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TRA LOGICHE ELETTORALI E FEDELTA' AI VALORI: LO IUS SOLI SPINA NEL FIANCO DEL PD

TRA LOGICHE ELETTORALI E FEDELTA' AI VALORI: LO IUS SOLI SPINA NEL FIANCO DEL PD

Tratto da: Adista Notizie n° 33 del 30/09/2017
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39085 ROMA-ADISTA. Autunno caldo, molto caldo, per la politica italiana in eterna campagna elettorale e ora sempre più proiettata al prossimo 2018, anno campale che potrebbe vedere ribaltato l'attuale assetto istituzionale del Paese. Stando a quanto riportano i media mainstream, le politiche migratorie si sono caratterizzate ormai come il tema dei temi, la questione in grado di scaldare gli animi, mobilitare consensi e dissensi e far pendere il piatto della bilancia dall'una o dall'altra parte. E questo l'hanno capito bene, ormai da anni, forze come la Lega di Matteo Salvini, cresciute a dismisura assecondando e cavalcando gli umori della pancia del Paese, invocando chiusure o lanciando strali contro chi fa accoglienza; ma anche partiti più “moderati”, come il Pd, che negli ultimi mesi, con il ministro degli Interni Marco Minniti, pare aver fatto proprio il modello del contenimento e della repressione. Spostando i riflettori poi dalla crisi dei rifugiati all'immigrazione vera e propria – quella “buona”, stabile, stanziale e integrata, che porta benessere al Pil, al sistema previdenziale e agli indici demografici – c'è poi, sotto la lente del mondo politico che guarda alle prossime elezioni, il grande tema dello ius soli (“temperato” dallo ius culturae), ddl che dovrebbe permettere a circa 800mila ragazzi nati e cresciuti in Italia, e italiani di fatto, di diventare cittadini del Belpaese anche di diritto. E che, a furia di rinvii, sta per essere definitivamente cancellato dall'agenda di questa legislatura. Intanto si chiacchiera, con il Pd che invoca la «legge di civiltà», ma poi non ha la maggioranza in Senato, e i detrattori delle destre che gridano all'islamizzazione del Paese o all'invasione dei barconi carichi di donne incinte.

Come una doccia gelata, prima della pausa estiva, quando i giochi sembravano ormai fatti, la maggioranza aveva rinviato a settembre la discussione sul ddl. E mentre leghisti, pentastellati, alfaniani cantavano vittoria, l'indignazione delle associazioni laiche e del mondo cattolico – gerarchie comprese – che per lo ius soli tanto si erano spesi, si riversava come un torrente in piena sul Pd, accusato di codardia e di cinismo di fronte alla possibilità di perdere consensi nell'elettorato “moderato” (v. Adista Notizie n. 28/17).

Ma il nodo che il Partito Democratico deve tuttora sciogliere resta sempre quello dei numeri, con i senatori di Angelino Alfano e Maurizio Lupi, che il ddl così com'è non lo vogliono votare, perché troppo ius soli e poco ius culturae. Tra le file di Alternativa Popolare (Ap), tra l'altro, è sempre più forte la tentazione di una “rimpatriata” a destra, come dimostrato dalle posizioni in campo nella recente tornata siciliana. E forse il Pd intende aspettare proprio quell'appuntamento elettorale, che ormai chiaramente rappresenta la prova generale dei nuovi equilibri politici verso il 2018, prima di fare la conta dei senatori alleati. E chissà che, con Ap fuori dalla maggioranza, il Pd non si senta più propenso ad accogliere l'invito di Giuliano Pisapia (leader di Campo Progressista) a ripartire da questo ddl «per l'unità del centrosinistra»: «L'approvazione dello ius soli sarebbe un atto di civiltà contro la resa allo spirito dei tempi. Una risposta non rassegnata al disorientamento e alla paura. La prova che siamo capaci di riprendere quell'egemonia culturale che la sinistra, l'associazionismo laico e cattolico, il civismo e la tradizione liberale sembrano avere smarrito». 

