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La Camera boccia l'embargo sulle armi ai sauditi. Un favore alle lobby militari e finanziarie

La Camera boccia l'embargo sulle armi ai sauditi. Un favore alle lobby militari e finanziarie

Tratto da: Adista Notizie n° 34 del 07/10/2017

ROMA-ADISTA. A nulla sembra essere valsa la grande mobilitazione della società civile e delle realtà pacifiste di ispirazione cristiana, che da un paio d'anni denunciano senza sosta una triplice violazione – all'art. 11 della Costituzione, alla Legge 185/90 e al Trattato internazionale sul Commercio delle Armi, ratificato dall'Italia nel 2014 – chiedendo lo stop alla vendita di armi verso l'Arabia Saudita. Il Paese guida infatti una coalizione impegnata da due anni in una guerra senza mandato internazionale contro l'ex presidente Ali Abd Allah Saleh e gli oppositori del governo yemenita di ispirazione wahabita di Abd Rabbuh Mansur Hadi. Si stima che sotto le bombe saudite siano già morte circa 10mila persone tra cui più di mille bambini. Superano la soglia dei 3 milioni anche gli sfollati, mentre già si parla di circa 20 milioni di persone che, a causa della guerra, sono ormai dipendenti dagli aiuti umanitari.

Caduti nel vuoto anche i reiterati, ma non vincolanti, appelli del Parlamento europeo: quello del 25 febbraio 2016 (poi confermato il 15 giugno successivo), con l'adozione della risoluzione proposta dello scozzese Alyn Smith che, dopo le innumerevoli accuse di violazione dei trattati internazionali nello Yemen, chiede ai Parlamenti degli Stati membri una moratoria sul commercio di armi coi sauditi; quello recentissimo, del 14 settembre, con l'approvazione di una mozione diretta all'Alto Rappresentante Ue per gli Affari esteri e la Sicurezza, Federica Mogherini, invitata ad aumentare i controlli sull'export di armi ai Paesi exracomunitari e a imporre un embargo sulla vendita di ordigni ai sauditi, essendo conclamata la violazione del Codice Germania, Svezia e Olanda hanno già interrotto la fornitura di armi ai sauditi. Ma il Belpaese no. Recentemente, poi, il Parlamento nostrano ha perso una grande occasione: lo scorso 19 settembre, la Camera dei Deputati ha respinto infatti la mozione firmata da Giulio Marcon e altri di area progressista (120 si, 301 no), che faceva proprie le istanze della società civile, e quella di Emanuela Corda e altri del Movimento 5 stelle (107 si, 301 no). La Camera ha però adottato altre tre mozioni, presentate in extremis da Lia Quartapelle del Pd, Valentina Vezzali (Sc, Ala, Maie) e Bruno Archi di Forza Italia, le quali non parlano del coinvolgimento delle bombe italiane nei bombardamenti sullo Yemen e non ne chiedono la sospensione della fornitura alle fazioni coinvolte nel conflitto. Con il voto del 19 settembre, i deputati hanno così deciso di restare alla finestra e rinviare la decisione alle calende greche, continuando a “monitorare” la crisi umanitaria nello Yemen, ma rifiutandosi seccamente di aggredire un settore produttivo molto fiorente, in attesa – dicono – di una linea comune europea, quella sì davvero coercitiva. E intanto l'Istat ha recentemente rilevato che, tra il primo semestre del 2016 e il primo semestre del 2017, l'export delle armi verso i sauditi si è moltiplicato nientemeno che per sei. La quasi totalità delle bombe italiane destinate alla Royal Saudi Air Force sono prodotte negli stabilimenti di Domusnovas, in provincia di Cagliari, dalla Rwm Italia Spa, società in vertiginosa espansione con sede a Ghedi (Brescia), totalmente controllata dalla holding tedesca Rheinmetall Waffe Munition GmbH, fornitore di primo piano del governo di Riyad.

