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LE PAROLE CHE NON TI HO SCRITTO: I SILENZI E LE RETICENZE DEL MAGISTERO SULLA PEDOFILIA DEI PRETI

Tratto da: Adista Notizie n° 25 del 27/03/2010

35512. ROMA-ADISTA. Le parole di oggi. I documenti di ieri. Basterebbe dare un’occhiata ai testi ufficiali del magistero pontificio ed alle dichiarazioni (scritte) di eminenti uomini di Curia per mettere un punto fermo sulla polemica che in questi giorni ha visto il papa ed i vertici ecclesiastici reagire con decisione alle critiche giunte dalla stampa e dall’opinione pubblica dopo i nuovi, ennesimi casi di pedofilia esplosi in Germania, Irlanda, Austria ed Olanda, rispetto allo scarso impegno, quando non addirittura connivenza o complicità, che ha caratterizzato l’azione dei vertici della Chiesa cattolica nel fronteggiare lo scandalo degli ecclesiastici pedofili (v. notizia precedente).

Ora è lo stesso Joseph Ratzinger ad essere chiamato in causa per la vicenda di un prete tedesco che nel 1980, dopo essere stato accusato di abusi sessuali, fu trasferito dalla diocesi di Essen a quella di Monaco di Baviera, dove Ratzinger era arcivescovo. Qui, il prete pedofilo fu di nuovo assegnato al servizio in parrocchia e anche nel capoluogo bavarese commise abusi su ragazzi.

Alla generale indignazione ed all’amarezza registrata negli stessi ambienti cattolici, ha fatto seguito la levata di scudi da parte dei vertici della Chiesa. Anzitutto, mons. Gerhard Gruber, ex vicario della diocesi di Ratisbona, si è assunto la piena ed esclusiva responsabilità della scelta di aver affidato un servizio pastorale al prete pedofilo, sostenendo che l’allora arcivescovo non ne era al corrente (anche se è il vescovo ad essere responsabile di tutti gli incarichi pastorali in diocesi ed a firmare tutte le nomine); il portavoce del Vaticano, padre Federico Lombardi, ha parlato di tentativi accaniti di “coinvolgere personalmente il Santo Padre nella questione degli abusi” e dello scandalo della pedofilia. Il card. Camillo Ruini ha parlato di “campagna diffamatoria contro la chiesa cattolica e il Papa messa in campo dai media” ed ha sostenuto che la questione pedofilia riguarda tutti e non solo i preti ed ha puntato il dito contro la “rivoluzione sessuale”; il segretario di Stato vaticano, card. Tarcisio Bertone, ha ribadito che “la Chiesa gode ancora di una grande fiducia da parte di masse di fedeli, solo che qualcuno cerca di minare questa fiducia. Ma la Chiesa – ha chiosato – ha con sé un aiuto speciale, dall'alto”.

Insomma, secondo le gerarchie, quelli emersi nelle ultime settimane non sono che deplorevoli episodi che non scalfiscono il sistema, che ha sempre vigilato e prestato attenzione alla gravità del fenomeno.

Ma si sa: verba volant, scripta manent. E nei testi scritti gli esponenti vaticani non sembrano mostrare particolare sdegno nei confronti del peccato della pedofilia.

E non da oggi. Vania Lucia Gaito, psicologa, autrice del libro Viaggio nel silenzio (v. Adista n. 37/08), che racconta vari casi di preti pedofili, sul suo  blog  (viaggionelsilenzio.ilcannocchiale.itricordo) ha ricordato che già nel 1517 un documento pontificio, la Taxa Camerae, che nei primi 2 articoli fissava un tariffario per i preti che volessero ottenere il perdono di alcuni peccati recitava: “Se l’ecclesiastico, oltre al peccato di fornicazione, chiedesse d’essere assolto dal peccato contro natura o di bestialità, dovrà pagare 219 libbre, 15 soldi. Ma se avesse commesso peccato contro natura con bambini o bestie e non con una donna, pagherà solamente 131 libbre, 15 soldi”.

Fino a tempi recenti, a normare i casi in cui un sacerdote incorreva in abusi sessuali su minori era invece un documento noto come Crimen Sollicitationis, redatto nel 1962 dal segretario del Sant’Uffizio (fino al 1967 il titolo di prefetto del Sant’Uffizio era infatti riservato al papa), il card. Alfredo Ottaviani (v. Adista n. 61/03). Questo documento, stabiliva che il processo canonico al prete accusato era un processo diocesano e a condurlo doveva essere il vescovo della diocesi cui il sacerdote apparteneva. Ma soprattutto, nei 74 articoli che costituivano il testo, si ribadiva continuamente l’esigenza di mantenere la segretezza sui fatti delittuosi.

L'articolo 4 recitava inoltre che non c’è nulla che impedisca ai vescovi, “se per caso capiti loro di scoprire uno dei loro sottoposti delinquere nell’amministrazione del sacramento della Penitenza, di poter e dover diligentemente monitorare questa persona, ammonirlo e correggerlo e, se il caso lo richiede, sollevarlo da alcune incombenze. Avranno anche la possibilità di trasferirlo, a meno che l’Ordinario del posto non lo abbia proibito perché ha già accettato la denuncia e ha cominciato l’indagine”. Quindi, se si sapeva che un prete era pedofilo, ma nei suoi confronti non era stato aperto alcun processo canonico, nulla vietava al vescovo  di trasferirlo in un’altra parrocchia. E così, infatti, per decenni è stato fatto. Non per la superficialità o la connivenza di qualche prelato, ma perché così prescriveva la norma. E se si arrivava ad istruire il processo canonico, veniva fatto giurare a tutti di mantenere il segreto, sotto pena di scomunica. “Il giuramento di segretezza deve essere in questi casi fatto fare anche all'accusatore o a quelli che hanno denunciato il prete o ai testimoni”. Al prete pedofilo eventualmente trovato colpevole la cosa peggiore che poteva capitare era la riduzione allo stato laicale. Alle persone abusate che avessero parlato di quanto gli era successo toccava invece la scomunica.

Una volta concluso il processo diocesano, se c'erano prove sufficienti a condannare il prete pedofilo, gli atti dovevano essere trasmessi, sempre in totale segretezza, al Sant’Uffizio. In caso non ci fossero prove sufficienti, gli atti dovevano invece essere distrutti. (valerio gigante)

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