Insomma, intorno a questa legge (e sulla pelle di 800mila giovani in attesa di diritti), in questa precisa fase storica, si giocano diverse partite cruciali: l'identità e i valori del Pd, gli equilibri interni alla maggioranza, le nuove alleanze, il futuro del centrosinistra, ecc. Ma intanto, l'agenda di settembre del Senato non prevede la discussione sullo ius soli e, per questa ragione, proseguono senza sosta le mobilitazioni dell'associazionismo per la cittadinanza, riunito nella Campagna “L'Italia sono anch'io” (cui aderiscono molti enti locali, parlamentari, artisti, associazioni laiche, cattoliche e protestanti) e vicino al movimento dei ragazzi “ancora” stranieri #italianisenzacittadinanza, che continuano ad organizzare flash mob settimanali a Roma e Milano, per chiedere a gran voce la calendarizzazione del voto. «Abbiamo appreso che la Riforma per la Cittadinanza non è in calendario in Senato per questo mese», si legge in un comunicato delle due realtà che invitava i milanesi a scendere in piazza lo scorso 18 settembre, «e il coraggio di far crescere questo Paese, riconoscendo i suoi figli, è mancato ancora una volta».

Il pressing del mondo cattolico

Chiara e senza tentennamenti è anche la posizione delle gerarchie cattoliche, che premono sul governo per un'approvazione del decreto entro questa legislatura. Il 17 settembre scorso, in un incontro nella Basilica superiore di Assisi, moderato dal giornalista di La7 Corrado Formigli, il ministro Minniti ha “tranquillizzato” il card. Gianfranco Ravasi (presidente del Pontificio Consiglio della cultura), ribadendo pieno sostegno al ddl: «Bisogna fare una battaglia culturale», ha detto di fronte alla ricchissima platea del “Cortile di Francesco”, «non c'è alcun legame tra sbarchi e ius soli. Bisogna fare di tutto per approvarlo ora». Piena sintonia, dunque, con il “ministro” della Cultura vaticano, secondo il quale «un popolo grande come quello italiano deve riuscire ancora a ritrovare la capacità di far sì che nel suo terreno germoglino delle persone che sono diverse, ma hanno tante componenti con noi a partire certo dall’umanità, ma anche da un percorso di cultura. Credo che questo diritto debba essere realizzato».

Un messaggio forte e chiaro è stato lanciato anche dai vescovi italiani, domenica 17 settembre. «Ius culturae, credere nell'Italia e nei suoi figli. Diamo una legge a presente e futuro», titola l'editoriale di Marco Tarquinio sull'edizione più letta del quotidiano della Cei Avvenire il quale, sempre in una prima pagina tutta a colori, pubblica un collage di ritratti degli “italiani di fatto”, con su scritto “Tutti italiani, non ancora cittadini”. Avvenire offre così al suo pubblico i volti dei giovani che quest'estate, ogni giorno, hanno raccontato al giornale la loro vita, le loro aspirazioni e i loro sogni. «Parole di carne e sangue, di anima e di cuore, di sudore e di intelligenza», sottolinea Tarquinio. «Non pure opinioni, ma storie di vita». «Facce pulite e vere», aggiunge, «anche se qualcuno quelle facce continua a scarabocchiarle e distorcerle per trasformarle in quelle di orchi e mostri e terroristi». 

«Chi e perché vuol mettere paura agli italiani?», domanda il direttore in apertura; «Chi e perché vuol farci vivere nella chiusura e nella grettezza, in modo da non generare più figli, né dai nostri lombi né grazie alla nostra cultura e al nostro spirito?». I detrattori del ddl, denuncia poi, si battono non per migliorare, ma per affossare totalmente la nuova legge, «purtroppo, per calcolo politicante, con manifestazioni di aperta xenofobia e rimettendo in circolo pregiudizi colmi di vergognoso e sempre meno celato razzismo». «Una piccineria umana – affonda – una miseria morale e, insieme, una scelta pratica imprevidente e imprudente». Tarquinio chiarisce al lettore che la nuova legge non concede nulla, ma riconosce semplicemente uno stato di fatto, ovvero la realtà di giovani che sono nati in Italia e cresciuti da italiani, e che non riconoscono altri Paesi come loro casa. «I nuovi italiani sono e restano parte integrante di una generazione di giovani concittadini che non possiamo permetterci di perdere e disperdere. Sono parte integrante di un patrimonio di umanità, una ricchezza d’Italia. Dipende da noi, anche con una legge giusta e finalmente tempestiva, farli essere e sentire continuatori e interpreti del nostro grande passato e protagonisti del presente e del futuro comuni. Insieme». 

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