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BELLA FUORI

Tratto da: Adista Contesti n° 40 del 24/05/2008

In Belgio, Un libro-denuncia ridimensiona fortemente l’immagine di impresa eticamente sensibile del colosso svedese Ikea

Questa intervista è stata pubblicata  sulla rivista bimestrale spagnola “El Observador” (22/4/2008). Titolo originale: “Las mijeras de las fábricas de Ikea en Asia trabajan entre 80 y 90 horas/semana y no reciben un salario que permita vivir con dignidad”

 

 

Con il loro libro “Ikea, un modello smontabile”, i belgi  Olivier Baily, Denis Lambert e Jean-Marc Caudron mandano a gambe all’aria il prestigio di una delle multinazionali più rispettate e ammirate del mondo. In questa intervista con El Observador (www.revistaelobserva-dor.com) gli autori, che hanno conosciuto di persona la realtà delle fabbriche di approvvigionamento di Ikea in India, Vietnam e Bangladesh, mettono il dito sulla piaga dei fondamenti del gigante svedese dell'arredamento, chiedendosi se è possibile per Ikea mantenere prezzi bassi nei Paesi sviluppati senza le miserabili condizioni in cui operano i lavoratori delle sue fabbriche di rifornimento in Paesi del sud.

 

Perchè scrivere questo libro?

Volevamo studiare la responsabilità sociale delle multinazionali e abbiamo deciso di cominciare dalla prima della classe, dall’Ikea, perché si dice che Ikea sia l’impresa più etica e più rispettosa dell’ambiente, che sia il simbolo della Responsabilità Sociale Corporativa (Rsc). Tuttavia, appena agli inizi del nostro lavoro abbiamo compreso che non è così. È vero che Ikea gode di buona immagine, ma dietro questa immagine ci sono i problemi sociali ed economici dei lavoratori dei loro fornitori nel Sud. D’altra parte, con la sua statura economica e simbolica, Ikea ha tutte le possibilità di migliorare la situazione dei lavoratori dei suoi fornitori.

 

Avete subìto qualche tipo di pressione durante l’inchiesta?

No. Al principio eravamo in contatto con Ikea in Belgio e anche a livello internazionale. Nel nostro lavoro abbiamo agito in totale trasparenza e loro non hanno mai fatto rilievi. Sono stati i primi a leggere gli studi che abbiamo realizzato in India, Vietnam e Bangladesh e per primi hanno letto il libro. Dopo la pubblicazione di questa opera in Belgio, hanno solo inviato ai giornalisti un piccolo testo per dire che non intendevano fare commenti.

 

Ikea ha risposto con rapidità e convinzione alle critiche che le sono state rivolte sullo sfruttamento del lavoro e sulla distruzione ambientale. Fino a che punto secondo voi sono reali i cambiamenti che l’impresa ha realizzato?

Pensiamo che, quando Ikea vede che il suo commercio è in pericolo e può reagire, reagisce rapidamente. Ma le nostre critiche toccano le impostazioni più profonde dell’azienda, che riguardano il loro modo di fare commercio. Non critichiamo una piccola parte di Ikea, ma il modello intero, a cominciare dalle fondamenta che sono i prezzi bassi. È molto più facile, più visibile e molto più conveniente rifornire di bagni le fabbriche che pagare salari decenti. Con “Ikea, un modello smontabile” ci siamo semplicemente chiesti se con i prezzi che Ikea paga ai suoi fornitori è possibile pagare i lavoratori del Sud perché vivano decentemente. Loro ci hanno contestato con l’Iway, il codice di condotta che Ikea impone ai suoi fornitori, senza poter dare garanzie minime sul fatto che questo codice minimalista – altre imprese vanno molto più in là nelle loro promesse – sia rispettato.

Questa è la ragione per cui abbiamo fatto le inchieste sulle condizioni di lavoro nelle fabbriche che riforniscono Ikea in India, Bangladesh e Vietnam. E i risultati dicono che l’Iway non è sufficientemente forte e che non è possibile per i fornitori rispettarlo, tenendo conto della stessa prassi commerciale di Ikea. Non siamo gli unici che lo dicono. Anche i direttori di alcune fabbriche fornitrici affermano la stessa cosa.

 

Credete che questi cambiamenti realizzati in Ikea sarebbero avvenuti se non ci fossero stati reportage e inchieste giornalistiche?

No. Ikea reagisce quando la si critica. Per questo è così importante che i consumatori interpellino le imprese. Se potessimo creare ponti di solidarietà fra consumatori e lavoratori saremmo più forti per iniziare un cambiamento sociale e per lottare contro la povertà.

Ikea si vanta della trasparenza (di fatto, è l’unico grande stabilimento dove ti lasciano accedere al magazzino) e tuttavia voi pensate che sia un’impresa ‘opaca’. Perché?

Non garantisce il rispetto e l’attuazione del codice Iway. La struttura della sua direzione tramite una rete di fondazioni e società è molto ‘opaca’. Non sappiamo, per esempio, quali siano i suoi profitti. Per saperne di più, si possono leggere i “Public Eye Awards 2007” (i riconoscimenti alle imprese più irresponsabili, ndt).

 

Siete andati nelle fabbriche asiatiche del Bangladesh, Vietnam e India. Com’è la vita dei lavoratori in quei grandi centri di produzione?

Quello che ci ha maggiormente fatto interrogare sul modello Ikea è che le donne di queste fabbriche fornitrici di Ikea lavorano fra le 80 e le 90 ore settimanali e non ricevono un salario che permetta loro di vivere con dignità. Le condizioni di vita sono molto difficili per loro. Non si possono permettere, per esempio, di mangiare carne più di due, tre volte al mese. Sono pagate al minimo legale: in India 37 euro al mese; in Bangladesh 11 euro al mese; in Vietnam 43 euro al mese e non ci sono sindacati perché c’è la paura di perdere il lavoro...

 

È possibile, allora, per l’Ikea mantenere la sua offerta di prezzi bassi nei Paesi sviluppati cambiando al contempo le condizioni nelle quali tiene i lavoratori delle sue fabbriche fornitrici?

I salari non dicono molto del prezzo finale di un prodotto. Dicono molto meno del margine di profitto. Pensiamo – ma sta a Ikea rispondere a questa domanda con informazioni più precise e Ikea ha rifiutato la nostra proposta di fare uno studio su questo per e con loro – che potrebbe migliorare i salari dei lavoratori delle sue ditte fornitrici senza cambiare il prezzo finale dei suoi prodotti.

 

Perché non funziona in Ikea il codice di condotta Iway?

Perché  non pagano abbastanza (i fornitori) perché si possa rispettare questo codice. Non diciamo che il solo pagare di più sarebbe sufficiente, ma è una condizione necessaria perché il codice venga rispettato.

 

Cosa dovrebbe fare Ikea per migliorare? Quali sono le vostre proposte?

Ikea deve garantire un salario che permetta ai suoi lavoratori del Sud di superare la soglia di povertà, deve modificare i suoi metodi di commercio perché le sue imprese fornitrici possano applicare effettivamente l’Iway, deve accettare e garantire la libertà di associazione sindacale e, infine, deve accettare un controllo indipendente e pubblicare la lista dei suoi fornitori. n

 

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