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Missione a Napoli / 3. La sfida delle periferie

Missione a Napoli / 3. La sfida delle periferie

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 11 del 18/03/2017

Solo ora, dopo tanti anni di presenza nel rione Sanità, una delle periferie interne di questa città, riesco a capire quanto complessa sia la situazione e quanto difficile sia essere missionario in luoghi come questi.

Vista dalle periferie, Napoli salta subito all’occhio come una metropoli spaccata in due, la “Napoli bene” come la borghesia di Chiaia, Vomero, Posillipo, e la “Napoli malamente”, che va dalle periferie “esterne” di Scampia, Ponticelli, Barra alle periferie “interne” (il centro storico degradato di Forcella, Quartieri Spagnoli, rione Sanità). C’è un muro invisibile che separa queste due Napoli, due città che non vogliono incontrarsi. Da una parte una ricchezza ostentata e dall’altra una bomba sociale che fa paura.

Nelle periferie di Napoli sta crescendo una generazione di ragazzi ai quali è negato il futuro. La cosiddetta “Napoli bene” trova più comodo ignorare questo divario. «Il dramma dei ragazzi stritolati dalla camorra non si risolve nei salotti», ammonisce il pm Woodcock che indaga sulle baby-gang del centro città. «È un fenomeno criminale imponente che ci riguarda tutti, a cominciare da quella borghesia che dovrebbe decidersi una volta per tutte a uscire dal suo isolamento». E questo non sta avvenendo, mentre si fa sempre più aspra la guerra fra bande di ragazzini per il controllo delle piazze di spaccio. Ormai la vecchia camorra è finita, i vecchi boss sono quasi tutti in carcere, sostituiti dai baby-boss. «L’aver assicurato alla giustizia i grandi capi – osserva lo stesso procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti – ha creato un vuoto di potere che ora giovani e giovanissimi senza alcun freno cercano di occupare». 

E questi giovanissimi sono il frutto maturo di trent’anni di consumismo, veicolato da una squallida tv, che hanno spazzato via i valori delle famiglie del sottoproletariato napoletano. Oggi tanti giovani di queste famiglie hanno solo un sogno: la vita bella che possono ottenere solo con tanti soldi.

E dato che siamo al Sud, l’area più in difficoltà della UE secondo il rapporto Svimez, dove la disoccupazione giovanile raggiunge il 60%, la via più breve per fare tanti soldi è la droga: Napoli è diventata la più grande piazza di spaccio di droga in Europa. Nasce così la nuova camorra, quella delle baby-gang. «Questi giovani non hanno mai conosciuto valori, sport, affetti giovanili – scrive Samuele Ciambriello –. Si sentono superiori ai vecchi boss. Vogliono tutto e subito. Qui e ora. Se, hanno deciso di uccidere, lo fanno. Sparano nel mucchio, uccidono vittime innocenti». Questi giovani, con le loro “stese” (raid con raffiche di proiettili sparati a casaccio da scooter in corsa, ndr), terrorizzano il territorio e proclamano a tutti che sono in controllo. Questi ragazzi non imitano più neanche la fiction televisiva Gomorra, ma l’Isis. «Un filo sottile ed esistenziale lega i giovani che scorrono in armi nel centro storico di Napoli per uccidere e farsi uccidere e i militanti della Jihad», afferma il giudice Nicola Quatrano nella condanna contro la “Paranza dei Bambini” di Forcella. «Entrambi sono ossessionati dalla morte, forse la amano, probabilmente la cercano, quasi fosse l’unica chance per dare senso alla propria vita e vivere in eterno».

