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Proposte libri Fuori tempio. Omelie laiche (Anno C)

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 98 del 03/10/2009

Fuori tempio.

Omelie laiche (Anno C)

a cura di Valerio Gigante e Luca Kocci, Di Girolamo Editore, pp. 224, euro 15,00.

Esce a fine ottobre la raccolta delle omelie dell'anno liturgico che sta per iniziare pubblicate negli anni passati da Adista. Tra gli autori:

Tissa Balasuriya, Marcelo Barros, José Oscar Beozzo, Luisito Bianchi, Leonardo Boff, Gabriella Caramore, Tonio Dell’Olio, Erri De Luca, Paolo Farinella, Giovanni Franzoni, Jacques Gaillot, Giulio Girardi, Raniero La Valle, Enzo Mazzi, Arturo Paoli, Aloysius Pieris, Xabiet Pikaza, Antonietta Potente, Felice Scalia, Alberto Bruno Simoni, Alex Zanotelli.

Il libro è prenotabile presso Adista telefonando allo 06.6868692, o scrivendo a: abbonamenti@adista.it

Pubblichiamo in questa pagina ampi estratti dell’introduzione.

Omelia (dal greco homilein) significa conversare, intrattenere. Qualcosa di più e di diverso dalle prediche unidirezionali cui troppo spesso assistiamo nelle nostre chiese e che in questi nostri tempi vengono pronunciate sempre più frequentemente dai tanti pulpiti reali o mediatici, laici o confessionali che ci circondano.

“Conversazione”, quindi, sulla parola di Dio e sul Vangelo in particolare. Una parola che non è stata pensata da Gesù per essere cristallizzata in una dimensione ‘sacrale’, cioè separata e distante; e nemmeno per essere affidata, custodita ed interpretata da una casta sacerdotale che si ritiene mediatrice assoluta tra Dio e il popolo, da “ministri del culto” che si pongono al di sopra degli altri, che osservano e giudicano con il metro di una legge che essi stessi hanno stabilito, piuttosto che nel segno della fraternità, della condivisione e della caritas che – ce lo ha ricordato papa Benedetto XVI nella sua enciclica – per la gerarchia è tale solo se “in veritate”, mentre san Paolo parla di “veritas in caritate” (cfr. Ef 4,15). La parola di Gesù è invece una parola che sottrae il consenso alle strutture religiose, economiche e politiche di questo mondo. Perché è una parola dinamica, affidata ai poveri ed agli oppressi affinché loro la rendano parola di liberazione: “Io sono venuto a portare un fuoco e che cosa posso desiderare se non che esso divampi?”.

Per questo il Vangelo, l’annuncio, la buona novella, non può essere un messaggio che tranquillizza le coscienze, che legittima lo stato di cose presenti. Esso è invece soprattutto parresia (dal greco: pan=“tutto” e rhema=“ciò che viene detto”), cioè discutere di tutto, con coraggio e con franchezza, senza reticenze, paure ed equilibrismi. (…)

È proprio in forza di questa parresia che Pietro e Giovanni, i quali subito dopo la Pentecoste “insegnavano al popolo e annunziavano in Gesù la risurrezione dai morti”, non arretrano di fronte ai sacerdoti, ai capi del tempio e ai sadducei che li avevano fatti imprigionare nel tentativo di arrestare la loro predicazione libera e coraggiosa: “Giudicate voi se è giusto, davanti a Dio, ubbidire a voi anziché a Lui – rispondono Pietro e Giovanni di fronte al Sinedrio –. Noi non possiamo non parlare delle cose che abbiamo viste e udite” (At 4,19-20).

Ecco quindi le necessità di una fede che si assume la responsabilità del tempo presente senza fuga nel futuro apocalittico né consolazione in una dimensione trascendente e spiritualistica che annulla la concretezza – spesso drammatica – dell’immanente. La distruzione del tempio, che Gesù promette di ricostruire in tre giorni (Gv 2,18-19), significa infatti liberazione dalla schiavitù dell’alienazione religiosa per restituire all’uomo tutta intera la sua autonomia e la sua responsabilità.

Il tempio non ha così più alcun significato. Non è più il luogo privilegiato dell’incontro con Dio, dove il sacerdote entrava una volta all’anno per offrire – all’interno del sancta sanctorum – in vittima un capretto e purificare così il popolo intero. Per il Gesù dei Vangeli il tempio non ha più senso. (…)

Le omelie che presentiamo per questo ciclo liturgico, l’anno C, tratte da una rubrica che Adista ha inaugurato nel 1998, sono tutte rigorosamente “Fuori-tempio”. Anzitutto perché sono riflessioni sul Vangelo della domenica e delle altre festività liturgiche della Chiesa cattolica affidate non ai “sacerdoti” del tempio, ma “al popolo di Dio in cammino”, a uomini e donne, credenti, non credenti, laici o preti o religiosi che per scelta, per condizione o per decreto non predicano nel tempio, ma vivono “sulla strada”, fuori da ogni protezione o benedizione del potere ecclesiastico e che parlano con franchezza evangelica. E poi perché le omelie che proponiamo intendono essere integralmente laiche, per rivolgersi a tutti coloro che – credenti e non credenti – avvertono il fascino del messaggio di Gesù di Nazareth e sentono l’urgenza di impegnarsi nella costruzione di un orizzonte diverso, ispirato alla fraternità e alla giustizia.

E ancora, perché si tratta di omelie che non commentano una storia chiusa in sé, ma cercano di percorrere sentieri inesplorati e incerti che portano verso un futuro colmo di attese e gravido di storia; “conversazioni” che cercano di lasciare che nel silenzio, nell’attesa, nell`inquietudine delle domande, piuttosto che nella falsa certezza di tante risposte e nelle parole sontuose e magniloquenti, la Parola riceva il suo senso più vero. Quello che si incarna nella storia e, soprattutto, in quella dei popoli crocifissi della terra.

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