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Franco Barbero in dialogo con Carla Galetto e Beppe Pavan

Franco Barbero in dialogo con Carla Galetto e Beppe Pavan

Questo articolo è tratto dal numero 1/2018 della rivista Esodo. Esodo è una associazione nata nel 1979 da esperienze maturate dai Preti operai, dalle comunità di base veneziane, dai gruppi biblici. Oltre alla pubblicazione dell’omonimo quaderno trimestrale di ricerca (inviato a tutti i soci), vengono organizzati periodicamente incontri/convegni, presentazione di libri, viaggi. Con cadenza pressoché settimanale a quanti si iscrivono alla nostramailing list (soci e non soci) viene inviata una newsletter che contiene riflessioni, contributi, proposte. www.esodo.net.

 

So solo fare il prete? Può darsi… Ai cancelli delle fabbriche prima della messa negli anni ’60-’70, nei tribunali civili per i reati di vilipendio alle istituzioni militari, negli interminabili processi ecclesiastici, poi in una casa parrocchiale condivisa con operai del Sud Italia, successivamente nella sede della comunità per la scuola agli stranieri, nel gruppo nato 23 anni fa per un cammino terapeutico con i preti pedofili abbandonati, nei 25 anni da animatore del Fat (Familiari e Amici dei Tossicodipendenti), nella Scala di Giacobbe, nel lavoro con l’Agedo dalla sua fondazione, nel Corso per animatrici e animatori biblici da 40 anni a Torino, la costruzione della commissione catechesi che negli anni ’79-’86 vide una partecipazione e una creatività singolari dei genitori e dei ragazzi/e producendo quattro densi testi di catechesi cherigmatica… e nell’impegno quotidiano con gay, lesbiche, transessuali e transgender, un continuo peregrinare da un “Gay Pride” all’altro e soprattutto il rapporto con persone sole, sempre più numerose e in cerca di chi le ascolti, nei gruppi di amicizia cristiano-islamica… così sono trascorsi i miei 55 anni di ministero.

Sì, può darsi che abbia solo fatto il prete, ma forse anch’io ho tentato di essere prima di tutto un uomo e un cristiano, un marito, un fratello che cerca di vivere, con le sue contraddizioni, qualche frammento di vera solidarietà, in un cammino condiviso con i più strani “pellegrini”.

Sconfessato dalle autorità gerarchiche, ho continuato il ministero di accompagnamento teologico e pastorale, con il pieno consenso della comunità (“Perché resto”, Quaderno di Viottoli numero 6, 2003, pag.18-19) e anche in alcune parrocchie che me lo richiedono.

Nello stesso impegno quotidiano del blog e della corrispondenza, ho cercato di accogliere e scambiare momenti e strumenti di relazione e di crescita.

Con la disobbedienza all’ingiunzione vaticana, non ho voluto conservare un potere e tanto meno un posto nella “casta”, ma compiere con la comunità, in quel febbraio 2003, una scelta di libertà evangelica e di aperto dissenso da una autorità gerarchica prevaricatrice nei confronti della mia coscienza personale e di una decisione comunitaria. Come il dettagliato comunicato stampa, ora ricordato, dichiarò apertamente.

Nelle relazioni interpersonali lascio ad ogni persona e ad ogni gruppo che mi incontra la libertà di identificarmi e di riconoscermi in modi diversi: Franco, don Franco, padre Barbero, eretico, padre Franco, vecchietto irriducibile , signor Barbero… Non vedo ragione per le quali persone così diverse, come quelle che incontro, debbano censurare il loro modo di rivolgermi un saluto.

Quanto al “Cerchio di uomini e donne alla pari”, nel pieno rispetto di questa concezione delle relazioni, non attribuisco alcuna importanza alla sedia o al posto che occupo: al centro, a lato, dove capita, dove mi mettono, in piedi, in mezzo, sul marciapiede, al letto di un malato, all’altare di una parrocchia, in treno, al reparto psichiatrico… Il mio tentativo e la mia preoccupazione stanno altrove: tento di stare in quel posto, in qualunque posto, sempre come fratello e accompagnatore.

