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Per riprendere a seminare.  La speranza del Brasile nel rilancio del lavoro di base

Per riprendere a seminare. La speranza del Brasile nel rilancio del lavoro di base

Tratto da: Adista Documenti n° 36 del 13/10/2017

Brasilia-Adista. È uno dei momenti più oscuri della sua storia che il Brasile sta vivendo a partire dal colpo di Stato contro la ex presidente Dilma Rousseff. Non a caso, c'è chi, non limitandosi a parlare di una "democrazia a bassissima intensità", denuncia addirittura l'esistenza di una "dittatura civile": perché nient'altro che questo, scrive per esempio il noto teologo della liberazione Leonardo Boff, è un governo «senza il popolo e contro il popolo» come quello di Temer, con un indice di popolarità inferiore al 5%, che impone, senza alcun dialogo con la società civile, e con la complicità di un Parlamento composto al 40% da deputati e senatori accusati di corruzione, misure come la riforma del lavoro e quella della previdenza, privatizzazioni di beni pubblici fondamentali come la Eletrobrás, leggi che calpestano i diritti dei popoli indigeni e «quell'autentico attentato alla sovranità nazionale che è l'autorizzazione alla vendita agli stranieri di terre dell'Amazzonia e il rilascio di concessioni minerarie a imprese multinazionali in una vasta area della foresta».   

E se non bastasse questa dittatura civile composta, secondo Roberto Malvezzi della Commissione Pastorale della Terra, «da 350 deputati, 60 senatori, 11 ministri del Tribunale Supremo Federale, alcuni organismi imprenditoriali e le famiglie proprietarie dei grandi mezzi di comunicazione, in costante collegamento con i poteri economici che dominano il mondo», ci si sono messi anche i militari a gettare una luce sinistra sulla situazione attuale del Paese. Grande scalpore ha infatti suscitato la dichiarazione del generale dell'esercito Antônio Mourão, il quale, parlando il 15 settembre scorso in una loggia massonica di Brasilia, ha affermato, rispondendo a una domanda sull'eventualità di un intervento militare per spazzare via la corruzione dal Paese, che «o le istituzioni risolvono il problema politico, attraverso l'azione del potere giudiziario, ritirando dalla vita pubblica gli elementi coinvolti in atti illeciti, o dovremo imporlo». Aggiungendo, come se non bastasse, che l'esercito avrebbe già «pianificato ottimamente» tale intervento in caso di necessità. E per quanto il capo dell'esercito, il generale Eduardo Villas Bôas, si sia affrettato a negare qualsiasi possibilità di un intervento delle forze armate che non risponda strettamente ai dettami costituzionali, non è un segreto che  all'interno delle caserme la situazione sia assai più complessa: tra i soldati e anche tra alti ufficiali dell'esercito, infatti, l'idea di Mourão raccoglie parecchi consensi.  

E se sulle reti sociali la popolarità del generale è cresciuta in maniera vertiginosa – e un recente sondaggio di Datafolha indica che i militari godono della fiducia della popolazione assai più che la classe politica (40% contro appena il 3% di consensi) –, in sua difesa è anche sceso in campo il deputato – e aspirante candidato alla presidenza del Brasile – Jair Bolsonaro (del Partito Social-Cristiano), sostenitore del diritto di ogni fazendeiro di usare il fucile contro i senza terra e famoso per le sue posizioni razziste e omofobe nonché per le sue parole di elogio nei confronti del colonnello torturatore della dittatura Carlos Alberto Brilhante Ustra, ex capo del Doi-Codi, l'organo di intelligence e di repressione del regime militare. Il generale Villas Bôas, ha dichiarato Bolsonaro, «ha parlato come un qualunque brasiliano indignato contro questo stato di putrefazione della politica brasiliana. Non è altro che libertà di espressione». E appare di certo inquietante il fatto che i sondaggi attribuiscano a Bolsonaro il secondo posto nelle preferenze degli elettori, con il 18% dei voti, appena dopo Lula. Il quale Lula, tuttavia, come è noto, non solo è stato incriminato, insieme a Dilma Rousseff e quattro ex-ministri per associazione a delinquere nell'ambito dell'inchiesta Lava Jato (e, più precisamente, per aver «promosso, costituito, finanziato o integrato», tra il 2002 e il 2016, «un'organizzazione criminale» di cui il Pt avrebbe fatto parte, insieme, tra gli altri, al PMDB e al PP), ma è stato condannato in primo grado a 9 anni e 6 mesi per corruzione, per il presunto occultamento della proprietà di un attico a Guarujà intestato all'impresa di costruzioni Oas, che l'ex presidente avrebbe acquistato a un prezzo di favore, in cambio del suo intervento in favore dell’assegnazione di appalti con la Petrobras.

Su di lui, tuttavia, continuano a scommettere, oltre al Partito dei Lavoratori, anche i movimenti sociali, convinti che Lula sia oggetto di una persecuzione politico-giudiziaria diretta a impedire con tutti i mezzi la sua candidatura alle elezioni presidenziali del 2018 e ancora più convinti che sia lui l'unico in grado di battere le destre e di riportare il Brasile sul cammino abbandonato in seguito al golpe contro l'ex presidente Dilma Rousseff, ma stavolta seguendo una strada diversa rispetto a quell'alleanza con settori della destra e dell’agribusiness a cui hanno dato vita i passati governi del Pt.

È di tutto questo, e di altro ancora, che abbiamo parlato, durante una sua visita in Italia, con il vescovo emerito della Chiesa anglicana del Brasile Sebastião A. Gameleira Soares, membro del Centro di Studi Biblici (Cebi) – fondato nel 1979 per promuovere la lettura popolare della Bibbia – di cui è stato direttore nazionale e coordinatore del Programma di Formazione. Di seguito l'intervista

 

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