Negli ultimi due anni è stato proprio il rione Sanità l’epicentro di questa guerra che ha visto nel 2015 l’uccisione di un ragazzo innocente di 17 anni, Genny Cesarano (6 settembre), seguita da quella del boss Pierino Esposito (14 novembre). E, come risposta, la strage di via Fontanelle del 22 aprile 2016, dove hanno perso la vita Giuseppe Vastarella (fratello del boss) e Salvatore Vigna. A “stretto giro di posta”, arriva il 7 maggio la strage di Marano in cui vengono freddati Giuseppe Esposito e il figlio Filippo, padre e fratello di Emanuele, il killer delle Fontanelle. Ma la faida continua. L’8 giugno due killer entrano nel circolo ricreativo del Lotto Zero a Ponticelli per uccidere Raffaele Cepparulo che, per salvarsi, usa come scudo umano un altro ragazzino innocente, Ciro Colonna, 19 anni. Ambedue vengono falciati. Cepparulo, un giovane di 25 anni, era stato cacciato con altri tre dal rione Sanità e abitava presso la fidanzata a Ponticelli (periferia di Napoli est). Basta leggere i tatuaggi sul corpo di Cepparulo per capire chi sono questi ragazzi. Portava tatuato in grande il nome del suo giovane boss, Genidoni (ora in carcere). Sul pettorale sinistro c’è la scritta LOVE, ma per ogni lettera viene usato come fondo un’arma: per la L una pistola, per la O una bomba, per la V un rasoio e per la E un mitra. Sulla spalla campeggia l’acronimo inglese ACAB (tutti i poliziotti sono bastardi). Sono questi i simboli, o meglio i versetti satanici di una generazione che ha scelto l’inferno. 

Il “Popolo in cammino” ha reagito all’uccisione di un altro innocente, Ciro Colonna, sfilando con un migliaio di persone per le strade di Ponticelli. Marciando ho potuto osservare bene il Lotto Zero: una piccola Scampia! Che vergogna questi ghetti di Napoli. E come azione positiva abbiamo, insieme ai cittadini, ripulito un campo abbandonato, dove ora i ragazzini del Lotto Zero giocano a pallone. Piccoli segni che nascono dal basso.

Ma il gioco al massacro è continuato con l’uccisione, il 20 giugno a Melito (nord di Napoli), di Alessandro Laperuta e del marocchino Mohamed Nouvo. L’eterno scontro tra il centro storico (rione Sanità) e il nord di Napoli (Melito, Secondigliano, Scampia). Il 3 agosto altra strage in vico Nocelle, nel quartiere Materdei, limitrofo al rione Sanità, mentre era in corso un vertice per creare un solo cartello della droga. A questo vertice erano presenti gli uomini di Salvatore Esposito (storico boss del Cavone, vicino a piazza Dante), ma anche quelli dei Sequino del Rione Sanità (dei quali Ciro Marfé era portavoce al tavolo delle trattative). I killer hanno bloccato il traffico di Vico Nocelle per poi sparare e uccidere a colpo sicuro il boss Salvatore Esposito e Ciro Marfé, mandando all’aria un affare di varie centinaia di milioni di euro. Chiara la strategia: creare tante piazze di spaccio, collegate dagli stessi prezzi, stesse tariffe, stessi canali di approviggionamento, stessi fornitori.

Il 6 settembre, primo anniversario dell’uccisione di Genny, abbiamo voluto reagire a questo stillicidio con un evento. Il nostro parroco, don Antonio Loffredo, sempre molto attivo sul territorio, ha pensato, insieme a un bravo artista napoletano, che aveva conosciuto Genny, di preparare una “raffigurazione” di quel giovane mentre gioca a pallone, seduto su due assi con la scritta San(t)ità. Il tutto è collocato sotto l’albero di ulivo che era stato piantato in memoria del ragazzo. Dopo la messa, siamo usciti in piazza Sanità, dove i genitori di Genny hanno tolto il lenzuolo che copriva il “memoriale” del loro figlio. Un momento importante per il popolo del rione Sanità.