Prego Dio ogni giorno affinché mi aiuti, in queste diverse situazioni, a mettermi al servizio della crescita, dell’autonomia e della felicità delle persone… Il cerchio non mi convince; il servizio mi impegna e mi aiuta a convertirmi. Nella mia esperienza ho visto e conosciuto troppi abilissimi scalatori della piramide travestiti da teorici del cerchio. Preferisco uno spazio sociale in cui esistano ministri-ministre, animatori e animatrici come leader riconosciuti e dichiarati e così esposti e disponibili al confronto, alla valutazione e alla critica.

Quanto poi alla metafora “pastore- gregge”, la simbolica biblica, letta nella sua espansività e transculturalità, continua a parlarmi di amore, di tenerezza, di cura, di attenzione ai più deboli, alle “pecore smarrite e soprattutto perdute”. L’immagine di Gesù buon pastore e di Dio stesso come buon pastore, non hanno per me nessuna parentela con una relazione di dipendenza gregaria. Quando, a mia volta, ho esperimentato il dono dello smarrimento, ho sempre gustato la gioia di affidarmi a Dio buon pastore, rimettendo nel mio cuore e sulle mie labbra la preghiera del Salmo.

Del resto, la “cura pastorale” mi rimanda alla pagina rivoluzionaria della Riforma che ha cancellato il sacerdozio gerarchico e ha scelto la “consacrazione” dei pastori e delle pastore, il riconoscimento ministeriale di animatori, predicatori , catechisti, uomini e donne che, nella pratica del sacerdozio universale dei credenti, vengono individuati, preparati e immessi nel servizio alla comunità.

A mio avviso, tutti questi ministeri, hanno bisogno di adeguata preparazione e di continua conversione allo spirito e alla pratica del servizio. Senza questi molteplici ministeri, che costituiscono la cura pastorale, le comunità corrono il rischio di perdere la strada.

Cambiare si può? Direi che si deve. Per quel che mi riguarda personalmente, ogni giorno devo cambiare, cioè convertirmi, ma forse la conversione passa spesso attraverso strade diverse e anche attraverso dissensi aperti ed impegnativi. Si può correre il rischio di proiettare sugli altri il nostro desiderio o il nostro percorso di conversione, dimenticando che la conversione degli altri al Vangelo può anche non passare per la mia strada.

E’ sempre molto apprezzabile il richiamo che persone come Carla e Beppe mi rivolgono, affettuosamente solleciti della mia conversione, ma si può essere in stato di permanente conversione su sentieri molto diversi. Senza perdere né la stima né l’amicizia e accettando separazioni chiare, motivate, privilegiando altre istanze e dando priorità ad altre voci. I cuori possono restare vicini anche se i nostri cammini restano diversi.

Per questo motivo quando Beppe Pavan scrisse una sua riflessione dopo il collegamento nazionale delle CDB il 9 marzo 2013 e dichiarò : “Ognuno/a è assolutamente libero di stare dove crede; ma è proprio indispensabile stare in una chiesa? Personalmente sto bene nelle Cdb perché sono in una comunità di donne e di uomini e posso elaborare il mio personale cammino “oltre le religioni e le chiese”; dagli anni ’80 non mi sento più cattolico e neppure cristiano, ma sto bene con chiunque” e quando il 14 settembre del 2013, in un incontro promosso dalla Scala di Giacobbe ad Agape di Prali dichiarò: “Io ora mi sento ateo”, con alcuni fratelli e sorelle della comunità non feci fatica a ridirmi che le nostre strade, da anni ormai si erano diversificate ed era tempo di prenderne atto, come facemmo con grande impegno da parte di tutti/e in numerose assemblee comunitarie. Carla e Beppe sono sempre stati tra i più convinti promotori di questo confronto che ci ha permesso di prendere decisioni anche difficili, sofferte, ma finalmente feconde e liberatrici.

Franco Barbero

(Esodo n°1/2018)

 

 

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