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Pastora Letizia Tomassone: il movimento #churchtoo contro l'abuso delle donne nelle Chiese

Pastora Letizia Tomassone: il movimento #churchtoo contro l'abuso delle donne nelle Chiese

ROMA-ADISTA. La pastora valdese Letizia Tomassone, associata del Coordinamento delle teologhe italiane, ha rilasciato un'intervista - al programma radiofonico di RAI Radio1 Culto evangelico (4/3/18) in occasione della Giornata mondiale di preghiera delle donne - sul movimento #churchtoo, nato sull'esempio di #metoo, per favorire la denuncia degli abusi e delle molestie sessuali all’interno delle chiese. L'agenzia evangelica Nev (5/3) ne ha pubblicato la trascrizione, che è qui di seguito riprodotta.

Come dobbiamo considerare la nascita del movimento #churchtoo? È la dimostrazione che sta crescendo la consapevolezza che anche le chiese possono essere luoghi di abuso verso le persone più vulnerabili? O, al contrario, mostra che questo problema rimane ancora un tabù?

Ciò che secondo me il movimento #churchtoo fa emergere è che le chiese possono e devono essere luoghi di denuncia dell’abuso. Luoghi in cui poter dire la verità proprio a partire dalle molestie e gli abusi subiti dentro le chiese e che invece sono talvolta legittimati da un pensiero, ancora oggi ben presente, che afferma l’inferiorità delle donne.

Si tratta di superare una cultura sessista che è appoggiata teologicamente con l’idea che la donna è stata creata seconda rispetto all’uomo, con l’idea che la donna è in funzione del maschio. E che spesso si associa a una cultura omofoba anch’essa ben presente nelle chiese. Il movimento #churchtoo intende portare avanti una battaglia, che ormai ha alcuni decenni alle spalle, contro la violenza sulle donne, per fare chiarezza, dire la verità su ciò che avviene dentro le chiese e recuperare la dignità, l’integrità delle donne e dei soggetti sessualmente più deboli.

Quali storie emergono dai tweet di chi racconta di abusi subiti?

Emergono soprattutto storie di persone non credute che quando vanno a parlare di ciò che hanno subito sono invitate al silenzio, alla pazienza, all’accettazione, quasi ad un’idea antica di sacrificio. E poi emerge molto forte una cultura della purità in base alla quale se tu sei stata molestata o abusata, da bambina o da bambino, è come se tu fossi impura e spettasse quindi a te recuperare la tua integrità, la tua purezza. Al contrario la posizione di chi abusa non è mai mesa in questione. Queste storie mostrano che le chiese sono ancora strutturalmente misogine.

Nella sua esperienza di pastora e di teologa come si può affrontare efficacemente la questione degli abusi nelle Chiese?

Certamente parlandone, come donne, ma coinvolgendo molto anche gli uomini affinché riflettano sulle loro esperienze, sulle violenze subite e vissute. Riflettendo anche sulla violenza diffusa nelle famiglie. Quindi il primo punto è non considerare questo tema un tabù ma portarlo in primo piano.

Mi ha colpito molto anche la riflessione delle chiese della Nuova Zelanda sulla crocifissione come un momento in cui Gesù vien denudato e abusato sessualmente. Ricordo un discorso di questo genere, emotivamente molto forte, proposto qualche anno fa in Italia da Giovanni Franzoni rispetto al fatto che la tortura che Gesù subisce nel momento della spogliazione poteva sicuramente comprendere anche l’abuso sessuale.

Vorrei inoltre ricordare altri due strumenti che le chiese italiane hanno a disposizione: l’appello ecumenico contro la violenza sulle donne del 2015, firmato da tutte le chiese italiane; e l’Osservatorio che il Segretariato attività ecumeniche (SAE) ha messo in piedi proprio sui temi della violenza contro le donne e della violenza sessuale.

* Immagine dai Smithfield Decretals [Decretals of Gregory IX]. Foto tratta da Wikimedia Commons immagine originale e licenza 

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