Purtroppo il 30 settembre arriva la risposta alla strage di vico Nocelle con l’uccisione di Vittorio Vastarella, altro fratello del boss. Un’esecuzione plateale fatta alle 12.30 con tanta gente per strada, a pochi passi da piazza Sanità, presidiata dall’Esercito Italiano! L’esecuzione sembra sia stata ordinata dai Sequino per colpire il clan Vastarella forte dei legami con Secondigliano, dove è in atto una feroce lotta tra i clan emergenti. Infatti, nello stesso giorno, quattro killer entrano in azione in vico Cotugno a Miano (nord di Napoli), tra i bambini che giocano a pallone, freddando Salvatore Corradi, 37 anni e Domenico Sabatino, 40 anni, quest’ultimo figlio di “Ettoruccio”, ex-boss del rione Sanità, ora in carcere. Un duplice omicidio che si inquadra nella lotta esplosa all’interno di ciò che rimane del clan Lo Russo che controllava il nord di Napoli e aveva tentato di mettere le mani sul rione Sanità tramite il boss Pierino Esposito.

Ma la faida tra i Sequino e Vastarella alla Sanità continua. Il 7 settembre i killer entrano in una affollata cornetteria ai Colli Aminei e uccidono Antonio Bottone, 28 anni, e feriscono il suo amico Daniele Pandolfi, 21 anni, che riesce a salvarsi nascondendosi nel laboratorio. Siamo in guerra per la droga, per il racket, una guerra pagata anche dagli immigrati, i quali però dimostrano più coraggio nel reagire rispetto ai cittadini. È quanto è avvenuto il 4 gennaio di quest’anno nell’affollato mercato della Maddalena, che si trova a ridosso della centralissima piazza Garibaldi. Quel giorno un commando di quattro uomini, armati di bastoni e pistole, urlando «Diamo una lezione a questi bastardi di neri», si scagliano contro un senegalese, reo di essersi rifiutato di pagare il “pizzo” di venti euro per Natale al clan Mazzarella di Forcella. A quel punto però in difesa del connazionale aggredito si mobilitano decine di africani, ed è allora che uno dei camorristi estrae la pistola e inizia a sparare all’impazzata, colpendo alle gambe tre senegalesi e una bambina di 10 anni che era lì con i suoi genitori per comperare i regali per la Befana. Si è sfiorata un’altra tragedia e un’altra vittima innocente. Pochi giorni dopo “Un Popolo in cammino” ha invitato tutti a ritrovarsi vicino al mercato della Maddalena in solidarietà con i migranti senegalesi per il coraggio dimostrato. 

Una camorra, questa, sempre più spregiudicata , capace di usare anche bambini e minorenni per la preparazione e lo spaccio della droga. Ce lo rivela l’arresto, il 17 gennaio, di 42 persone del clan Elia che controlla il Pallonetto a S. Lucia. Tra queste c’era una ragazzina di otto anni, che aiutava a preparare le dosi di cocaina e un ragazzino di 13, Giovanni, che gestiva da solo la piazza di spaccio. Un fatto, questo, che ha lasciato tutti scioccati a Napoli. Ha ragione il prof. Isaia Sales quando afferma che «la camorra è diventata così potente da quando l’area napoletana è stata trasformata nella più grande piazza di spaccio di cocaina e di tutte le droghe in Europa, soprattutto da quando la cocaina è passata da droga per pochi ad affare di massa». 

Un grande affare che porta ogni anno in media ottanta milioni di euro nelle tasche dei boss. E questo spiega anche la spaventosa disponibilità di armi in questa città. I carabinieri, nel giro di un anno (2014-15), hanno sequestrato circa 1.265 fra armi da fuoco e armi bianche, 23mila munizioni e quasi diecimila chilogrammi di esplosivo. Napoli sta diventando sempre più una città sudamericana.

