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"I NOSTRI VESCOVI HANNO PAURA DI ROMA". LETTERA APERTA DI LAICI CANADESI

Tratto da: Adista Documenti n° 60 del 02/09/2006

All'inizio del mese di marzo 2006, è stato reso pubblico un messaggio della Conferenza dei religiosi canadesi (Crc) indirizzato ai vescovi cattolici del Paese, che ha fatto grande scalpore tra i media. A partire da un sondaggio realizzato presso membri di 230 congregazioni religiose in tutto il Canada, questo documento interpellava i nostri vescovi nella prospettiva della loro visita ad limina, che ha avuto luogo dall'1 al 15 maggio scorso, una visita al papa che i vescovi compiono ogni cinque anni per rendergli conto della situazione delle Chiese diocesane delle quali sono incaricati. Questo messaggio, vero grido del cuore, affrontava il tema dell'uguaglianza delle donne nella Chiesa, del matrimonio dei preti, dell'accoglienza degli esclusi (persone omosessuali, divorziate, ecc.), della creatività liturgica e pastorale, dell'accompagnamento delle ricerche di senso dei nostri contemporanei, dell'incultu-razione del Vangelo e del rinnovamento della valenza sociale della fede. Le religiose e i religiosi sono spesso in prima linea, in diversi ambienti sociali ed ecclesiali. Sono testimoni di numerose critiche e incomprensioni sollevate dal discorso e dalle posizioni ufficiali del cattolicesimo su tutte queste questioni. Solidali con le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce del "popolo di Dio", essi invitavano dunque – con ponderazione ma con fermezza – le autorità ecclesiali all'ascolto e al dialogo. Che vi era di più elementare! Molti cattolici di qui si sono identificati in questo messaggio e hanno espresso riconoscenza nei confronti della Crc per aver detto a voce alta ciò che pensavano senza aver lo spazio per dirlo e essere ascoltati.

La reazione ufficiale dei vescovi a questa interpellanza è stata disastrosa: imbarazzata e maldestra, se non arrogante e in cattiva fede. Il panico, di fronte a ciò che consideravano una "patata bollente" e che li obbligava tuttavia ad affrontare le autorità romane su sfide dai contorni ben definiti, spiega probabilmente in parte questa reazione. Invece di farsi portavoce delle comunità cristiane di cui sono pastori, di "rimandare" al papa i frutti del discernimento dei credenti di qui e di assicurare così la libertà d'iniziativa e il rispetto delle loro Chiese diocesane, troppi vescovi accettano che la loro leadership sia sempre più ridotta da Roma ad un ruolo di controllo della disciplina. Ora, questo centralismo romano – sclerotizzato e uniformizzante – snatura l'ecclesiologia del Concilio Vaticano II.

Silenzio mediatico e sordità romana

In occasione della visita ad limina, si è seriamente discusso delle sfide sollevate dal messaggio della Crc? Come ne hanno parlato i nostri vescovi? Qual è stata la reazione del papa e del suo entourage? In contrasto con la montatura mediatica sopravvenuta in occasione della pubblicazione di questo documento, nessun mezzo di comunicazione si è preoccupato della cosa. Così, non vi è stato un giornalista che si sia interessato al discorso che Benedetto XVI ha pronunciato ai vescovi del Québec alla fine della loro visita. Questo discorso, però, conteneva una risposta al messaggio della Crc. Alla domanda sincera di ascolto e di dialogo nella Chiesa che vi era formulata, il papa ha replicato con un richiamo all'ordine. Secondo lui, le religiose e i religiosi devono sviluppare "una solida comunione ecclesiale" e manifestare "un'unità profonda […] con la Chiesa", "accogliendo e diffondendo la dottrina della Chiesa nella sua integrità e integralità". Punto e a capo.

Assimilando così l'unità alla sottomissione e all'obbe-dienza, la gerarchia romana dimostra di non volere ascoltare. Questa sordità è inaccettabile, perché un'autentica "comunione" nella Chiesa non può significare la rimozione dei problemi, delle tensioni o dei dibattiti che si pongono.

Prendere la libertà

Quando la Crc e i suoi 22.000 membri – la cui lealtà e il cui impegno non possono essere messi in dubbio – si fanno strapazzare e liquidare in questo modo dalle autorità ecclesiali, appaiono come profeti che gridano nel deserto. Quando i nostri vescovi hanno paura o si rifiutano di tener duro di fronte a Roma, rompono la solidarietà con il loro popolo col rischio di apparire – agli occhi di alcuni – come quei "pastori mercenari" di cui parla la Bibbia. Come credenti della base, che cosa si può concludere? Che non serve a niente, a breve o a medio termine, sperare che la gerarchia della nostra Chiesa prenda decisioni che permettano di sbloccare le impasse, e che ci dia il sostegno al quale avremmo diritto nelle nostre iniziative in questo senso.

Mettiamo piuttosto altrove le nostre energie. "Anche noi siamo Chiesa", allora parliamo e agiamo! Diamo l'assalto alle piste aperte dalla Crc: prepariamoci a scegliere donne e uomini sposati o qualunque altra persona competente per garantire la guida delle nostre comunità; creiamo nuove forme di riunione; riconosciamo pienamente – come fanno già alcune comunità cristiane – le persone omosessuali e i divorziati; sviluppiamo luoghi di discernimento e di inculturazione; parliamo apertamente delle sfide morali, sociali e politiche; impegniamoci per la giustizia. Se tutto questo riesce ad essere realizzato, facciamolo e si farà! Il rischio della libertà nella fede è tutto ciò che ci resta... in attesa che le autorità della Chiesa si riconvertano all'ascolto e al dialogo!

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