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LE ASPETTATIVE DELLA DONNA AFRICANA

Tratto da: Adista Documenti n° 103 del 17/10/2009

“Quando le donne hanno la possibilità di trasmettere in pienezza i loro doni all'intera comunità, la stessa modalità con cui la società si comprende e si organizza ne risulta positivamente trasformata, giungendo a riflettere meglio la sostanziale unità della famiglia umana. Sta qui la premessa più valida per il consolidamento di un'autentica pace. È dunque un benefico processo quello della crescente presenza delle donne nella vita sociale, economica e politica a livello locale, nazionale e internazionale. Le donne hanno pieno diritto di inserirsi attivamente in tutti gli ambiti pubblici e il loro diritto va affermato e protetto anche attraverso strumenti legali laddove si rivelino necessari” (Messaggio di Giovanni Paolo II per la celebrazione della 28.ma giornata mondiale della pace: Donna: educatrice alla pace, 1995)

Questo testo potrebbe già rispondere alla domanda “Quali aspettative della donna africana sul Sinodo?”: che ci sia data la possibilità di esercitare il nostro ruolo di educatrici, di promotrici, di protagoniste della vita.

Sappiamo che un Sinodo non cambierà certamente dal-l’oggi al domani il corso della Storia, ma siamo certe che potrebbe iniziare a rendere fattibile, reale, quello che fino a ieri era forse un sogno.

Certo, le donne africane non hanno aspettato “tempi maturi”: sono ovunque presenti per assicurare vita, lottando contro leggi avverse, contro tabù, contro mentalità misogene... Ma la storia ci dice che non basta, che abbiamo bisogno di essere confermate in questo ruolo e riconosciute.

Lo stesso Instrumentum laboris riconosce che “le donne e i laici in generale non sono pienamente integrati nelle strutture di responsabilità e di pianificazione dei programmi pastorali della Chiesa” (n. 20, cf. n. 30); “le donne continuano ad essere sottoposte a molte forme di ingiustizia, alle donne viene spesso attribuito un ruolo inferiore” (nn. 59-61, cfr. n. 117).

Questa riflessione aperta e trasparente è la porta attraverso cui possiamo iniziare a parlare di passi concreti.

 

Cosa vogliono le donne

Non mi sento e non ho la pretesa di essere portavoce della donna d’Africa, ma dalla mia piccola esperienza sono certa che è questo che vorremmo:

1. Innanzi tutto che la Chiesa ci guardi con gli occhi di Gesù, che seppe riconoscere nella donna una leale co-protagonista del suo Progetto di Salvezza, ed è a Lei che consegnò il ministero dell’annuncio della Buona Notizia: “Va’ e di’ loro che sono risorto...”.

2. Un chiaro riconoscimento del ruolo della donna al-l’interno della Chiesa. Anni fa in Italia era apparso un manifesto che diceva: siamo più della metà e il governo non lo sa. Lo stesso possiamo dire all’interno della Chiesa: una presenza non solo quantitativa ma qualitativa.

3. Un effettivo cambiamento di mentalità da parte della Chiesa nei nostri riguardi... riconoscendo in particolare il contributo alla teologia che le donne offrono a partire dalla realtà e nella consapevolezza che la presenza di Dio non è declinabile al singolare: le donne insegnano a cogliere le diverse manifestazioni del volto materno di Dio.

4. Uno spazio all’interno dei luoghi in cui si “cucinano” progetti per lo sviluppo e leggi di qualsiasi genere e a tutti i livelli (le sacrestie iniziano a starci troppo strette).

5. Una maggiore preoccupazione dei vescovi per la formazione delle laiche e delle suore locali, non pensando solo ai seminari, ma dando pari opportunità di formazione professionale anche alle suore e alle donne laiche, per qualificare la nostra ministerialità (dobbiamo dire che alcuni vescovi sono già impegnati in questo compito, come l’arcivescovo mons. Laurent Monsengwo).

6. Una partecipazione alla formazione integrale della persona, anche all’interno dei seminari, perché si ampli la visione della donna, in maniera che non sia vista solo come madre o sorella ma anche come insegnante, docente, teologa...

7. Che la Chiesa si adoperi in tutti i settori ad accelerare il momento in cui non si dica più “è la prima volta”. Ossia, che dare possibilità e ruoli di responsabilità all’interno della Chiesa divenga prassi, non sia più un’eccezione.

E tutto questo non per una mera rivendicazione femminista, ma perché come madri del continente sentiamo l’ur-genza di alzare la nostra voce affinché i nostri popoli abbiano vita e vita in abbondanza.

