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EGO TE ABSOLVO. CARD. MICHELE GIORDANO: “L’UOMO DI COLOMBO” E L’ORO DI NAPOLI

Tratto da: Adista Notizie n° 97 del 18/12/2010

35907. NAPOLI-ADISTA. Il 2 dicembre scorso si è spento all’età di 80 anni l’ex arcivescovo di Napoli, card. Michele Giordano. Nato a Sant’Arcangelo (Pz) nel 1930, Giordano venne ordinato prete nel luglio 1953. Per 6 anni parroco a Scanzano Jonico (Mt), nel 1959 fu nominato Direttore del Centro Catechistico e del Centro diocesano di studi sociali. Contestualmente, ebbe l’incarico di assistente diocesano dell’Azione Cattolica. Amico fraterno dell’esponente democristiano Emilio Colombo (ex vicepresidente della Giac ai tempi di Gedda, 35 volte al governo, 5 anni di fila ministro dell’Industria, 9 anni al Tesoro, presidente del Consiglio tra il 1970 e il 1972, Ministro degli Esteri, presidente della Commissione Europea), lucano come lui, sotto il suo patronage Giordano scalò gradino dopo gradino la carriera ecclesiastica.

Nel 1968 venne nominato vicario generale della diocesi e nel 1971 ausiliare di Matera. Nel 1972 Paolo VI lo consacrò vescovo e gli assegnò la diocesi di Lari Castello. Nel 1974 venne promosso arcivescovo di Matera e Irsina. Dentro la Cei, fino agli anni’80, non si segnalava per particolari iniziative e in assemblea non prendeva quasi mai la parola. Ma diversi ecclesiastici lo pronosticavano sulla cattedra di Napoli e prossimo alla porpora cardinalizia, nonostante in pole position per la successione ad Ursi ci fosse mons. Antonio Cantisani, vescovo di formazione conciliare che aveva dato buona prova di sé a Catanzaro. Ma nel 1987, a sorpresa, Giovanni Paolo II scelse Giordano.


Le accuse del parroco anticamorra

Nel 2007 don Luigi Merola, parroco di San Giorgio Maggiore a Forcella, rione tra i più difficili di Napoli, prete di frontiera (viveva sotto scorta dal 2003), dopo 7 anni di impegno contro la camorra, le resistenze politiche ed ecclesiali, l’indifferenza e – a volte – l’ostilità di una parte del quartiere, decise di andarsene. I tanti ostacoli incontrati da don Luigi nei suoi 7 anni a Forcella furono puntualmente ricordati dal parroco in una lettera pubblicata sulle pagine napoletane della Repubblica (25 giugno 2007) che ricostruivano il suo difficile percorso di prete di “frontiera”. Suo malgrado, spiegava, perché l’allora arcivescovo di Napoli, il card. Michele Giordano, lo inviò “giovane prete con poca esperienza” a San Giorgio, “per punizione”. La colpa? “Avevo aiutato una famiglia a uscire dall’usura senza l’autorizzazione del vescovo”. L’impatto con la realtà di Forcella “fu traumatico”: “Un quartiere abbandonato da tutti, dallo Stato e dalla Chiesa”. Nel suo racconto don Luigi racconta molti dettagli del suo difficile rapporto con l’ex arcivescovo. Nel 2004, quando, il 27 marzo, fu uccisa per errore, nel cuore della Vecchia Vicaria, la 14enne Annalisa Durante, don Luigi sferrò dall’altare, durante i funerali, un durissimo attacco alla camorra e un invito pressante alla comunità a rompere il muro di omertà per iniziare un cammino di riscatto civile. Nei giorni difficili dell’assassinio di Annalisa, don Luigi lamentò però di essere stato lasciato “solo sull’altare” dalla sua Chiesa. “Solo, senza accanto un vescovo che incoraggiasse, anzi in un fax mi si vietava di fare l’omelia e io senza obbedire alzai la voce contro tutte le istituzioni. Fu il giorno più lungo della mia vita”. Pochi giorni dopo, il 19 aprile 2004, “il cardinale Giordano mi accusò di fare il poliziotto a Forcella, che era sbagliato denunciare la droga, che era una vergogna che un prete fosse scortato”.

