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La qualità della vita

La qualità della vita

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 13 del 01/04/2017

La proposta di legge sul “testamento biologico”, che ha iniziato l’iter della discussione parlamentare lo scorso 13 marzo alla Camera (alla presenza purtroppo di un numero ristrettissimo di deputati!), costituisce un importante passo avanti nello sforzo di dare soluzione a una questione di grande rilevanza civile. Il testo presentato, che è frutto di una laboriosa mediazione tra sedici progetti pervenuti alla Commissione competente da diversi gruppi politici, rappresenta senz’altro un tentativo equilibrato di intervenire in una materia delicata, come quella del fine-vita, ricercando una convergenza allargata tra posizioni etiche, culturali e sociali diverse che caratterizzano l’odierna società pluralista. Il giudizio complessivo non può essere, dunque, che positivo. Si va nella direzione giusta colmando una grave lacuna e fornendo ai cittadini uno strumento fondamentale per esercitare la libertà, peraltro sancita dalla nostra Costituzione all’art. 32, di scegliere le cure cui desiderano essere sottoposti o non sottoposti, trovandosi nell’impossibilità di manifestare direttamente la propria volontà. 

Nonostante le direttive anticipate di trattamento si muovano entro questo alveo, non sono mancate le reazioni allarmate di alcuni settori del mondo cattolico (e non solo), che avanzano lo spauracchio dell’introduzione dell’eutanasia. L’infondatezza di queste critiche, che ripropongono vecchi (e pericolosi) steccati ideologici, i quali finiscono per alimentare contrapposizioni improduttive, non deve, tuttavia, farci sottovalutare la presenza di alcuni nodi di indubbia rilevanza etica che esigono di essere sciolti con rigore per evitare il crearsi di possibili contestazioni o di situazioni conflittuali, che vanno a scapito del bene del paziente .

Il primo di tali nodi è costituito dalle modalità di applicazione del testamento, dove il rispetto della volontà del paziente, che è il cardine attorno a cui deve ruotare la decisione, va concretamente definita attraverso un rapporto dialogico tra medico e fiduciario. Il testo presenta, al riguardo, oscillazioni non sempre chiare che vanno dall’affermazione che occorre procedere alla semplice esecuzione delle disposizioni del paziente che il fiduciario è tenuto a far valere in maniera incondizionata con il rischio di ridurre il medico a semplice esecutore passivo di ordini, all’apertura di uno spazio di valutazione nel quale il medico può intervenire in ragione della propria competenza. Senza entrare dettagliatamente nell’analisi dei singoli articoli della proposta, questo aspetto merita ulteriori precisazioni per consentire il superamento di eventuali equivoci interpretativi. 

Ma il nodo critico più rilevante – il secondo – è quello che chiama in causa la questione della nutrizione e dell’idratazione artificiali, le quali, nel disegno di legge in esame, sono incluse all’art. 3, primo comma, tra gli oggetti del «consenso o rifiuto rispetto a scelte terapeutiche e a singoli trattamenti sanitari». Questa inclusione, basata sul riconoscimento che tali pratiche costituiscono un «atto medico» , viene contestata da chi sostiene, invece, che esse rappresentano un «sostegno vitale» ordinario, che va come tale sempre assicurato. 

La contrapposizione tra queste due visioni è pretestuosa e improduttiva. Ambedue hanno infatti motivazioni plausibili, ma la loro radicalizzazione impedisce di affrontare con la necessaria duttilità situazioni diverse che vanno trattate in modo diverso. Una via di uscita va ricercata nel rinvio al principio di proporzionalità, il quale implica attenzione alla condizione del singolo paziente con riferimento alla qualità della vita. Il che comporta che, in alcuni casi – quando si è di fronte a una persona che può ancora fruire di una vita umanamente dignitosa – la non somministrazione di nutrizione e idratazione o la loro sospensione possono diventare omissione di mezzi proporzionati (nel linguaggio tradizionale ciò equivale a “eutanasia passiva”); mentre, in altri casi – quando si tratta di persone la cui vita è ormai gravemente compromessa – intervenire con tali pratiche o non sospenderle può assumere il significato di accanimento terapeutico. 

L’applicazione di questo criterio, stante l’oggettiva difficoltà a stabilire i confini tra i due comportamenti, implica che nel testamento biologico ci si limiti – come peraltro avviene nel testo di legge in esame – a segnalare con chiarezza il proprio orientamento in proposito, senza entrare in una casistica troppo dettagliata, lasciando lo spazio necessario per una valutazione, caso per caso, che deve svilupparsi in un confronto tra medico e fiduciario ispirato al modello dell’“alleanza terapeutica”. 

La complessità e la delicatezza delle questioni in gioco esige (forse) il ricorso a qualche piccolo aggiustamento. Il progetto presentato è tuttavia largamente condivisibile perché consente di fare seriamente fronte alla complessità delle situazioni attuali, interpretando correttamente l’ethos culturale della nostra società. L’auspicio è che si giunga in tempi brevi alla sua approvazione per garantire ai cittadini italiani la possibilità di una libera decisione in un momento particolarmente qualificante e drammatico della propria esistenza. 

* Giannino Piana, già docente di Etica cristiana all’Istituto Superiore di Scienze Religiose della Libera Università di Urbino e di Etica ed economia all’Università di Torino, collaboratore di diverse riviste, ha presieduto l’Atism (Associazione Teologica Italiana per lo studio della Morale)

* Foto di Jacob Windham tratta da Wikimedia Commons, licenza e immagine originale

 

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