Non ne possiamo più di vedere i nostri figli e figlie trattati come zimbello dei Paesi che fino a ieri hanno fatto man bassa delle nostre materie prime ed ora li rigettano in mare, come merce scaduta o di seconda mano.

Non ne possiamo più di vedere i nostri figli e figlie essere cibo per i pesci del Mare nostrum.

Non ne possiamo proprio più di veder morire i nostri figli a causa di guerriglie interne, epidemie, ignoranza diffusa...

Non ne possiamo più di convegni mondiali, di summit in cui si parla e parla e parla, quando di fatto poco e niente arriva nelle nostre case... nei bisogni fondamentali dei popoli.

Non ne possiamo più di vedere la nostra Africa, il continente a forma di cuore, venduto a prezzo stracciato, o peggio svenduto in cambio della dignità dei nostri popoli.

Come donne, sorelle e madri del continente riconosciamo di avere un ruolo non indifferente per la sua salvaguardia.

Come donne e madri, sentiamo di avere una responsabilità non indifferente nei confronti dell’umanità stessa. L’ha scritto papa Giovanni Paolo II nella Mulieris Dignitatem: la forza morale della donna, la sua forza spirituale, si unisce alla consapevolezza che Dio le affida in un modo speciale l'uomo, l'essere umano.

Non sono quindi semplici rivendicazioni: sono istanze improrogabili e necessarie per la salvaguardia del Continente e oserei dire dell’Umanità stessa.

Vorremo che da questo Sinodo i nostri pastori uscissero con la chiara determinazione, come molti di loro stanno facendo, di mettersi sempre e comunque dalla parte dei più deboli, dalla parte di coloro che vengono massacrati ogni giorno, facendosi promotori di una nuova società, fondata sui valori del Regno.

Vorremmo che la preoccupazione delle nostre Chiese fosse soprattutto che i figli e le figlie dell’Africa non siano considerati figli e figlie di un Dio minore.

Vorremmo che i nostri pastori rivolgessero un monito anche a coloro che trafficano sottobanco armi, diamanti, petrolio con i nostri governanti, lasciando sul lastrico i nostri popoli.

Vorremmo che la Chiesa si impegnasse a creare delle scuole pubbliche dove tutti possano accedere (non basta dire che questo è compito degli Stati. In Europa hanno iniziato i monaci a salvaguardare la cultura, poi è arrivato lo Stato).

Vorremmo la creazione di scuole di politica dove si apprenda il valore e la responsabilità di fare politica, senza la necessità di fotocopiare democrazie ormai stantie e obsolete. Dove i valori della trasparenza e del bene comune siano la visione e la preoccupazione primaria.

I popoli dell’Africa potrebbero inventare nuovi modi di fare democrazia se solo glielo permettessero.

Vorremo che pace e giustizia non fossero più dei temi da discutere, ma realtà di vita per il Continente.

Vorremmo che l’obiettivo primario fosse quello di rendere concreta la Buona Notizia del Regno: che i popoli abbiano vita e vita in abbondanza.

Vorremmo che i nostri vescovi non avessero timore di avere come consiglieri delle madri, delle donne sagge: l’hanno fatto i Padri della Chiesa e sappiamo i benefici che ne hanno tratto loro e di riflesso la Chiesa stessa.

Troppe volte la parola donna, nel vocabolario ecclesiale, è legata solo a qualcosa da tenere lontano, da evitare, da temere come fonte di peccato.

Vogliamo essere considerate le discendenti delle vere discepole di Gesù, coloro senza le quali Dio probabilmente avrebbe avuto qualche problema a realizzare il suo piano di rigenerare l’Umanità.

Penso che le donne del continente africano si aspettino da questo Sinodo linee guida in cui si intraveda la determinazione a far sì che la festa e la danza liturgica di ogni domenica possa trasformarsi in festa di vita lungo tutta la settimana.

 

Le parole che dovrebbero essere dette

Vorremmo che da questo Sinodo uscisse un documento che avesse tra le sue pagine un capitolo che iniziasse così:

 

Amatissime sorelle e madri dell’Africa,

è soprattutto a voi che ci rivolgiamo, perché siete voi che portate sulle vostre spalle e nel vostro cuore il nostro Continente.

