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Diritti umani e turismo in Africa: cosa si nasconde dietro un safari?

Diritti umani e turismo in Africa: cosa si nasconde dietro un safari?

La terra – quello che c'è sopra e quello che c'è sotto – è la risorsa più preziosa del continente africano, è condizione di vita per le popolazioni locali ma è anche fonte di grandi profitti per le imprese multinazionali dell'estrazione, delle infrastrutture, del legname e anche del turismo. Il fenomeno del land grabbing, l'accaparramento delle terre assecondato da politiche di governi interessate a portare a casa investimenti esteri, è una delle cause principali di violazione dei diritti umani e della scomparsa di numerosi popoli originari africani. E se sono ormai noti i casi di espropriazioni e violenze sulle comunità locali, ad opera di militari e forze dell'ordine compiacenti con le multinazionali minerarie o del greggio, meno conosciute al pubblico sono le condizioni di vita di quei popoli che vivono nelle regioni dei parchi naturali africani, dove sempre più spesso si recano turisti occidentali per ammirare le meraviglie della biodiversità africana. Il termine safari, in lingua swahili, significa “viaggio”.

Il Serengeti National Park è uno dei più attraenti e rinomati parchi del mondo, è collocato nel nord della Tanzania, al confine con il Kenya e adiacente ad altre importanti aree naturalistiche del Paese. Il Parco è protetto da stringenti leggi di conservazione, che intendono salvaguardarne il paesaggio e la sua biodiversità, ma anche gli interessi turistici connessi, e che sono applicate con estremo rigore dalle forze di polizia.

Il 18 maggio scorso, il sito della rivista missionaria dei comboniani Nigrizia ha pubblicato un articolo di Marta Gatti, che ogni lettore in partenza per un safari dovrebbe leggere con cura, dal titolo: “Il turismo d'élite uccide i maasai del Serengeti”. L'articolo prende spunto dai dati pubblicati nel rapporto del centro studi californiano “Oakland Institute”, Losing the Serengeti: the Maasai land that was to run forever (tradotto “Perdere il Serengeti: la terra dei Maasai che doveva correre per sempre”). «Attraverso missioni sul campo, interviste e analisi – si legge sul sito di Nigrizia – i ricercatori fanno emergere un quadro preoccupante, per il peggioramento delle condizioni di vita dei Maasai nell’area. Secondo le testimonianze raccolte dall’Oakland Institute ai pastori semi-nomadi viene impedito l’accesso alle fonti d’acqua e alla terra, utilizzata sia per il pascolo che per la coltivazione di sussistenza. La polizia avrebbe anche fatto uso della violenza per impedire l’accesso alle aree protette. Alcuni testimoni hanno raccontato ai ricercatori di aver visto bruciare le proprie abitazioni e aver subito il sequestro delle mandrie da parte dei poliziotti. Capi tradizionali Maasai e insegnanti sarebbero stati arrestati per aver protestato contro la politica di sfratti del governo». l'istituto californiano punta il dito sulle leggi di conservazione, che nel corso degli anni hanno favorito gli investitori esteri e confinato i pastori semi-nomadi masaai in spazi sempre più piccoli, privandoli delle risorse necessarie (acqua e pascoli) per vivere e costringendoli, come raccontano le testimonianze raccolte, ad un regime di repressione e terrore. Lo stato e le multinazionali negano tutto...

* Immagine di Feans, tratta dal sito Flickr, licenza, immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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