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IN ARMONIA CON IL COSMO, SUL SENTIERO SACRO DEL CUORE. UN DIBATTITO SUL “BUEN VIVIR”

Tratto da: Adista Documenti n° 24 del 20/03/2010

DOC-2250. LIMA-ADISTA. Se, come affermava il leader aymara Avelino Siñani, “il momento migliore per vedere è l’oscurità”, oggi, in piena crisi mondiale, godiamo di un eccellente osservatorio. Secondo i popoli originari andini, siamo in tempi di pachakuti, termine con cui essi indicano una trasformazione radicale, un mutamento di fase nella storia degli uomini e/o del pianeta. Tutto cambierà, ci dicono, e noi siamo chiamati ad agire in questo processo di cambiamento. Come ha spiegato Miguel Palacín Quispe, coordinatore generale della Caoi, il Coordinamento andino delle organizzazioni indigene, nel Forum svoltosi il 28 gennaio al Congresso della Repubblica del Perù, sul tema “Il Buen Vivir dei popoli indigeni andini”, “non si tratta solo di difendere i diritti, le risorse naturali, le nostre organizzazioni: è tutto questo e molto di più. Si tratta della stessa difesa della vita perché è la vita ad essere in pericolo. Il Pianeta si potrà salvare, e lo farà, ma senza di noi, se non facciamo qualcosa”. Da qui la necessità di un nuovo paradigma di civiltà, che per i popoli indigeni si riassume nel concetto di buen vivir (sumak kawsay in kichwa o suma qamaña in aymara), inteso come una buona qualità della vita per tutti i viventi in un rapporto di profonda armonia con la Pachamama, la Madre Terra (“noi stessi siamo Pachamama”, e “tutto è vivo”, “tutto è interconnesso e interdipendente”, afferma l’aymara boliviano Fernando Huanacuni) e secondo un modello di vita comunitaria (“se uno vince tutti abbiamo vinto e se uno perde tutti abbiamo perso”) e di lavoro collettivo, vissuto – sottolinea Mario Palacios Panéz, presidente della Conacami (Confederazione della comunità peruviane danneggiate dall’attività mineraria) - come una festa e non come una punizione. È un’opzione di vita per tutti, di vita in pienezza, in opposizione al modello del “vivere meglio”, meglio dell’altro o a spese dell’altro, frutto di un “pensiero eurocentrico, individualista, militarista, razzista, verticale, accumulatore e predatore”.

Ed è così che il concetto di buen vivir, emerso dal convegno di Lima come “opera collettiva” e “processo in costruzione”, non è più solo un’espressione chiave delle Carte costituzionali dell’Ecuador e della Bolivia ma è diventato il punto centrale di riferimento per ogni riflessione, anche al di fuori dei confini dell’America Latina, su un nuovo modello di civiltà.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, gli interventi di Miguel Palacín Quispe e di Fernando Huanacuni, tratti dall’agenzia Alai. (claudia fanti)

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