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Catalogna. Federalismo: l’unica soluzione “impossibile”

Catalogna. Federalismo: l’unica soluzione “impossibile”

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 14/10/2017

La crisi politico-istituzionale che sconvolge la Spagna ha diverse cause, ciascuna delle quali non sarebbe bastata, da sola, a generarla. In primo luogo, la sentenza del Tribunal constitucional del 2010 che cassò alcuni articoli del nuovo Statuto della Catalogna. Una pronuncia la cui legittimità non fu accettata dalla classe politica locale: persino l’allora presidente della Generalitat, il socialista Montilla, protestò in piazza. Gli sviluppi attuali, però, non si sarebbero generati senza il tracollo economico dell’intero Paese e il quasi contestuale sentimento di generale delegittimazione di tutto il sistema politico (partiti e istituzioni) che ebbe nel movimento degli indignados la clamorosa epifania. E ancora, la svolta indipendentista della principale forza del nazionalismo catalano, quella dell’attuale presidente Puigdemont, di centrodestra: dall’autonomia alla secessione, un cambiamento motivato anche dalla necessità di restare a galla nonostante gravi casi di corruzione e crescente malcontento. 

E così, dal settembre 2012, quando il Parlament di Barcellona votò la prima risoluzione al riguardo, aleggia nella vita politica spagnola il fantasma del referendum di autodeterminazione. Un genere di consultazione che non è previsto dalla Legge fondamentale del 1978, che ammette l’istituto del referendum consultivo «su decisioni politiche di particolare importanza» per iniziativa del Governo centrale, il referendum nell’ambito regionale sugli Statuti di autonomia e quello sulle riforme costituzionali. Manca lo strumento perché manca il riconoscimento del diritto oggi invocato dagli indipendentisti: la Costituzione, all’articolo 2, «garantisce il diritto all’autonomia delle nazionalità e regioni che la integrano e la solidarietà fra esse», senza menzionare la facoltà di separarsi dal resto del Paese. 

Storicamente è stata la sinistra iberica ad essere interprete virtuosa del compromesso costituzionale fra autonomia – contro la destra post-franchista – e solidarietà inter-territoriale – contro gli egoismi dei nazionalismi periferici: non a caso, Andalusia e Catalogna sono state nel primo trentennio di democrazia il granaio di voti del Psoe. Nella Comunità catalana, le forze progressiste hanno sempre avuto una propria identità regionale (Psc i socialisti, Psuc i comunisti, divenuti poi Iniciativa-Verds): soggetti autonomi a pieno titolo, ma federati con il partito di ambito statale. Per la galassia attorno a Podemos, di più recente formazione, il discorso è più complesso, ma si è conservato in qualche modo il principio di contestuale «differenziazione e relazione». Non rientrano in questo discorso la storica formazione indipendentista, l’Esquerra republicana del vicepresidente Junqueras, e la «rivoluzionaria» Cup, apparsa sulla scena nel 2012, oggi alleate del centrodestra di Puigdemont nella sfida a «Madrid». 

La condizione di soggetti politici insieme «catalani e spagnoli» offrirebbe oggi a socialisti e «galassia Podemos» la possibilità di prendere in mano il bandolo della matassa e offrire al Paese iberico l’unica via d’uscita possibile: una riforma federale dello Stato che si fondi sul riconoscimento più esplicito del carattere «plurinazionale» della Spagna. Entrambe le principali famiglie politiche della sinistra spagnola difendono tale posizione, ma in questo momento sono divise sulla relazione da tenere con i due governi, quello catalano e quello di Madrid: Podemos sostiene l’esigenza di una mediazione per uscire dalla crisi, mentre il Psoe appoggia l’esecutivo di Rajoy nella tutela della presente legalità costituzionale, salvo criticarne l’inettitudine politica e le derive repressive. Una differenza di vedute sull’immediato che, purtroppo, qui e ora compromette l’efficacia del richiamo alla via d’uscita di medio-lungo periodo, un federalismo legittimato da un pronunciamento popolare in una nuova legalità costituzionale.

* Jacopo Rosatelli è professore nella scuola secondaria a Torino; scrive per “il manifesto”; collabora con l’Università Autonoma di Madrid.

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