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Come un aquilone nella pozzanghera

Come un aquilone nella pozzanghera

Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 27/01/2018

«Non è vero che i comunisti mangiano i bambini; si sbranano tra loro!», amava ripetere, con rassegnazione, don Andrea Gallo, quando il discorso cadeva sull’ennesima, antica e sempre nuova, crisi della sinistra in Italia. Ormai il prete di strada genovese è morto da qualche anno, ma la sua amara costatazione sulla “maledizione” della sinistra, condannata a dividersi all’infinito, è drammaticamente attuale. Le incomprensioni, le lacerazioni, sfociano spesso nello sbranarsi con accuse e attacchi, derisione o denigrazione dell’attuale avversario, una volta compagno.

C’era una volta un aquilone che volteggiava nel cielo azzurro, tracciando disegni sempre nuovi, a volte sembrava cadere, ma subito si risollevava. Tutto questo era la gioia del bambino che teneva ben saldo il filo. Ma un brutto giorno l’aquilone precipitò e cadde in una pozzanghera. Non aveva più la forza di librarsi nel vento, le sue ali erano rotte e appesantite dal fango. La sinistra in Italia ha fatto la fine dell’aquilone, che è precipitato in una pozzanghera e nessuno sa o vuole aggiustarlo. Siamo rimasti con il filo floscio e inutile in mano; un filo che per alcuni era diventato un idolo, altri avevano stupidamente pensato di poterlo “rottamare”.

La sinistra ha perso la voglia di ricercare l’unità e in quella pozzanghera ha cominciato a trovarsi bene, se non addirittura a sguazzarci senza ritegno. I tanti, troppi dirigenti dei tanti, troppi partiti, e partitini, gruppi e gruppuscoli, che nascono come funghi a sinistra, sembrano avere smarrito il buonsenso, presi come sono a dilaniarsi e sbranarsi reciprocamente. L’arroganza di alcuni, il risentimento di altri, hanno fatto perdere di vista i bisogni dei cittadini-elettori.

Certo sarebbe inutile unirsi solo per tentare di vincere, perché i problemi e le incomprensioni riemergerebbero comunque, rendendo difficile governare, ma nemmeno ci si può rassegnare alle divisioni infinite, senza possibilità di confrontarsi. Ultimamente ho chiesto ad alcuni dirigenti locali perché continuavano ad inventarsi partitini che non avevano nessuna speranza di ottenere risultati soddisfacenti: «È vero che non vinceremo – mi hanno risposto – ma toglieremo voti a quell’altro e non vincerà nemmeno lui». Sono rimasto senza parole, e con tanta tristezza dentro! Occorrerebbe che qualcuno facesse un appello all’unità della sinistra. Ma chi ha l’autorevolezza e la credibilità per farlo?

«Una delle principali tentazioni da affrontare è quella di confondere unità con uniformità. L’unità non nasce dal neutralizzare o mettere a tacere le differenze. L’unità non è un’uniformità asfissiante che nasce normalmente dal predominio del più forte, e nemmeno una separazione che non riconosca la bontà degli altri. L’unità è una diversità riconciliata perché non tollera che in suo nome si legittimino le ingiustizie personali o comunitarie. L’arte dell’unità esige e richiede autentici artigiani che sappiano armonizzare le differenze nei “laboratori” delle strade e delle piazze. Non è un’arte da scrivania l’unità, né fatta solo di documenti, è un’arte dell’ascolto e del riconoscimento».

Lo so, vi piacerebbe ascoltare un discorso del genere da qualche leader di sinistra, riannoderebbe il filo e toglierebbe il fango dalle ali dell’aquilone ridandogli la possibilità almeno di provare a volare, ma è papa Francesco che così si è rivolto ai cileni e ai Mapuche, che vivono anch’essi lacerazioni e divisioni. Alla sinistra italiana purtroppo manca qualcuno che inviti al dialogo, ma quel che è peggio, manca la voglia di parlarsi, guardandosi negli occhi e volendosi bene. È la maledizione della sinistra, e se non ci riescono i leader, ci provi la base a infrangerla. Se non ci tiriamo fuori dalla pozzanghera nella quale ci hanno sbattuti, saremo condannati a sguazzarci dentro, tristemente e all’infinito.  

* Vitaliano Della Sala è amministratore parrocchiale a Mercogliano (Av) 

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