Nessun articolo nel carrello

IL TOCCO FINALE AL PROCESSO DI RICOLONIZZAZIONE. LA FARSA DELLA RICOSTRUZIONE DI HAITI

Tratto da: Adista Documenti n° 67 del 11/09/2010

DOC-2287. PORT-AU-PRINCE-ADISTA. Se si sperava che il terremoto che ha colpito Haiti il 12 gennaio scorso, con il suo bilancio di 230mila morti e di oltre un milione e mezzo di senza tetto, fornisse almeno l’occasione di azzerare tutto e di avviare una completa rifondazione del Paese, la delusione non poteva essere più completa. Approfittando della totale apatia delle autorità locali, che - denuncia Camille Chalmers, direttore esecutivo della Piattaforma Haitiana per uno Sviluppo Alternativo (Papda) - “non muovono un solo dito” per fronteggiare la crisi, gli “attori stranieri più potenti” stanno mettendo Haiti sotto una rigida tutela, puntando ad assicurare alle proprie imprese un ruolo quanto più possibile vantaggioso nella ricostruzione del Paese: ricostruzione che, a più di sette mese dal terremoto, non è, peraltro, neppure iniziata. Dei Paesi donatori che a New York, il 31 marzo scorso, si erano impegnati a stanziare più di 5 miliardi di dollari nei primi due anni e 10 nel corso del successivo decennio, solo la  Norvegia, l’Estonia e il Brasile hanno versato una parte dei fondi. E l’organismo incaricato di gestire gli aiuti, la Commissione Provvisoria per la Ricostruzione di Haiti (Cirh), non è stato capace di riunirsi prima del 17 giugno, mettendoci poi altri due mesi per organizzare una seconda riunione. Ed è proprio nella creazione della Cirh, presieduta da Bill Clinton e dal primo ministro haitiano Jean-Max Bellerive, che si nasconde la maggiore minaccia alla sovranità di Haiti. La Commissione, denuncia Chalmers, “assomiglia alle delegazioni inviate dai colonialisti francesi prima del 1804 ed è una copia del ‘tesoriere generale’ nominato dal-l’occupazione americana, nel 1915, per amministrare le finanze pubbliche del nostro Paese”. È costituita da 26 membri, metà stranieri (rappresentanti di istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale e dei principali Paesi donatori, a cominciare da Stati Uniti e Francia) e metà haitiani, “in maggioranza designati dal Potere esecutivo senza aver ricevuto un mandato chiaro da parte dei settori che si suppone rappresentino”. E più grave ancora è il fatto che non ne faccia parte alcun rappresentante del settore contadino, che pure rappresenta più del 60% della popolazione. Non stupisce, allora, come l’espropriazione delle terre necessarie alla ricostruzione e l’assegnazione dei terreni agli accampamenti dei rifugiati rispondano in pieno agli interessi dei grandi proprietari.

Non va molto meglio sul versante delle ong, la cui forte presenza nel Paese - ritenuta da alcuni un ostacolo alla costruzione di solide istituzioni statali - è valsa ad Haiti la definizione di “repubblica delle organizzazioni non governative”: alcuni giorni dopo il terremoto, la prestigiosa rivista medica britannica The Lancet accusava le ong di non coordinarsi tra loro, quando non di entrare addirittura in competizione, e di preoccuparsi più della propria immagine che delle reali necessità degli haitiani. Secondo l’organizzazione statunitense Disaster Accountability Project, su 198 ong che hanno raccolto fondi dopo il terremoto, solo sei hanno messo a disposizione rapporti pubblici con la dettagliata descrizione delle proprie attività. E molte di esse hanno speso solo un terzo o la metà del denaro raccolto.

Intanto, appena un quarto degli accampamenti è gestito da organizzazioni umanitarie: nel resto degli accampamenti la gente è abbandonata alla sua sorte, in condizioni sanitarie inadeguate o inesistenti, senza elettricità, senza un minimo di sicurezza, totalmente impreparata ad affrontare la stagione degli uragani, che si prolungherà fino alla fine di novembre. E ad allontanare l’inizio di una vera ricostruzione c’è anche il problema dei circa 20 milioni di metri cubi di macerie che si trovano ancora nella capitale: di questo passo, ci vorranno 20 anni per rimuoverle tutte.

Di seguito, in una nostra traduzione dallo spagnolo, il comunicato del Jesuit Refugee Service sul necessario “riorientamento” degli aiuti, in occasione della giornata internazionale dell’assistenza umanitaria, il 17 agosto scorso, e, dal portoghese, l’intervento di Camille Chalmers, tratto dall’agenzia brasiliana Adital (30/7). (claudia fanti)

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.