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Ong nella tempesta: accuse infondate, ma che lasciano il segno

Ong nella tempesta: accuse infondate, ma che lasciano il segno

Tratto da: Adista Notizie n° 23 del 24/06/2017

38986 ROMA-ADISTA. Da meno di 3mila nel 2015 a più di 4.500 nel 2016, aumentano le morti in mare dei profughi che tentano il viaggio della speranza verso l'Europa, prima principalmente siriani, l'anno dopo per lo più africani. Ciononostante non si placano i tentativi di denigrare il lavoro delle Ong impegnate nelle missioni di salvataggio delle carrette del mare nel Mediterraneo centrale, accusate di fomentare con la loro presenza sempre nuove partenze e, cosa ancora più grave, di stringere accordi illeciti con i trafficanti di esseri umani.

Alta tensione nel Canale di Sicilia il 9 giugno scorso, con le pesanti accuse mosse della Marina militare della Tripolitania ad alcune Ong. Secondo il suo portavoce, l'ammiraglio Ayob Amr Ghasem, dopo alcune intercettazioni, la Marina libica si è vista costretta ad allontanare dalle acque territoriali alcune navi, tra cui la Prudence di Medici Senza Frontiere. «Sembrava che queste Ong aspettassero i barconi per abbordarli», ha denunciato Gashem, aggiungendo poi: «Il comportamento di queste Ong accresce il numero di barconi di migranti illegali e l'audacia dei trafficanti di esseri umani», «che sanno bene che la via verso l'Europa è agevole grazie a queste organizzazioni e alla loro presenza illegittima e sospetta in attesa di poveri esseri umani». Secca la replica di Msf, che ha dichiarato – ribadendo che l'unica strategia possibile per superare il problema delle traversate in mare è quella delle vie legali e sicure d'accesso in Europa (corridoi umanitari) – di «avere effettuato soccorsi sotto il normale coordinamento della Guardia costiera italiana e di non avere avuto alcun contatto con la Guardia costiera libica».

Ha destato sgomento la netta bocciatura, alle recenti amministrative, di Giusi Nicolini, l'ormai ex sindaco di Lampedusa e Linosa (già candidata al Nobel per la Pace per il suo impegno alle porte d'Europa, premio Unesco per la Pace e donna “simbolo dell'eccellenza italiana”), paladina dell'accoglienza dei migranti, arrivata terza su quattro candidati e sostituita da Totò Martello, già primo cittadino dell'isola quindici anni fa. Consapevole del valore simbolico della débacle di Nicolini, e forte del suo 40% di voti, Martello ha subito deciso di cavalcare i malumori dell'opinione pubblica: «Qui bisogna rivedere tutto – ha dichiarato – anche la stessa presenza delle organizzazioni non governative. Cosa fanno esattamente le Ong a Lampedusa?».

Convenienti distrazioni

Sulla «campagna di delegittimazione e criminalizzazione scatenata contro le Ong» è intervenuta anche la prestigiosa università di Londra Goldsmiths, con lo studio “Blaming the rescuers” (“Accusare i soccorritori”), presentato presso l'Associazione della Stampa Estera a Roma lo scorso 9 giugno. Il dossier del gruppo di ricerca parla di accuse infondate e punta il dito contro le politiche europee di contenimento dei flussi e contro gli accordi che l'Unione sta stringendo con alcuni soggetti libici che si muovono in modo ambiguo nel caos politico e istituzionale del Paese nordafricano. Inutile aggredire le Ong, aggiunge il rapporto: povertà e violenze sono le vere cause che spingono esseri umani a mobilitarsi, Unione Europea e Stati membri i reali responsabili del mancato soccorso e dell'assenza di canali d'ingresso legali e sicuri. In prospettiva, poi, l'esito di questa mobilitazione contro le Ong potrebbe alla lunga indebolire lo spirito di iniziativa delle Ong, con «il rischio che molti più migranti muoiano nel Mediterraneo», così come accadde nel 2014 quando si concluse l’operazione italiana Mare Nostrum». Insomma, ha sottolineato Lorenzo Pezzani (il curatore della ricerca insieme al collega Charles Heller) in conferenza stampa, «Siamo convinti che la narrazione tossica che accusa ingiustamente le Ong sia parte di un tentativo più ampio di criminalizzazione delle iniziative di solidarietà verso i migranti». Rappresenta anche, prosegue la denuncia, «una distrazione conveniente», perché «distoglie l’attenzione dall’incapacità dei governi ad affrontare veri problemi». Il rapporto “Blaming the rescuers” è integralmente consultabile sul sito blamingtherescuers.org.