Le origini del dibattito

Il 21 giugno scorso, prima della pausa estiva, un cartello di realtà della società civile italiana – Amnesty International, Movimento dei Focolari, Oxfam, Fondazione Finanza Etica, Rete Italiana per il Disarmo e Rete per la Pace – aveva promosso alla Camera dei deputati una conferenza stampa sulla crisi umanitaria nello Yemen, presentando in quella occasione il testo della mozione parlamentare poi accolta e depositata da Giulio Marcon e altri, un documento che recupera e rilancia la mozione approvata dall'Europarlamento a febbraio e giugno 2016. La mozione delle associazioni chiede all'Italia di arrestare immediatamente «le forniture militari verso Arabia Saudita e propri alleati» ma anche di farsi promotrice, tra gli Stati membri, di «un'iniziativa finalizzata all'imposizione da parte dell'Ue di un embargo sulle armi nei confronti dell'Arabia Saudita, tenuto conto delle gravi accuse di violazione del diritto umanitario internazionale da parte di tale Paese nello Yemen». Infine, le associazioni avevano anche rilanciato l'idea della riconversione civile dello stabilimento di Domusnovas, dove sono impiegati 86 lavoratori, progetto sul quale già sta lavorando un “Comitato Riconversione RWM per la pace, il lavoro sostenibile, la riconversione dell’industria bellica, il disarmo”, partecipato da oltre 20 organizzazioni sarde. L'obiettivo, che è possibile raggiungere attingendo ai fondi previsti dalla 185/90, è quello di spezzare l'odioso ricatto che, dietro l'alibi dell'occupazione in una regione economicamente depressa, consente alla società di fare affari producendo strumenti di morte. D'altro canto, quello stesso stabilimento, fino al 2010, era proprietà di una società che produceva esplosivi per uso civile, ma che è stata poi acquisita dalla Rwm e riconvertita ad settore bellico.

In un comunicato del 15 settembre, Amnesty, Oxfam, Focolari, Rete della Pace e Rete Disarmo hanno nuovamente chiesto al Parlamento italiano, in vista del voto di 4 giorni dopo, di non fare orecchi da mercante agli appelli del Parlamento europeo e, di non «restare indifferente» di fronte alla tragedia del popolo yemenita e di votare «con responsabilità».

Obbedienza alle lobby

«La discussione in Parlamento» è nata sotto la pressione della società civile, «dopo anni di appelli inascoltati», e non per iniziativa del Parlamento, commenta Giorgio Beretta (Opal Brescia). «Le mozioni votate, ed in particolare quella del partito di maggioranza, sono soprattutto uno sberleffo alle associazioni della società civile sia nel merito, ma ancor più nel metodo». Il Pd ha partecipato al dibattito estivo, ma la sua mozione, insieme alle altre approvate, è stata depositata solo all'ultimo: «Una modalità tipica – chiarisce Beretta – di chi non solo intende evitare il confronto con le associazioni della società civile, ma cerca anche di sottrarsi all’esame e alle critiche prima del voto. Uno sberleffo, appunto. Che manifesta l’incapacità di confrontarsi con chi, come le suddette associazioni, conosce bene la materia e non può essere abbindolato da slogan per telespettatori in pantofole o da frasi fatte ad uso e consumo del proprio elettorato plaudente». Secondo Beretta il voto alla Camera «lascia trasparire un’obbedienza agli ordini, impartiti con ogni probabilità non solo dal partito di riferimento, ma direttamente da qualche ministero». Per sottolineare le sue accuse, Beretta prende ad esempio l'intervento in aula del deputato di Fratelli d'Italia, Edmondo Cirielli, di famiglia e formazione militare, secondo il quale l'Arabia Saudita può pure non piacere, soprattutto per il fiancheggiamento dell'Isis, ma «rimane tuttavia un alleato strategico degli Stati Uniti e, quindi, della Nato»; «non capiamo – conclude il deputato – per quale motivo dovremmo solo fare un’azione unilaterale contro un Paese che, tra virgolette, sarebbe amico, intromettendosi peraltro indirettamente anche sullo scenario militare».

Dello stesso avviso Gianni Rufini, direttore generale di Amnesty International Italia: «Parlamento e Governo dimostrano lo scarso interesse per il rispetto dei diritti delle vittime di un conflitto violentissimo e illegale, per fare un favore all'industria degli armamenti e all'Arabia Saudita, il Paese che riesce a farsi perdonare ogni abuso col peso della sua potenza finanziaria». «Le prove indiscutibili dei crimini di guerra e delle brutalità commesse contro la popolazione yemenita – conclude con grande amarezza – evidentemente non sono sufficienti a risvegliare una classe politica ormai priva di riferimenti morali».

«Le premesse sono molto chiare», commenta anche Francesco Vignarca (Rete italiana per il Disarmo): «Il Parlamento ha tutte le informazioni adeguate per prendere una decisione conseguente. Però questo passo, l’interruzione della vendita di armi all’Arabia Saudita, non viene fatto. E nel frattempo la gente continua a morire» (altreconomia, 22/9). La situazione in Yemen è disperata, è il suo commento del giorno dopo il voto, «e sarà di difficile soluzione, ma ciò è anche colpa delle bombe italiane che da mesi vengono spedite alla volta dell’Arabia Saudita. Un macigno sulle coscienze della politica italiana» (la Repubblica).

Immagine di B.alotaby, tratta da Wikimedia Common, immagine originale e licenza

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