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Il lavoro e la laica sacralità dei diritti

Il lavoro e la laica sacralità dei diritti

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 21/01/2017

Da tempo diversi di noi, nel tentativo di conservare prospettiva etica a molti elementi della vita delle persone, si ostinano a ricordare che il lavoro non è una merce, soltanto un modo di trovare risorse economiche per vivere, prospettiva di realizzazione sociale sul piano competitivo. Nella linea del pensiero cristiano, lavorare è continuare ed attualizzare l’opera creativa divina, diritto inalienabile di inserimento nella socialità di appartenenza: Gesù era un operaio carpentiere e così ha trascorso la quasi totalità della sua vita. Proprio perché opera divina (anche Dio lavora – e quindi si riposa quando ha portato a compimento il suo agire – creando l’esistente), il lavoro deve essere vissuto nella pienezza dei diritti e della qualità possibile. Non deve essere occasione di sfruttamento, azione ingiusta perché foriera di malattia, rischio, diseguaglianza, discriminazione di genere: incompatibile con la schiavitù, l’attività lavorativa è espressiva della potenzialità sociale dell’individuo. 

Fin qui la (nobile) teoria. Nelle contingenze di questa fase storica se non è possibile rinnegare quanto affermato, si assiste però al continuo detrimento delle dimensioni valoriali correlate a molte delle dimensioni concrete della vita dei lavoratori. Il lavoro manca e per averlo si deve essere disposti a fare molto di quanto ritenevamo inaccettabile. La sindacalizzazione decresce, la flessibilità di cui parlava Richard Sennett ne L’uomo flessibile (1999) è divenuta regola, soprattutto i più giovani mostrano segni di rassegnazione e quindi di resa di fronte a chi dà lavoro ma a condizioni sempre meno trattabili, diminuendo le possibilità che in relazione a tale lavoro si possono realizzare. Il neoliberismo ha vinto la sua battaglia storica, come i teorici della fine della storia avevano pronosticato? È riuscito a realizzare un orizzonte che non contempla riscatto per le classi sociali meno garantite e quindi per la maggior parte dei lavoratori di questo mondo, ricattati in questa carenza di attività lavorativa ad accettare di tutto, pur di procurarsi il necessario per vivere, sostentare le proprie famiglie, progettare un minino di futuro? E, appunto, che tipo di futuro si delinea con un capitalismo che sembra senza contrasto possibile, nell’imperare della logica della massimizzazione del profitto, realizzato ad ogni costo possibile sulla pelle – ed in un senso non solo figurato – di molte donne ed uomini? 

Nel suo ultimo film, Io sono Daniel Blake, il regista inglese Ken Loach narra lo sterminio della classe operaia, non più tutelata dallo stato sociale e quindi impossibilitata a sopravvivere, se non sperando nella fortuna di non ammalarsi… Anche in Italia il sistema previdenziale è vessato da continue revisioni di bilancio e la situazione generale sembra indicare il rischio concreto che ogni forma di contrattazione organizzata, di tipo sindacale, sia desueta e possa essere sostituita da iniziative personali o al massimo di categoria. Le controversie adesso dibattute tra sindacati e governo vengono fatte passare come contingenti, di secondo piano: in realtà indicano un sentire sociale preoccupante, in cui si sono perse le grandi prospettive di un disegno complessivo di tutela giuridica di chi lavora. Le azioni di abolizione del famigerato articolo 18 erano avvisaglie del tentativo chiaramente in corso di istituzionalizzare le precarietà e rendere sempre più facile creare posti di lavoro con ridotte tutele e garanzie. 

L’aspetto più avvilente di questo contesto è che sta umiliando le prospettive legittime, le giuste rivendicazioni e le aspettative di chi lavora per vivere, dileggiando sotto l’epiteto di idealista poco contemporaneo chi  sostiene la laica sacralità dei diritti. Chi ha governato finora ha la responsabilità di aver annientato le speranze di troppi lavoratori, che si sentono promettere per concessione e favore quel che sarebbe da istituzionalizzare, garantendolo per diritto. Qui non si tratta di discutere su singoli elementi della legislazione e delle disposizioni, ma di mostrare un cambiamento di sensibilità: la politica che riprende il controllo del potere economico e quindi delle strutture produttive e del terziario. Ciò si afferma anche a vantaggio della classe imprenditoriale: povertà, esasperazione e fragilità sociale per numeri sconvolgenti di cittadini non portano vantaggio alle classi più agiate; è miopia pericolosa aver portato la situazione a questo livello.

Scrivo dopo aver letto nella liturgia dell’Epifania la storia dei Magi, cercatrici e cercatori di altre strade rispetto a quelle del potere di Erode. Si possono trovare, è sicuro, perché ci sono. Per trovarle, però, bisogna guardare in alto, e continuare a sognare. 

* parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi) e referente di Libera per la Toscana

* Immagine di el cajon yacht club grande, tratta dal sito Flickr. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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