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Tornare al popolo per un neopopolarismo

Tornare al popolo per un neopopolarismo

Dopo la lettera di 24 esponenti cattolico-democratici che critica la strada presa dal partito negli ultimi anni e invita i militanti a non rassegnarsi “a un partito irrisolto e dunque inutile”, interviene sull'attuale crisi politica, con una lettera al direttore dell’Avvenire (pubblicata a p. 2 dell'edizione del 19 maggio 2018), un altro esponente di area cattolico-democratica, Lino Prenna, coordinatore nazionale di Agire Politicamente.

La riproduciamo qui di seguito

 

Caro direttore, 

nell’Opera omnia di Antonio Rosmini, in corso di avanzata pubblicazione in edizione critica, una sezione riguarda il suo pensiero politico, ampiamente sviluppato in vari saggi. Uno di questi reca come titolo Della sommaria cagione per la quale stanno o rovinano le umane società: un piccolo manuale di ricerca delle cause politiche che sostengono la crescita o determinano la caduta delle società moderne. Ne rileggo alcune pagine, per coglierne la lezione di sorprendente attualità, interpretativa dello scenario disegnato dalle urne del 4 marzo. Secondo Rosmini, le società sono guidate da due forze, che egli chiama «ragione speculativa» e «ragione pratica». Mentre la prima è propria della razionalità individuale, che promuove aspirazioni e idealità, l’altra è propria delle masse e si configura come istinto sociale, pulsione emotiva, sorretta da forti ma oscure ragioni.

Questa forza somiglia all’istinto, perché non è razionale e le masse stesse non ne hanno consapevolezza perché «non giungono a ripiegarvi sopra la riflessione», ma «hanno per motivo del loro operare il vantaggio presente e immediato». Le due forze – annota ancora Rosmini – non operano sempre con uguale efficacia ma ora domina l’una, ora prevale l’altra e, perciò, determinano due diversi stadi e stati delle società. Sono come i due piatti di una bilancia, il cui equilibrio nasce dall’uguale peso di ciascuno; ma, se pende da un solo lato, risulta sbilanciata.

Dunque, nelle elezioni del 4 marzo è prevalsa la «ragione pratica», denominazione che nobilita quello che è stato chiamato più prosaicamente «voto di pancia»! Hanno vinto le forze populiste, giacché la prevalenza dell’istinto sulla ragione, dei bisogni sui desideri, dell’utilità immediata sulle aspirazioni ideali, caratterizza i programmi di ogni populismo, anche di quello nostrano.

Nella duplice declinazione dei due partiti che hanno vinto le elezioni, esso non ha niente a che fare con l’anima rivoluzionaria del movimento politico e culturale sviluppatosi in Russia tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, con lo scopo di migliorare le condizioni di vita del popolo, rappresentato soprattutto dalle classi contadine, poiché si configura non come movimento popolare ma come egemonizzazione del popolo, forma di demagogia politica, ingannevole esercizio di democrazia diretta. Non serve il popolo ma si serve del popolo, considerato e ridotto a massa, di cui pur dichiara la sovranità!

Da parte nostra, comunque, è doveroso risalire alle cause che hanno sbilanciato la società italiana, con il prevalere della «ragione pratica», che le forze populiste hanno alimentato, non certo causato. Per il cattolicesimo democratico, il populismo può costituire una provocazione a riscoprire la sua vocazione popolare: una sorta di ritorno al popolo, nella versione di un neopopolarismo, che raccolga la migliore tradizione delle culture popolari, sia di ispirazione cristiana che di espressione socialcomunista e le reinterpreti, dotandole di una nuova ermeneutica sociale, ispirata alla “teologia del popolo”, cara a papa Francesco.

Per ragioni storiche e culturali, il “luogo” elettivo di elaborazione di tale nuovo popolarismo rimane – ad avviso di chi scrive, e so che non tutti saranno d’accordo – il Partito democratico, la cui ripartenza, resa più urgente dalla sconfitta elettorale, coincide con il ritorno al progetto originario, nato dalla confluenza delle due principali culture popolari che hanno qualificato la nostra Carta costituzionale e ora sono sollecitate a configurarsi come unitario «movimento popolare».

«Costruire un popolo» è il compito che papa Francesco assegna alla politica, chiamata non a lusingare le masse ma ad elevarle alla condizione di popolo cioè a fare, di un aggregato di individui, una comunità di persone. «In ogni nazione – scrive il Papa nell’Evangelii gaudium (220) –, gli abitanti sviluppano la dimensione sociale della loro vita configurandosi come cittadini responsabili in seno a un popolo non come massa trascinata dalle forze dominanti».

 

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