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“Nessuna contraddizione. La pace si difende anche con l’esercito”. Intervista a mons. Frigerio

“Nessuna contraddizione. La pace si difende anche con l’esercito”. Intervista a mons. Frigerio

Tratto da: Adista Notizie n° 32 del 23/09/2017

39076 ROMA-ADISTA. «Buongiorno mons. Frigerio». «Ah Adista, avete sempre il colpo in canna voi!». «No monsignore, non usiamo armi, siamo pacifisti». «Ma anche io sono pacifista!». Comincia così la nostra conversazione con mons. Angelo Frigerio, vicario generale dell’Ordinariato militare – nonché generale di divisione – sulla proclamazione di Giovanni XXIII a patrono dell’Esercito italiano (v. notizia precedente)

Allora monsignore come sono andate le cose?

«Il 17 giugno 2017 la Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti ha emanato un decreto, firmato dal prefetto card. Robert Sarah ma con il mandato del papa, che accoglie la proposta dell’Ordinariato militare di eleggere san Giovanni XXIII “patrono presso Dio dell’Esercito italiano”».

Papa Giovanni autore della Pacem in terris e patrono dell’Esercito: non le sembra una contraddizione?

«No, per niente. Giovanni XXIII può essere patrono di tante cose. Magari domani verrà scelto anche come patrono della pace universale».

Ci illustri il percorso che ha determinato questa scelta.

«Comincia il 3 novembre 1996, quando il presidente della Repubblica dell’epoca, Oscar Luigi Scalfaro, consegna la Bandiera di guerra all’Esercito italiano, e l’arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Giuseppe Mani, la benedice. Allora nell’Ordinariato militare, tra i cappellani e tra molti militari si inizia a pensare alla possibilità di un patrono per l’Esercito, anche perché avere un patrono per tutta la Forza armata può contribuire a riscoprire unità, identità e appartenenza. Ci si ragiona, si discute, nel 2002 si decide che in effetti è opportuno individuare un patrono per l’Esercito, e con mons. Mani si fa il nome di Giovanni XXIII. La proposta viene presentata ufficialmente al nuovo arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Angelo Bagnasco, il quale dà il suo consenso. Anche i vertici delle Forze armate – in particolare il capo di Stato Maggiore, Giulio Fraticelli, e il generale Emilio Marzo – approvano, e così si comincia a promuovere e a proporre la devozione alla figura di papa Giovanni XXIII come patrono dell’Esercito italiano».

Sono tutti convinti della scelta?

«No, infatti a seguito di qualche dubbio riscontrato in seno alla “compagine ecclesiale”, in accordo con l’allora nuovo arcivescovo ordinario militare per l’Italia, mons. Vincenzo Pelvi, nell’autunno 2008 mi reco personalmente a Sotto il Monte (Bg), paese natale di Roncalli, a far visita all’arcivescovo emerito di Loreto e già segretario particolare di Giovanni XXIII, mons. Loris Capovilla, il quale manifesta con entusiasmo e commozione il suo pieno e convinto assenso e incoraggiamento a continuare con determinazione nel progetto di avere papa Giovanni come patrono dell’Esercito».

Mons. Pelvi però nega che tale consenso ci sia stato. Al giornalista Carlo Di Cicco ha riferito che Capovilla «non mi ha detto niente in proposito perché nulla ho mai chiesto a lui in proposito». Comunque mons. Capovilla è morto, non può né confermare né smentire. Andiamo avanti…

«Nel dicembre 2009, presso Palazzo Esercito, la sede dello Stato maggiore, viene inaugurata la cappella dedicata a papa Giovanni dove sono conservate alcune sue reliquie. Quindi il successore di mons. Pelvi, l’attuale ordinario militare, mons. Santo Marcianò, insieme ai capi di Stato maggiore dell’Esercito, Claudio Graziano prima e Danilo Errico poi, portano a termine l’itinerario che, con il decreto della Congregazione vaticana per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, conduce alla definizione di san Giovanni XXIII quale “patrono presso Dio dell’Esercito italiano”».

Come mai la scelta è caduta proprio su Giovanni XXIII?

«Perché ha svolto il servizio militare, da cui è stato congedato come sergente. E perché, insieme ad altri diecimila ecclesiastici, nel 1915, anno dell’entrata in guerra dell’Italia, è stato richiamato come sergente di sanità, prima di diventare cappellano militare, fino al congedo definitivo del 1919. Il resto lo conosciamo: nunzio apostolico, patriarca di Venezia, papa, iniziatore del Concilio Vaticano II, autore della Pacem in terris».

Ecco appunto, la Pacem in terris. Ribadisco: non le pare una contraddizione che il papa della pace sia patrono dell’Esercito italiano?

«No, perché il papa della Pacem in terris era già papa quando l’11 giugno 1959 ricevette in Vaticano i cappellani militari in congedo, che avevano fatto la prima e seconda guerra mondiale, e ricordando questi periodi disse loro: “L'anno di volontariato sui vent'anni (la prima guerra mondiale, ndr) fu anzitutto per Noi assai utile e fecondo, perché, permettendoci una vasta conoscenza di persone, in condizioni tutte particolari di vita, Ci diede la preziosa possibilità di penetrare sempre più a fondo nell'animo umano, con incalcolabile giovamento per la Nostra preparazione al ministero sacerdotale (…). Epoca dunque di spirituale arricchimento, a cui si aggiunge l'opera costruttiva della disciplina militare, che forma i caratteri, plasma le volontà, educandole alla rinunzia, al dominio di sé, all'obbedienza. (…) Sentimmo quale sia il desiderio di pace dell'uomo, specialmente di chi, come il soldato, confida di prepararne le basi per il futuro col suo personale sacrificio, e spesso con l'immolazione suprema della vita”».

E il Concilio?

«Nella Gaudium et Spes, al numero 79, è scritto che “coloro poi che al servizio della patria esercitano la loro professione nelle file dell'esercito, si considerino anch'essi come servitori della sicurezza e della libertà dei loro popoli; se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono anch'essi veramente alla stabilità della pace”.

È vero, ma all’inizio dello stesso paragrafo è scritto che «ogni giorno in qualche punto della terra la guerra continua a produrre le sue devastazioni. Anzi dal momento che in essa si fa uso di armi scientifiche di ogni genere, la sua atrocità minaccia di condurre i combattenti ad una barbarie di gran lunga superiore a quella dei tempi passati».

«Noi deploriamo la negatività delle guerre ma difendiamo chi ha obbedito al servizio militare. E questo è stato Giovanni XXIII». 

* Foto di Jollyroger tratta da WikiMedia Commons, immagine originale e licenza

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