È questa la drammatica realtà che dobbiamo affrontare, se vogliamo realmente fare missione in questa megalopoli. Dopo dodici anni spesi nella violenta baraccopoli di Korogocho (Nairobi) in Kenya, mi ritrovo in missione qui a Napoli nel rione Sanità, insieme al francescano Arcadio Sicher che è vissuto anche lui per dieci anni in baraccopoli ad Accra (Ghana) e alla pediatra Felicetta Parisi, laica consacrata, da anni impegnata sul territorio. Non è una missione facile la nostra e deve essere tutta “inventata”! Ma noi riteniamo fondamentale prima di tutto esserer presenti in queste realtà, viverle giorno per giorno, sentirle sulla propria pelle. Ecco perché è importante essere qui, su questo campanile della chiesa, condividendo le angosce di questo popolo. Il dramma di un ragazzino innocente come Genny ucciso nel cuore della notte, proprio qui sotto casa. L’orrore dell’uccisione in piazza, quasi sotto i nostri occhi, in pieno giorno, del boss Pierino Esposito, il cui corpo ho ricoperto con un lenzuolo. Lo sconcerto quando, giorni fa, qui davanti alla porta di casa è stato gambizzato, a mezzanotte, un giovanotto. Son balzato dal letto e sono sceso in piazza per accogliere la disperazione dei vicini. E ancora, a pochi metri da casa, il 21 gennaio, i killer sparano a un giovane in sella a uno scooter che, pur ferito, accelera e riesce a scappare. E l’11 febbraio, verso sera, con negozi aperti e tanta gente per strada, un altro agguato con ferimento di padre e figlio, gestori di un garage, a qualche centinaio di metri da casa. E così che anche noi sperimentiamo sulla nostra pelle la paura e lo sconcerto della gente che vive in questo quartiere.

Ma per noi missionari è altrettanto importante il modo in cui essere presenti in queste periferie! Infatti abbiamo scelto uno stile di vita semplice e sobrio che ci permette di mettere al centro le persone con un’attenzione particolare agli ammalati, agli anziani soli, ai malati mentali, ai senza fissa dimora, ai migranti e ai rom (tante le lotte che stiamo facendo per queste ultime tre categorie, gli “scarti” della nostra società). Incontrando le persone del quartiere ci rendiamo conto di quanto grande sia anche la sofferenza economica. Questo ci ha spinto ad iniziare il microcredito (non è la cosa più facile alla Sanità!). Sosteniamo con forza anche il lavoro dei Giocatori Anonimi per le vittime del gioco e dell’usura, cancro del rione Sanità (e non solo alla Sanità!). 

Ma il nostro ruolo di missionari qui è anche quello di creare comunità, fare rete, far nascere dal basso un movimento popolare capace di chiedere i propri diritti fondamentali, come ci suggerisce papa Francesco. Purtroppo questo non è facile perché le periferie del Meridione sono attraversate da un esasperato individualismo, in parte retaggio storico del Sud, in parte frutto del consumismo. Per questo, come missionari abbiamo puntato sulle Piccole Comunità cristiane che si ritrovano nelle case a leggere il Vangelo e a contestualizzarlo nell’oggi. Piccole realtà che riscaldano il cuore, creando autentiche relazioni umane e comunitarie. È questo stesso motivo che ci ha spinto ad iniziare anche la Rete del rione Sanità per creare comunione fra le varie realtà che operano sul territorio. In questi anni la Rete è riuscita ad evidenziare i gravi problemi sociali presso l’amministrazione comunale sia con le lettere LiberiAmo la Sanità che attraverso i tavoli istituzionali. Un bel frutto della Rete è la Rete Educativa che riunisce tutte le scuole, i dopo-scuola, i centri educativi del quartiere. All’inizio di questo anno scolastico è stata organizzata una giornata unitaria in piazza, come unitaria è stata la sfilata del Carnevale (24 febbraio), che quest’anno ha come tema: “Il diritto allo studio”. 

E due anni fa, dopo l’uccisione del giovane Genny Cesarano, abbiamo dato inizio a un movimento che tenta di mettere insieme le realtà sociali impegnate delle periferie di Napoli con le parrocchie presenti nelle stesse. L’abbiamo chiamato “Un Popolo in cammino”. Non è un cammino facile, sia per la frammentazione dei comitati, sia per la difficoltà che si ha a legare fede e vita. È un lento e difficile processo, ma lo ritengo fondamentale. 