È a voi che rivolgiamo la nostra parola di speranza, perché sappiamo che in voi si trasformerà in abbondante benedizione per i nostri popoli. È a voi che ci rivolgiamo come figli innanzitutto: perché siete voi che potete trasmetterci da subito i semi della pace, della concordia, della riconciliazione. Siete voi che avete l’arduo compito di prevenire i mali che attanagliano il nostro continente. A voi è affidato il presente e il futuro delle nazioni.

Dopo millenni in cui noi uomini di Chiesa e di governo abbiamo creduto di poter agire a prescindere da voi, oggi ci rendiamo conto che dobbiamo riscrivere la storia, non solo attingendo alla vostra storia, ma chiedendo a voi di riscriverla, con la visione e il cuore di donna.

A voi oggi chiediamo di camminare insieme a noi lungo il processo di rinascita, di guarigione, di giustizia per la nostra Africa. Voi che da sempre percorrete ogni mattina le nostre strade e ne conoscete millimetro per millimetro ci farete da guida e ci indicherete quali percorsi scegliere, per non perderci nei meandri di discorsi senza fine...

Molto prima avremmo dovuto comprendere che senza di voi è difficile raggiungere l’obiettivo della Buona Notizia: rendere tutti cittadini del Regno e consapevoli della figliolanza divina. Molto prima avremmo dovuto includere nei nostri Piani pastorali la vostra peculiare genialità femminile... Molto prima. Ma giungiamo adesso e abbiamo fretta di recuperare il tempo perduto.

Oggi facciamo memoria delle parole di Giovanni Paolo II, il quale auspicava una nuova era nella quale le donne fossero le principali protagoniste, educatrici di pace con tutto il loro essere e con tutto il loro operare.

Diceva espressamente così: “Le donne siano testimoni, messaggere, maestre di pace nei rapporti tra le persone e le generazioni, nella famiglia, nella vita culturale, sociale e politica delle nazioni, in modo particolare nelle situazioni di conflitto e di guerra. Possano continuare il cammino verso la pace già intrapreso prima di loro da molte donne coraggiose e lungimiranti!”

Noi, Pastori della Chiesa d’Africa, vogliamo realizzare concretamente queste speranze.

È a voi che d’ora innanzi ci rivolgeremo per chiedere consiglio.

È a voi che chiediamo di aiutarci nella cura pastorale delle nostre parrocchie, e non solo perché scarseggiano i sacerdoti, ma perché siamo certi che saprete coordinare con competenza e cuore.

È a voi, donne, sorelle e madri d’Africa, che ci rivolgiamo per la realizzazione di progetti che assicurino la vita, perché a guidarvi sarà innanzi tutto il bene comune.

È a voi che chiediamo di aiutarci a comprendere e spiegarci la Parola di Dio, di raccontarci cosa significa mettersi alla sequela di Cristo, di aiutarci a riconoscere in Dio il suo volto materno, perché saprete usare quelle parole che solo una Madre sa sussurrare al cuore dei figli e delle figlie.

È insieme a voi che vogliamo ridare vita al nostro continente che voi avete finora salvaguardato portandolo sulle vostre spalle e custodito nel vostro cuore.

Con gratitudine, i vostri Figli e Pastori

 

Cuore di donna

Termino con le “parole al volo” di J. Leonard Touadi, sul sito di Combonifem:

“Facendo la radiografia dell'Africa, è inevitabile incontrare le donne quali cuore pulsante di quella pentola in ebollizione che è il Continente Nero. Le donne rappresentano il punto di massima brillantezza della ‘perla nera’ profeticamente scoperta e valorizzata secoli fa da Daniele Comboni”.

Comboni, un vescovo che ha avuto la capacità e l’umiltà di riconoscere che molti dei fallimenti all’inizio dell’opera missionaria del XIX secolo erano da iscriversi al fatto di non aver tenuto in considerazione l’elemento femminile: “L’Apostolato della Nigrizia è per se stesso oltremodo arduo e laborioso. Tuttavia mi pare che l’insuccesso nel primo stadio della Missione sia stato causato dai seguenti motivi: [...]. 5. Infine alla Missione mancavano gli aiuti dell’elemen-to femminile”.

Ecco cosa ci attendiamo dal Sinodo: il riconoscimento del ruolo peculiare della donna all’interno della Chiesa e della società, e di conseguenza l’effettiva possibilità di attuarlo, attraverso azioni concrete.

Affidiamo a Santa Bakita, San Daniele Comboni, Beata Anwarite, i martiri d’Uganda, il Beato Ghebre Michael e tutti i santi e sante che hanno amato l’Africa di intercedere presso Dio per il buon esito di questo Sinodo.

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