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A Torino, popolazione insorge per la chiusura di un centro migranti

A Torino, popolazione insorge per la chiusura di un centro migranti

«Come cittadini vogliamo con forza affermare che la fine di questo esperimento sarebbe una incomprensibile sconfitta per tutti, non solo per gli ospiti, ma anche per i cittadini e per le istituzioni, perché l’accoglienza, seppur gestita da privati, è un progetto pubblico. Chiediamo quindi alle Istituzioni di attivare ogni mezzo per evitare questa sconfitta, in modo che i ragazzi possano continuare insieme, a Cavoretto, i percorsi intrapresi, potendo contare sul sostegno delle risorse del territorio». È quanto afferma un gruppo di residenti del quartiere collinare di Cavoretto, a Torino, in una lettera alla Prefettura e alla sindaca, Chiara Appendino, protestando contro la chiusura del centro che ospita attualmente 33 ragazzi tra africani e pakistani, ipotesi più che probabile data la mancata partecipazione al bando prefettizio necessario per la prosecuzione dell’attività da parte delle due cooperative che gestiscono la struttura.

Secondo quanto racconta il quotidiano Avvenire (9/3), i firmatari della lettera sono una quarantina, “cittadini e volontari”, ma potrebbe essere imminente una raccolta di firme molto più ampia per chiedere la prosecuzione del «progetto e modello collettivo, per evitare il disperdersi del patrimonio di esperienze accumulate»: «Il nostro - scrivono - si può ormai definire un modello per il legame che si è a poco a poco creato fra ospiti e cittadini, in un processo di fattiva integrazione, che ha consentito di mobilitare risorse e canali altrimenti impensabili. La ricaduta sul quartiere è stata sorprendente. Cavoretto, abbarbicato sulla collina, destinato a diventare un dormitorio, è stato vivificato dall’arrivo dei nuovi abitanti». In tale contesto, l’arrivo dei migranti è considerato «nuova linfa».

Molteplici le ragioni del successo di questo progetto, come spiega, sempre su Avvenire, la volontaria Grazia Raffaelli: «Innanzitutto, la scelta controcorrente (ma ragionevolissima) di istituire un centro di accoglienza in un quartiere mediamente non disagiato economicamente ha permesso, dopo i primi episodi di diffidenza, di smorzare le tensioni sociali fra gli ospiti e la popolazione che, in altre condizioni e a causa della crisi, sarebbero state di gran lunga più ostative». Poi, la responsabilizzazione e la cooperazione dei migranti stessi, l’attivazione di corsi per far loro ottenere un titolo di studio e l’apertura sul quartiere: «Appena sono arrivati gli ospiti abbiamo tenuto incontri per eliminare pregiudizi e disinformazione, e dopo abbiamo pensato a spettacoli teatrali, proiezioni di film e feste, che sono diventati l’appuntamento fisso del venerdì sera. I ragazzi, a loro volta, hanno seguito laboratori d’arte, di lettura, di cucina e di panificazione e hanno contribuito alla cura e alla manutenzione del quartiere».

La chiusura del centro potrebbe avvenire a fine marzo: «Una situazione che ci addolora, perché la loro presenza ha favorito l’aggregazione del quartiere stesso», spiega il parroco di Cavoretto, don Maurizio De Angeli. «Quello che sarebbe potuto sembrare un problema è diventato presto una risorsa e ha coinvolto realtà diverse, ecclesiali e non. Speriamo che l’appello sia ascoltato e che qualcuno sia in grado di prendere in mano questa situazione. Ad oggi, però, tutti gli interrogativi restano senza risposta».

 

* Foto di Peter Broster tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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