“Un Popolo in cammino” si appella prima di tutto al Governo perché intervenga con un Piano Marshall per le scuole, la sicurezza e il lavoro per i giovani nelle periferie di Napoli. Lo abbiamo chiesto di nuovo con forza il 16 dicembre scorso con un’altra marcia per le vie centrali di Napoli. Noi chiediamo per i quartieri in difficoltà scuole aperte fino a sera tarda, con insegnanti scelti allo scopo di avvicinare questi ragazzi. Scuole che devono includere anche scuole serali e “maestri di strada”. Qui ci vogliono grossi investimenti dello Stato. In più chiediamo sicurezza sulle nostre strade e piazze, munite di telecamere, presidi fissi di polizia e vigili urbani. Ma anche un impegno serio contro la bomba sociale che colpisce le periferie di Napoli, altrimenti non ci potrà essere sicurezza. Infine chiediamo lavoro inedito per i giovani: il 60% di essi è disoccupato. Lavori inediti come la raccolta dell’umido nei vicoli o lavoro negli orti urbani in cooperativa.

Dopo più di un anno di pressione sul governo Renzi e ora Gentiloni, dobbiamo riconoscere che non abbiamo ottenuto quasi nulla. Non solo, ma rischiamo di perdere quel poco che abbiamo! Qui alla Sanità, no-nostante le lotte e i blocchi stradali compiuti, è stato chiuso anche l’ospedale S. Gennaro dei Poveri. E ora rischiamo anche la chiusura dell’unico Istituto professionale Superiore, il Caracciolo. 

Ma tutto questo impegno è difficile sostenerlo senza una forte spiritualità, quella indicataci da papa Francesco, quella di una “Chiesa povera” e dei “poveri”. Ecco quello che ci ha spinto e ci spinge a promuovere il “Patto delle Catacombe”, il Patto firmato il 16 novembre 1965 da una cinquantina di padri conciliari, alla fine del Vaticano II , nelle catacombe di Domitilla a Roma, con il quale questi si impegnarono per una Chiesa povera e dei poveri. E dato che a Napoli abbiamo le splendide catacombe di San Gennaro, abbiamo voluto riproporlo ma adattandolo all’oggi. E così nel 50° anniversario di quel Patto, il 16 novembre 2015, un folto gruppo di fedeli, preti, religiosi/e si è ritrovato in preghiera nelle catacombe di S.Gennaro dei Poveri, qui al rione Sanità, per firmare il rinnovato Patto delle Catacombe, che ci impegna a «fare l’opzione dei poveri, degli esclusi, degli “scarti” della società, a riconoscere in loro la “carne di Cristo”, Sacramento vivo della sua Presenza e prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause». Ma abbiamo anche promesso di «sostenere in maniera nonviolenta, nella nostra azione pastorale, i movimenti popolari che si impegnano a favore dei diritti fondamentali dell’essere umano».

Ora che abbiamo ottenuto la benedizione e l’incoraggiamento del nostro vescovo, il card. Crescenzio Sepe, ci siamo dati appuntamento (fedeli, preti, religiosi/e) il 24 marzo prossimo presso le catacombe di S. Gennaro per rinnovare quel Patto. È la giornata del martirio dell’arcivescovo di San Salvador, Oscar Romero, e dei missionari martiri, straordinarie figure che si sono giocate la vita a favore degli impoveriti in nome del Dio della vita. «Crediamo in Gesù che è venuto a portare vita in pienezza», aveva affermato Oscar Romero. «Crediamo in un Dio vivente che dà vita agli uomini e vuole che gli uomini vivano davvero. Si presenta quindi alla Chiesa, come a ogni uomo, l’opzione fondamentale per la sua fede: essere in favore della vita o della morte. Vediamo con grande chiarezza che in questo la neutralità è impossibile. O serviamo la vita dei salvadoregni o siamo complici della loro morte. E qui si dà la mediazione storica dell’aspetto fondamentale nella fede: o crediamo in un Dio di vita o serviamo gli idoli di morte». È questa anche la nostra opzione fondamentale, noi che viviamo e operiamo nelle periferie di Napoli.

* Alex Zanotelli è missionario comboniano a Napoli, rione Sanità

* Foto di Federica Zappalà tratta da Wikimedia Commons, licenza e immagine originale

 

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