Verità e narrazioni 

“Navigare a vista. Il racconto delle operazioni di ricerca e soccorso di migranti nel Mediterraneo Centrale” è il dossier, presentato alla Stampa Estera il 29 maggio, curato e scritto da Paola Barretta, Giuseppe Milazzo e Daniele Pascali (Osservatorio di Pavia), da Valeria Brigida, da Martina Chichi (Associazione Carta di Roma), con il contributo di Anna Meli (Cospe). Un approfondito lavoro di indagine che tenta di portare chiarezza e ricondurre alla razionalità un dibattito confuso, per lo più animato da notizie opache, assenza di prove e sentimenti “di pancia”. Di restituire un «frame narrativo» più preciso e rispondente alla realtà dei fatti.

Il grande spartiacque è il naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013, ricordano i curatori del rapporto. I salvataggi di donne e bambini, con le loro storie che balzavano improvvisamente sulle prime pagine, suscitavano nell'opinione pubblica un afflato di solidarietà, al contrario di quanto accadeva invece sul fronte degli sbarchi, accolti invece con paura e rifiuto. Dei soccorritori emergeva allora «un ritratto di individui impegnati in azioni di soccorso, dove la “banalità del bene”, che rende straordinariamente normale l’eroismo dei soccorritori, trionfa».

Poi, nel marzo 2017, il rapporto di fiducia e solidarietà tra opinione pubblica e Ong si è sfaldato irrimediabilmente: «Gli angeli perdono le ali. La gratitudine verso i soccorritori non è più unanime. Il lavoro delle Ong viene messo in discussione». L'inversione di passo, la radicale trasformazione del clima politico e culturale che accompagna la rappresentazione dei salvataggi in mare aperto è parte centrale di questa interessante ricerca, che ricostruisce il percorso delle dichiarazioni di personalità politiche, delle accuse e delle inchieste avviate da alcune procure con l'intento di smascherare le collusioni tra Ong e trafficanti. Tutti fatti al momento fondati sul nulla o poco più, che hanno però vantato un'eccezionale copertura mediatica. «In questa sovrabbondanza comunicativa, un elemento emerge su tutti: il sospetto», alimentato dalla confusione tra soggetti, ruoli e responsabilità, «nella concitazione del dibattito politico». E così, «l’unica dimensione delle migrazioni, fino a pochi mesi prima estranea alla negatività e alle criticità, diventa in breve tempo foriera di sentimenti di sfiducia e di intolleranza nei confronti di salvati e salvatori, di migranti e operatori umanitari del soccorso».

Insomma, poco importa l'imprecisione delle notizie, la genericità delle accuse e l'assenza di prove: una, a quanto pare, scientifica strategia comunicativa ha mutato il quadro narrativo, la cornice interpretativa, imponendo all'opinione pubblica una rappresentazione pregiudiziale oscura, criminale e delegittimante delle Ong. E, viene da sé, a tutto vantaggio delle politiche di respingimento, di militarizzazione dei confini e di esternalizzazione delle frontiere grazie ad accordi stretti anche con sanguinari regimi dittatoriali.

Accanto al monitoraggio delle strategie di comunicazione di organismi civili e militari lungo il 2016, fondamentale anche il lavoro di analisi della terminologia utilizzata nella comunicazione dei soggetti coinvolti (Marina militare, Guardia Costiera, Ong stesse e organi di informazione mainstream) e il tentativo di ricostruzione del lessico relativo alle migrazioni in mare e ai salvataggi, condotto nel dossier dall'associazione Carta di Roma, da sempre impegnata nella promozione di un linguaggio giornalistico non discriminante, rispettoso della verità e della dignità dei soggetti coinvolti nei processi migratori. Le parole, si sa, non sono mai neutre, e l'affermazione di una precisa terminologia – ad esempio la reiterata e quasi ossessiva presenza di parole come “allarme” o “emergenza”, a fronte della scomparsa di altre come “persone”, “esseri umani”, sostituite da “migranti”) – è fondamentale nell'affermazione di una precisa visione nell'opinione pubblica.

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