 

Le prime grane giudiziarie

Gli anni di Giordano a Napoli sono stati caratterizzati anche da una notevole serie di vicissitudini giudiziarie che hanno visto coinvolto il cardinale, la sua famiglia o i suoi collaboratori, da cui in ogni caso Giordano è sempre uscito assolto. La prima grana arrivò nell’ottobre 1995: la Procura di Napoli mise sotto inchiesta la Curia e i 380 luoghi di culto sparsi nel capoluogo campano e nei suoi dintorni. 13 chiese avrebbero infatti mutato attività senza chiedere alcuna autorizzazione alla Sopraintendenza: aree trasformate in posteggi, officine per auto, locali per il commercio, palestre per lezioni di aerobica. L’economo generale della Curia, mons. Raffaele Petrone, venne iscritto nel registro degli indagati per abuso d’ufficio e interesse privato. Il card. Giordano reagì duramente chiedendo la sospensione dell’indagine definita “una iniziativa senza precedenti, in contrasto con i principi e le norme del concordato”, minacciando di investire formalmente la Santa Sede.

 

L’accusa di usura

Ma le grane giudiziarie erano solo agli inizi. Nel febbraio 1997, due imprenditori della Val d’Agri, in Basilicata, Antonio Stipo e Leonardo Tatalo denunciarono alla Guardia di Finanza presunte attività usurarie a Sant’Arcangelo (Potenza). Le indagini portarono alla scoperta della cosiddetta “cooperativa del credito” creata allo scopo di praticare prestiti usurai. L’anno successivo, il 9 febbraio 1998, in base ad alcuni movimenti bancari rilevati nel corso delle indagini, la procura di Lagonegro ordinò accertamenti patrimoniali e bancari sul conto del cardinal Giordano, che in seguito venne iscritto nel registro degli indagati per l’ipotesi di concorso esterno alle attività usurarie. Ad agosto dello stesso anno vennero arrestati (e scarcerati il mese successivo) il fratello del cardinale, Mario Lucio Giordano e l’ex direttore dell’agenzia di Sant’Arcangelo del Banco di Napoli, Filippo Lemma. Il 22 agosto 1998 Guardia di Finanza e Pm si presentavano alla Curia di Napoli per notificare un avviso di garanzia al cardinale. Era la prima volta nella storia dello Stato unitario che avveniva un fatto del genere. Scoppiò una mezza crisi diplomatica tra Italia e Santa Sede. Il 4 settembre di quell’anno Giovanni Paolo II ricevette Michele Giordano in udienza privata. Il pm tirò dritto e nel novembre del 1999 avanzò richiesta di rinvio a giudizio per il cardinale e per altre 24 persone. Giordano doveva rispondere di associazione a delinquere finalizzata all’usura, di usura continuata e di appropriazione indebita (secondo l’accusa, il cardinale avrebbe versato 600 milioni di vecchie lire prelevati dall’Ufficio Opere di Religione della diocesi – tre assegni da 200 milioni di lire ciascuno – per pagare i debiti del fratello Mario Lucio Giordano pendenti presso l’agenzia Banco Napoli di Sant’Arcangelo, paese natale del cardinale e della sua famiglia). Il nipote del cardinale, Nicola Giordano, era invece imputato di associazione per delinquere finalizzata all’usura e usura continuata. Entrambi chiesero di essere giudicati con il rito abbreviato motivando la richiesta con il desiderio di “riavere in fretta onore e dignità”. Quindi, il 23 dicembre 2000, l’assoluzione con formula piena per il cardinale e suo nipote da parte del gup del Tribunale di Lagonegro (Potenza), Vincenzo Starita.

 

L’accusa di abusi edilizi

Altra vicenda il processo relativo alla lottizzazione in miniappartamenti di Palazzo Montemiletto, un immobile in corso Vittorio Emanuele a Napoli, di proprietà della Curia, vincolato dalla Soprintendenza per il suo valore artistico e proveniente dal lascito di una nobildonna, Maria Laino, che ne aveva chiesto espressamente la destinazione ad ospizio per religiosi privi dei mezzi di sostentamento.

Il 21 maggio 2002 il giudice della settima sezione penale del Tribunale di Napoli Monica Amirante, accogliendo le richieste del pm Buda, condannò il cardinale a 4 mesi e 15 giorni di detenzione ed a 7.000 euro di ammenda. Identica pena per il nipote Angelo Rosario Giordano, e il fratello Giambattista. Rosario era titolare dell’impresa edile esecutrice dei lavori di ristrutturazione. Giambattista, il progettista e direttore dei lavori. “Risulta infatti provato – recitava la sentenza – che sono state realizzate opere in conglomerato cementizio in zona sismica senza un progetto redatto da un tecnico abilitato”. Gli avvocati del cardinale si appellarono contro la sentenza. Il 23 gennaio 2003 la settima sezione della Corte d’Appello di Napoli presieduta da Adriana Pangia, accogliendo le richieste del pm Paolo De Sanctis, confermò le condanne. Poi, il 28 aprile 2005, la Quinta sezione della Corte di Cassazione assolse definitivamente il cardinale “per non aver commesso i fatti”; Angelo e Rosario Giordano “per intervenuta prescrizione”.

