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Le formiche e l’elefante

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 41 del 22/11/2014

Trenta ottobre 2014: una data – e una sommossa – che resteranno impresse nella memoria del Burkina Faso!

Fa già storia con il 4 agosto 1983, giorno in cui il giovane capitano Sankara assume il ruolo di presidente, prende in mano un Paese affamato e indebitato, con una mortalità infantile tra le più alte del mondo e avvia un’inedita fase di ricostruzione, rinascita, sviluppo. Basta solo uno dei suoi slogan più famosi: «Due pasti al giorno e 10 litri di acqua per tutti, tutti i giorni».

Altre due date, indelebili nella memoria del cuore, accompagnano la storia del popolo burkinabè e di questi ultimi giorni: 4 agosto 1984 e 15 ottobre 1987. Nella prima, Sankara proclama un nuovo nome per quel fazzoletto di terra chiamato “Alto Volta”: Burkina Faso, ovverosia “Terra degli uomini integri”. Un nome che nasce dal magistrale mix tra moore e djoula, gli idiomi più diffusi nel Paese. Nella seconda, Sankara è ucciso insieme a 12 ufficiali in un colpo di Stato organizzato dai suoi amici e collaboratori più stretti con l’appoggio di potenze occidentali e nazioni africane, e ha inizio il regime di Blaise.

In quel 15 ottobre 1987 affondano le radici dell’attuale rivolta popolare: in quel giorno, apparentemente, è stato ucciso il sogno di Sankara, il “Che Guevara” africano, teorico del panafricanismo, uomo dalle idee all’avanguardia e tuttora attualissime, e ha preso il via la dura “dittatura” di Blaise, basata sulla corruzione, la violenza, il tornaconto personale, la costruzione di belle facciate in connivenza con le potenze occidentali.

La gente si è mobilitata come mai è avvenuto nel Sahel. Capitanata dall’opposizione politica al regime e da due musicisti, Smockey che fa rap e Sams K Le Jah che fa reggae – ideatori del Movimento popolare “Le Balai citoyen au Burkina Faso” che rappresenta la società civile – si è riversata per le strade di Ouagadougou e ha detto “no” al progetto di Blaise di “ritoccare” la Costituzione per garantirsi ancora cinque anni di potere, e poi altri cinque e cinque ancora. Il primo “no” era stato pronunciato per la creazione del Senato, altra mossa di Blaise per rafforzare il proprio potere. Il secondo è stato urlato in questi giorni per le strade della capitale, fino a trasformarsi, con l’intervento dei militari, in colpo di Stato.Il 30 ottobre, i giovani, la maggior parte dei quali ha conosciuto un solo presidente nella propria vita, sono stati i veri protagonisti di questa rivoluzione nata e consumata sulla strada. Hanno detto “no” a un presidente che governa senza interruzione da 27 anni e che ha assunto il potere nel sangue e con il sangue e che ha ricucito in gran fretta una realtà che Sankara stava scucendo.

Sankara, nei suoi quattro anni di presidenza, ha ridato il Burkina Faso ai burkinabè bypassando tutte le limitazioni imposte dagli ex colonizzatori, ha detto tanti “no” e ha puntato su una politica che colmasse il ritardo imposto da decenni di dominazione coloniale. Uno per tutti, il “no” al debito pubblico dei Paesi africani nei confronti dei Paesi colonizzatori: prima colonizzatori geografici, arrivando armati e occupando con forza una terra non loro; poi, colonizzatori finanziari, offrendo aiuti economici con un alto tasso d’interesse che li avrebbe indebitati per sempre, come e più della colonizzazione geografica.

Blaise Compaoré, auto-proclamatosi presidente all’indomani dell’assassinio di Sankara, anche se nel certificato di morte di Sankara c’è scritto «morto per la sua malattia», è rimasto tale fino al 1991. Nel 1991 assume un mandato di sette anni, rinnovato nel 1998 per altri sette dopo aver modificato la Costituzione nel 1997. Nel 2005, dopo un’ulteriore modifica alla Costituzione e tra il malcontento di tanti, assume la Presidenza per un quinquennio e nel 2010 per un altro quinquennio. Adesso, allo scadere del secondo quinquennio, presenta un progetto di legge che modifica ancora la Costituzione e gli consente di candidarsi alle elezioni del 2015, magari con una di quelle campagne massicce a suo favore con varie regalie, e divenire “presidente a vita”.

