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Illegale è la povertà, non i poveri!

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 3 del 28/01/2012

Nell’ambito dei lavori della Scuola del Vivere Insie-me, promossa dall'Uni-versità del Bene Comune e dall'Associazione Monastero del Bene Comune, si è costituito nella sede della Comunità degli Stimmatini di Sezano (Verona) il gruppo promotore della campagna “Dichiariamo illegale la povertà”.

Ha spiegato p. Silvano Nicoletto (responsabile della comunità di padri stimmatini di Sezano) che «per povertà intendiamo semplicemente la sottrazione di quei beni comuni che rendono impossibile la vita umana della maggioranza della popolazione del pianeta. Tutte le accezioni spirituali, filosofiche, religiose, in questa nostra riflessione, non sono pertinenti. È questa sottrazione che vogliamo sia dichiarata “crimine”. E crediamo che questa esperienza di privazione, riscontrabile nella vita quotidiana, sia comprensibile a tutti».

Negli incontri di ottobre e dicembre 2011, una trentina di persone impegnate nella lotta per i diritti dei cittadini (economisti, giuristi, sociologi, giornalisti, operatori del sociale a livello nazionale e internazionale) hanno avviato una riflessione allo scopo di proporre alle Nazioni Unite nel 2018, a 70 anni dalla Dichiarazione Onu dei Diritti dell'Uomo, la promulgazione di una risoluzione che dichiari “illegale” la povertà. La decisione nasce dalla volontà di affrontare alla radice il problema della povertà, aggredire le cause dell'impoverimento proponendo la partecipazione e la mobilitazione dei cittadini.

La forza per intraprendere questo sogno nasce dalla recente esperienza di mobilitazione per il riconoscimento del diritto all'accesso all'acqua potabile per tutti sollevato, in prima istanza, da un piccolo Paese, la Bolivia, a cui si sono uniti 33 Paesi, nessuno dei quali del Nord del mondo: insieme sono riusciti a proporre e ottenere, grazie alla partecipazione di milioni di cittadini, la Dichiarazione dell'Onu del 18 luglio 2010 in cui si riconosce come “diritto umano” l’accesso all'acqua potabile e ai servizi sanitari.

 

Poveri si diventa

La povertà non è un fatto naturale: si diventa poveri perché si vive in una società che si fonda sui principi di ineguaglianza rispetto al diritto alla vita, alla disponibilità ai beni e ai servizi essenziali e insostituibili per la vita e per il vivere insieme.

La povertà è piuttosto “impoverimento”: una serie di processi conducono alcuni a trovarsi progressivamente o repentinamente esclusi. La povertà è il processo di impoverimento provocato da dinamiche che la determinano e la alimentano, in un quadro di “arricchimento” mal distribuito in un sistema di ricchezza ineguale, ingiusto e predatorio. Quindi, quando diciamo “povertà”, diciamo “ricchezza ineguale”, diciamo che si diventa poveri perché ci sono soggetti e meccanismi di una società che producono ricchezza ineguale e si appropriano dei beni comuni, limitandone a molti l'accesso.

L'indignazione cittadina nasce dalla constatazione che le nostre società sono ingiuste. Infatti, alcuni Paesi anche in Europa (come in Scandinavia) non hanno creato povertà né impoverimento, consentendo a tutti di avere accesso ai beni comuni, sulla base del principio di uguaglianza e rispetto della vita. L’esperienza di questi Paesi ci dice che esiste la possibilità di creare una società senza povertà. Ecco allora questa “capacità utopica” di ognuno di dire: «Sì, io posso partecipare a creare una società senza poveri». È quindi possibile intervenire per creare una società che non genera processi di esclusione e impoverimento di molti ad opera di pochi.

“Illegale” la povertà, non i poveri

Molte ricerche tendono a dimostrare che i poveri sono potenzialmente più criminali dei non poveri. Ecco perché le politiche degli ultimi decenni sono state guidate dal principio di allontanare i poveri dalle città, o volte a impedire a quelli che sono considerati poveri di emigrare nelle città o nei Paesi non poveri.

Il percorso “Dai poveri illegali all'illegalità della povertà”, iniziato a Sezano (Vr) dalla Scuola del Vivere Insieme nel corso dei lavori del 3 dicembre 2011, vuole dimostrare che è possibile mettere fuori legge i processi che creano impoverimento. È un percorso lungo e difficile.

Il gruppo promotore intende lavorare nei prossimi 5 anni per dimostrare che è possibile cambiare le regole del gioco (leggi, norme amministrative, ecc.), le istituzioni (sistema politico, sistema economico, ecc.), i comportamenti (discriminazioni di genere, di classe sociale, ecc.) alla base dell'impoverimento iniziando ad analizzarne le cause, definite simbolicamente dal gruppo promotore “fabbriche dei predatori” e “fabbriche del divenire inaccettabile”, ed elaborando due documenti: Gli impoveriti e Dichiariamo illegale la povertà. Cittadini per un'Italia senza povertà.

 

Cittadinanza e Costituzione

Parliamo di cittadini perché “dichiarare illegale la povertà” è un processo di ri-costituzionalizzazione della cittadinanza. Infatti, in Italia, non solo si è mercificata ogni forma di vita, ma si è de-costituzionalizzata la società, eliminando tutti gli elementi della Costituzione che sono alla base della cittadinanza. Un caso macroscopico nella fabbrica dei predatori è quello del lavoro. Nella Costituzione, l'Italia è definita una res publica fondata sul lavoro. Dov'è oggi la Repubblica italiana fondata sul lavoro?

Si prevede un 10% di disoccupazione strutturale. Inoltre, quelli che avranno la “fortuna” del lavoro, lo dovranno svolgere in maniera precaria, flessibile, con un salario spesso non sufficiente per vivere dignitosamente. Insomma, nella nostra Costituzione il lavoro ci rende cittadini, ma se il lavoro non c'è, che cittadini siamo?

Per questo motivo, “dichiarare illegale la povertà” è un processo di ri-costituzionalizzazione della cittadinanza. È per tutto questo che il percorso “Dichiariamo illegale la povertà” nato a Sezano nell'ottobre 2011 intende lavorare con tutti coloro che si stanno muovendo alla riconquista degli spazi della cittadinanza e giungere alla Dichiarazione Onu dell'illegalità della povertà nel 2018.

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