 

Il cardinale al contrattacco

Piuttosto suscettibile nei confronti dei rilievi e delle critiche della stampa, in alcune occasioni il card. Giordano querelò le testate che a suo giudizio lo avevano diffamato attraverso articoli sul suo conto. Ne vinse una contro La Voce della Campania. Nel settembre 1998, La Voce aveva pubblicato un’ampia inchiesta sugli affari economici delle diocesi della Campania (“Habemus pappam. Da Giordano al Giubileo, esplode il binomio preti-affari”) – compresa la Curia di Napoli e il card. Giordano – senza addentrarsi nell’inchiesta in cui il cardinale era indagato, ma soffermandosi esclusivamente sulle attività economico-finanziarie delle diocesi campane, dall’interporto di Nola all’allora imminente Giubileo del 2000. Ed è proprio dalla pubblicazione della notizia – peraltro mai smentita – della partecipazione azionaria dell’Arcidiocesi di Napoli all’Interporto campano che il card. Giordano si sentì offeso, denunciando il mensile per diffamazione e chiedendo un risarcimento per un miliardo di lire.

Il redattore della Voce, Furio Lo Forte, in un opuscolo sulle inchieste che hanno coinvolto negli anni il card. Giordano (“Sua Eminenza”), allegato al numero dell’ottobre 2003 del mensile, scrisse che in base alle “visure camerali” attuali e dell’epoca, l’arcidiocesi di Napoli era “proprietaria di una consistente quota dell’Interporto Campania Spa” per una quota “di 95.544 euro, sui 27.571.003 dell’intero capitale della struttura”. La Voce stilò anche l’elenco di alcuni altri azionisti dell’Interporto di Nola coinvolti ripetutamente nelle inchieste di Tangentopoli.

Oltre che per la partecipazione azionaria all’Interporto di Nola, l’Arcidiocesi di Napoli, e con essa il card. Giordano, veniva citata nell’articolo a proposito dei fondi stanziati dal governo (2.200 miliardi di lire) per il Giubileo del 2000. “Il cardinale Michele Giordano – scriveva il giornale campano – ha presentato infatti alla Conferenza Episcopale Italiana progetti per un totale di quasi 50 miliardi di lire”. Nonostante l’inchiesta fosse ben documentata, il 15 novembre 2001 arrivò la condanna nei confronti della Voce: 90 milioni di lire per la diffamazione, più 15 milioni agli autori dell’articolo, più 13 milioni di spese legali. A settembre 2003 la quarta sezione della Corte d’Appello di Napoli confermò la condanna, riducendone l’entità della sanzione: 10.329 euro al giornale, più 15 milioni di lire ai due giornalisti (l’importo restava indicato in lire), più 7.250 euro di spese legali. Condanna confermata dalla Cassazione.

Un caso simile a quello della Voce, anche per l’Espresso, accusato dal cardinale di diffamazione per un articolo che ricostruiva la vicenda legata al processo per usura ed appropriazione indebita. Analoga la vicenda. Opposta la sentenza: il 25 maggio 2002, il Tribunale di Roma assolse il settimanale ed il giornalista Leo Sisti. Secondo il giudice Ciancio anche le frasi contenute nei titoli dell’articolo sotto accusa (“denari satanici”, “usura, chi era costei?”, “benedetto sia l’assegno”),“in qualche misura incidono sull’immagine della persona oggetto degli articoli. Esse, tuttavia, devono ritenersi costituire legittime espressioni di critica, a fronte di fatti oggettivi, quali la donazione di rilevantissime somme dal cardinale al fratello e ai parenti che, al di là della commissione di reati a carico del primo, poi esclusa all’esito delle indagini, avevano qualche collegamento con operazioni di prestito ad usura fatto da altri, che non potevano all’epoca non suscitare nel lettore forti dubbi e proporre gravi interrogativi”. (valerio gigante)

Una versione più ampia della biografia del card. Giordano è presente nel libro Paraventi Sacri. Il "ventennio" della Chiesa cattolica dietro il ritratto dei suoi protagonisti (il volume può essere richiesto, senza spese di spedizione aggiuntive, anche ad Adista; oppure acquistato online sul sito).

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