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A giugno, i nuovi cardinali dalla

A giugno, i nuovi cardinali dalla "fine del mondo"

Tratto da: Adista Notizie n° 21 del 03/06/2017

38975 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Con i cinque ecclesiastici che diverranno cardinali il 28 giugno prossimo, secondo l’annuncio dato da papa Francesco il 21 maggio, il numero dei cardinali nominati da Bergoglio raggiungerà quota 61. 49 di questi, non avendo superato gli 80 anni, sono “elettori” in un eventuale Conclave che dovesse scegliere, di qui a poco, un nuovo pontefice; 12 sono “non elettori” in quanto ultraottuagenari. In tutto il Concistoro gli elettori sono 121 (120 è la quota stabilita per il Conclave); considerando che la metà di essi è di nomina “bergogliana” – e di provenienza “periferica” (rispetto al “centro” europeo e rispetto alla consistenza della presenza cattolica) – si potrebbe supporre che l’organismo sia ormai costituito “ad immagine e somiglianza” di questo papa, e che tale potrebbe risultare il pontefice successore. Ipotesi però non così salda secondo Andrea Riccardi, fondatore e pilastro della Comunità di Sant’Egidio. Se «i periferici», scrive sul Corriere della Sera del 22 maggio, «peseranno» nell'elezione del papa, non è detto che «interpreteranno necessariamente una linea bergogliana in un futuro Conclave. Anzi talvolta nelle periferie – come in Africa – si delinea un certo distacco da questo pontificato». 

Jean Zerbo, Mali

Distacco non ravvisabile, però, nello stile del vescovo africano che sarà cardinale fra circa un mese: Jean Zerbo, arcivescovo di Bamako (capitale del Mali), è da sempre uomo del dialogo e dell’incontro, fino ad impegnarsi a fondo nel processo di riconciliazione nazionale, cui ha concretamente lavorato anche in quanto membro della delegazione che ha portato avanti i negoziati di pace dopo lo scontro, nel 2012, fra la giunta militare e i partiti politici di opposizione. Il ruolo “politico” da lui ricoperto dimostra di quanta stima goda mons. Zerbo nel suo Paese, malgrado sia il rappresentante di una comunità religiosamente esigua (i cattolici sono sotto al 2% della popolazione) a fronte di una schiacciante maggioranza musulmana (80%). 

Gregorio Rosa Chavez, El Salvador

“Periferico” è anche il salvadoregno mons. Gregorio Rosa Chavez, che sarà il primo cardinale del Paese centroamericano. Ricopre dal febbraio del lontano 1982 l’incarico di vescovo ausiliare di San Salvador, su nomina di Giovanni Paolo II. L’amicizia e la condivisione con mons. Oscar Romero, dichiarato beato nel 2015 (v. notizia seguente), il suo diuturno lavoro a favore degli indifesi e martirizzati, se gli sono costate il siluramento del Vaticano, gli hanno guadagnato la stima di papa Francesco. «Penso che il papa abbia tenuto conto di mons. Romero e della Chiesa martire. Perciò ho dedicato la nomina a mons. Romero», ha commentato il vescovo salvadoregno (Sir, 24/5). C’è chi s’è stracciato le vesti per questa nomina: ma come, cardinale l’ausiliare e non l’arcivescovo reggente, José Luis Escobar Alas, o l’arcivescovo emerito, l’opusdeista Fernando Saenz Lacalle? E però c’è poco da protestare, il Diritto canonico è dalla parte del papa: può esser degno dell’alto incarico anche un semplice sacerdote. Il can. 351-§1 infatti prescrive che «ad essere promossi Cardinali vengono scelti liberamente dal Romano Pontefice uomini che siano costituiti almeno nell'ordine del presbiterato, in modo eminente distinti per dottrina, costumi, pietà e prudenza nel disbrigo degli affari».

Anders Arborelius, Stoccolma

Forse non ha manifestato una prudenza da manuale canonico un altro dei cinque in attesa della berretta cardinalizia, mons. Anders Arborelius, vescovo di Stoccolma. Nella sua Chiesa, il cittadino inserito nella “comunità religiosa” cattolica non può esimersi dal pagare la “kyrkoavgift” (letteralmente “tassa per la Chiesa”, ma soprannominata “la tassa del vescovo” perché introdotta a Arborelius), che viene raccolta automaticamente dall'ente omologo della nostra Agenzia delle entrate (tutte le altre comunità religiose del Paese chiedono il permesso ogni anno). Il fedele che non volesse più pagarla ha una sola possibilità davanti a sé: uscire dalla comunità religiosa cattolica, tramite lo “sbattezzo”, auto-scomunicarsi, con effetti universali e non solo locali (v. Adista Notizie nn. 12/14). Un tassa il vescovo può anche imporla se la diocesi è in gravi difficoltà, ma che sia in via straordinaria e in quantità moderata, è il dettato del canone 1263 del Cdc. Certo lo stesso canone offre una scappatoia quando aggiunge: «salve le leggi e le consuetudini particolari che gli attribuiscano maggiori diritti». Vasto ed indefinibile è dunque il campo nel quale ci si può muovere. Interrogati da un fedele svedese sulla correttezza di una tassa ineludibile, gli uffici diocesani hanno nicchiato, mentre il presidente del Pontificio Consiglio, card. Francesco Coccopalmerio, ha risposto che la norma non risulta formalmente incongruente con il Codice di Diritto Canonico. «Tuttavia, osservando la questione da una prospettiva più sostanziale, riteniamo che la norma, come rilevata ora nel materiale informativo della diocesi di Stoccolma, potrebbe mancare della chiarezza e della concretezza riguardante il “margine di libertà” dei fedeli» (v. Adista n. 8/15). 

