lettera (alla rivista Alfazeta) parlando d'una «tredicesima vittima: la gente e gli stessi opinionisti colpiti dalla scarsità di informazioni che i loro stessi colleghi forniscono. Tredicesima vittima è la dignità calpestata dal peso o in nome di una divisa. La tredicesima vittima è chi cade in questa rete e sta al gioco». Imputati al processo erano il pilota Bruno Viviani, il suo comandante Eugenio Brega e l'ufficiale della torre di controllo Roberto Corsini. La loro difesa, su richiesta del Ministero della Difesa, venne affidata all'Avvocatura dello Stato. «Scelta che provocò rabbia e sconcerto perché se è vero che l'aereo era un mezzo militare è pur vero che colpì una scuola statale», scrissero gli studenti lamentando che «il Ministero della Pubblica Istruzione non trovasse nella morte di 12 studenti, avvenuta mentre facevano lezione, una motivazione per chiedere di essere rappresentato da quell'organo al servizio dello Stato che è l'Avvocatura». 

Il processo di primo grado ebbe il coraggio (di fronte all'evidenza dei fatti) di condannare Viviani, Brega e Corsini a pene superiori ai due anni – per disastro aviatorio colposo e lesioni colpevoli – e il Ministero della Difesa a risarcire i danni (per responsabilità civile). Nella sentenza d'assoluzione si legge invece che il caso fu gonfiato, che «il dibattimento diventò un rito esorcistico», che i giudici di primo grado aggiustarono i fatti. Per mandare assolti i militari si usa un linguaggio arrogante, assurdo e offensivo. Nella stessa logica del piccolo e squallido ricatto di non affidare al Genio i lavori (gratuiti) di ricostruzione della scuola se l'amministrazione di Casalecchio non avesse prima firmato una liberatoria, in pratica una specie d'assoluzione morale anticipata. Trenta denari che non furono accettati.

Poi il silenzio cala su Casalecchio. Le esercitazioni su zone abitate continuano. Anche le guerre continuano. Anche l'ipocrisia delle istituzioni e della politica continuano. E tutto conferma la linea di comportamento di "certi uomini"... come prima, più di prima.

Alti ufficiali dell'esercito, dei carabinieri, dell'aviazione, della marina. Presidenti della Repubblica, ministri, sottosegretari, funzionari. Giornalisti, politici, vescovi e cardinali. Uomini del potere pronti ad indignarsi ad ogni piè sospinto, pronti a scatenare la canea reazionaria e razzista contro gli immigrati, le prostitute, gli scioperanti, gli occupanti, i disoccupati, i centri sociali o i precari. Uomini della cosiddetta "tolleranza zero" estremamente tolleranti e comprensivi, invece, quando sul banco degli imputati dovrebbero sedere loro o i loro compari e complici.

In quei giorni, quando, di lì a poco, l'Occidente attaccò l'Iraq a suon di bombe dicendo che così facendo esportava democrazia, non ce la feci più. Ne avevo già viste troppe di cose bastarde e immerse nel sangue, e poi quella pelle bruciata dei ragazzi mi spingeva lontano, quasi a volermi dire che il senso della vita non si eredita, ti salta addosso dal davanti... quando vuole, o quando vuoi...

Ora non passa sera senza un saluto a Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen, Alessandra. E agli altri amici, compagni, persi nel sangue... E mi sento ancora là, con loro, eppure mi spingono qui, nel mercato della speranza, che è sempre vestita di stracci, e dove il Dio in cui credo e spero mi dice che il male non revoca il bene.

Era una mattina bellissima, fredda, limpida, sembrava quasi invocare una festa. 

Benito Fusco è frate dell'ordine dei Servi di Maria, parroco di S. Lorenzo a Budrio (Bologna)

* Immagine originale e licenza.

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