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Respingimenti per delega: un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani contro l'Italia

Respingimenti per delega: un ricorso alla Corte Europea dei Diritti Umani contro l'Italia

Un gruppo di Ong e associazioni per i diritti dei migranti – Global Legal Action Network, Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione (Asgi), l'agenzia indipendente di ricerche Forensic Oceanography/Forensic Architecture, Yale Law School (Stati Uniti), Arci e l'Ong tedesca Sea Watch – ha sostenuto e affiancato 17 nigeriani nella redazione di un ricorso presentato alla Corte Europea dei Diritti Umani (Cedu) contro l'Italia per il respingimento del 6 novembre 2017 che ha provocato la morte di 20 naufraghi e numerose violazioni dei diritti umani in terra africana. Quel giorno, un gommone alla deriva, con 130 migranti a bordo, è stato abbordato dalla nave della Ong tedesca Sea Watch, ma l'operazione di salvataggio è stata interrotta e ostacolata da una motovedetta libica (donata pochi mesi prima dal governo italiano), coordinata dal Centro di Coordinamento Marittimo (Mrcc) della Guardia Costiera italiana. Dei 130 naufraghi, 20 sono morti in – secondo le associazioni a causa dell'intervento maldestro di Tripoli – e 47 dei sopravvissuti sono stati riportati dalla motovedetta in terra libica dove, come ricostruito in un rapporto di Forensic Oceanography (ramificazione dell'agenzia Forensic Architecture presso la Godsmiths University di Londra), avrebbero subito detenzione in condizioni inumane, stupri, estorsioni e fame. Un paio di loro sarebbero stati persino venduti e torturati con l'elettrochoc. Tra i ricorrenti ci sono anche due genitori che hanno perso i figli durante le operazioni.

Il ricorso contro il governo italiano, presentato al tribunale dell'Unione Europea, è stato il tema in oggetto della conferenza stampa di ieri, promosso dai rappresentanti delle realtà firmatarie presso l'Associazione della Stampa Estera, nel corso della quale è stato distribuito e presentato il rapporto di Forensic Oceanography/Forensic Architecture.

Le responsabilità legali di queste morti e violenze sono da attribuire, secondo i ricorrenti, al Belpaese il quale, in seguito agli accordi con la Libia, coordina le attività di intercettazione e respingimento in mare dei migranti. «Le autorità italiane hanno appaltato alla Libia quello che a loro era proibito, secondo gli obblighi nel campo dei diritti umani. Stanno mettendo delle vite in pericolo, esponendo i migranti a forme estreme di maltrattamento by proxy attraverso il sostegno, il mantenimento e la coordinazione dell’operato della sedicente “Guardia Costiera Libica”», ha sottolineato in conferenza stampa la consulente legale di Global Legal Action Network (Glan), Violeta Moreno-Lax.

Per l'agenzia di ricerche della Godsmiths University questo ricorso alla Cedu racconta solo uno dei numerosi casi di intercettazione e respingimento in mare in cui l'Italia, con il sostegno europeo, delega alla Libia il “lavoro sporco” di controllo delle frontiere, ben consapevole delle diverse forme di violazione dei diritti cui vanno incontro i migranti respinti, tanto in mare quanto in terra africana.

* foto di  Irish Defence Forces, tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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