Premiando Arborelius, però, il papa può aver voluto premiare il risveglio della Chiesa cattolica in Svezia, numericamente piccola ma in continua crescita grazie alla pastorale di prossimità del vescovo; a ottobre 2016, nella cattedrale di Lund, Francesco aveva celebrato i 500 anni dalla Riforma proprio in compagnia del vescovo di Stoccolma, oltre che del Primate luterano donna della Chiesa di Svezia, Antje Jackelen. La scelta del nuovo cardinale potrebbe anche avere un intento ecumenico.

Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun, Laos

Vicario apostolico di Pakse? (Laos) dal 2000, mons. Louis-Marie Ling Mangkhanekhoun è un ulteriore nome a sorpresa fra i nuovi cardinali. Nel Paese, dove la gran parte della popolazione è di religione buddista-theravada, i cristiani superano di poco l’1 per cento e i cattolici, riferisce Tempi.it, sono in numero assoluto appena 45mila. Ma anche qui la Chiesa sta vivendo in una prospettiva di magnifiche sorti e progressive. Intervistato da Asianews nell’ottobre del 2015, il quasi-cardinale ha definito quella laotiana «una Chiesa “bambina”, piccolissima», ma aggiungendo che «in tante parti del Paese vi sono persone che si convertono». «Quando sono arrivato a Paksé – ha ricordato – avevo “un prete e mezzo”, uno attivo, un altro già in pensione e molto anziano. Ora, dopo tanti anni di lavoro (14 per la precisione), i preti sono sei. Con questi sacerdoti stiamo cominciando qualche esperienza di comunità ecclesiale di base»; «sono convinto – ha aggiunto – che siamo all’inizio di un cambiamento e di una rinascita. Ora non ci sono più missionari stranieri e dobbiamo condurre la Chiesa con le nostre mani. Noi cerchiamo di fare quello che possiamo». E i frutti nella Chiesa laotiana cominciano a vedersi: lo scorso settembre sono stati ordinati tre sacerdoti.

Juan José Omella, Spagna

L’unico nuovo cardinale “del centro” della cattolicità, ma anche, come scrive Manuel Vidal (Religión digital, 22/5), «profondamente sociale» e dunque aperto all’ascolto delle “periferie” esistenziali e religiose, sarà Juan José Omella, cui papa Francesco ha affidato la diocesi di Barcellona nel 2015. Più “bergogliano” non potrebbe essere. Durante la conferenza stampa successiva alla notizia della nomina, Omella ha ammesso che lui e mons. Carlos Osoro – arcivescovo di Madrid da un anno – sono gli uomini del papa in Spagna: «È certo – ha detto – che il papa ha confidato in noi»; ma «non siamo gli unici a lavorare» per la Chiesa, ha aggiunto, «lo facciamo in comunione; noi possiamo mettere la benzina al motore, ma bisogna farlo in forma sinodale». Secondo Omella, come secondo Bergoglio, il cardinalato «non è un incarico verso l’alto, ma verso il basso, di servizio, per costruire fraternità e umanità in un mondo che ne ha bisogno. Tutti dobbiamo lavorare per la pace e la concordia, evitare scontri fra civiltà, religioni, culture».

In quanto vescovo catalano, con l’incarico tra l’altro di vicepresidente della Conferenza episcopale tarragonese (catalana), è tra i firmatari della nota diffusa dal predetto organismo ecclesiale l’11 maggio scorso, nel contesto del riacceso dibattito sul referendum secessionista della Catalogna (“o referendum o comunque indipendenza entro quest’anno”, sarebbe la minaccia del presidente della regione, Carles Puigdemon). La consultazione referendaria è totalmente osteggiata dal governo spagnolo. Nella nota l’episcopato riafferma di difendere «la legittimità morale di tutte le opzioni politiche», fatti salvi il rispetto della dignità delle persone e l’impegno per la pace e la giustizia. Conseguentemente, i vescovi, sentendosi eredi della lunga tradizione dei loro predecessori che «li ha portati ad affermare la realtà nazionale della Catalogna», ribadiscono: «Crediamo umilmente che conviene che siano ascoltate le legittime aspirazioni del popolo catalano, perché sia stimata e valorizzata la sua singolarità nazionale, specialmente la sua propria lingua e la sua cultura». Il resto dell’episcopato spagnolo non ha mai condiviso tanta flessibilità sull’argomento della secessione. Chissà che non abbia sentito la berretta cardinalizia di Omella come un inciampo sulla strada della comunione episcopale e del suo dichiarato sostegno all’unità nazionale. 

 

* Foto di Pietro di Fontana tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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