Blaise è stato coinvolto in vicende poco chiare: dall’assassinio di Sankara all’uccisione degli altri due leader della Rivoluzione del 1983, passando per l’omicidio del giornalista Nobert Zongo, per citarne solo alcuni. È stato accusato di traffico d’armi e la sua vicinanza a Muammar Gheddafi e al dittatore liberiano Charles Taylor non è stata facilmente digerita. Nonostante questo, Blaisé nutre buona reputazione all’estero, soprattutto in Francia, perché ha saputo porre il suo piccolo Stato senza sbocco sul mare nel cuore della diplomazia africana e si è imposto come uno dei migliori mediatori nei conflitti che affliggono il Continente. Ha fatto sedere allo stesso tavolo parti opposte per un dialogo di pace e ha contribuito alla liberazione di due ostaggi italiani. Eppure, il suo Paese è un “fanalino di coda” e nella classifica mondiale è sempre tra gli ultimi cinque per indice di sviluppo umano. Un Paese dove la “facciata” di Ouagadougou nasconde solo fame e ingiustizie. Si muore di fame, dissenteria e parto e la mortalità infantile è ancora molto alta, pari all’8%.

Il Burkina Faso, lo sta dimostrando in questi giorni, ha voglia di emergere e svilupparsi nella pace e nella libertà. E se lo merita!

La società civile e l’opposizione politica, in vista del voto dell’Assemblea nazionale per la modifica della Costituzione, ha indetto, dal 23 al 30 ottobre, «une semaine de désobéissance civile pacifique et citoyenne». Ebbene, forse anche gli stessi organizzatori sono stati sorpresi dalla folla oceanica che si è riversata per le strade: ben più di un milione di persone hanno sfilato e manifestato pacificamente con slogan e canti per le vie della capitale e di altre città burkinabè. Molti papà e mamme hanno messo a rischio la loro vita per il bene del loro Paese. Moltissime donne hanno sfilato con una spatola in mano. Nella tradizione burkinabè, indicare una persona con la spatola è segno di volerle dare massima fiducia. Nel caso dei cortei, la spatola indica la fiducia in se stessi e rappresenta la volontà di essere artefici del proprio destino giocando un ruolo attivo nella vita politica del Paese.

Il 30 ottobre il clima si è fatto rovente: nonostante la massiccia mobilitazione, nessun segnale di dialogo è arrivato e i deputati sono andati in Parlamento a votare. La folla ha occupato il Parlamento, lo ha distrutto ed è iniziata una dura rappresaglia. Ha saccheggiato i luoghi istituzionali, la radio-televisione pubblica, la residenza di Blaise, le sedi del Cdp (Congrès pour la Démocratie et le Progrès, il partito di Blaise), le abitazioni private dei deputati amici di Blaise. La sommossa si è prolungata fino al giorno dopo, quando ovunque nel Paese ci sono stati atti di razzia. Trenta i morti ufficiali e qualche centinaio i feriti. In tanti dicono che sono molti di più.

Dopo la distruzione del Parlamento, Blaise fa una dichiarazione che lascia tutti perplessi: rinuncia alla modifica della Costituzione e si candida per accompagnare la Nazione lungo la strada della democrazia e delle elezioni 2015. La dichiarazione è contestata. Emerge un sottile tentativo di “normalizzazione” con un golpe strisciante. Anche questo contestato. Blaise non molla. Non vuole dimettersi e si dichiara disponibile a trattare con l’opposizione. Intanto cresce la determinazione del popolo che, concentrato in Place de la Nation, nel centro di Ouagadougou, chiede con fermezza che Compaoré “degage”, vada via. Quella che Campaoré degage è una richiesta “non negoziabile”, ribadisce con veemenza dalla piazza Bénéwendé Sankara, portavoce dell’opposizione e tra i leader più seguiti dai manifestanti. E aggiunge che non si accettano golpe di nessun tipo. Alle 2 del pomeriggio del 31 ottobre arriva un comunicato che si trasforma in festa: «Compaoré lascia il potere» e si annunciano nuove elezioni «entro 90 giorni». Voci più o meno attendibili danno il rais in fuga. Prima il generale Honoré Nabere Traore, capo di Stato maggiore, si proclama presidente; poi, il colonnello Isaac Yacouba Zida. La società civile e l’opposizione non vogliono una transizione militare. Al momento il presidente è Zida e sono in corso trattative e accordi.

Il 2 novembre, con un grande atto di maturità, il Movimento “Balai citoyen” chiede alla gente di scendere in strada e pulire. Il Paese, come sempre, mostra grande senso di responsabilità e sacrificio: prima è sceso in piazza per pulire il Paese dal regime; poi, per raccogliere i cocci di una giusta lotta per la libertà e la democrazia.

27 anni di regime hanno portato la paralisi del Paese: al di là della facciata di Ouagadougou non c’è sviluppo né progresso! Il Paese è stato “ceduto” al migliore offerente e le terre date a chi offriva di più.

È possibile cambiare dal basso le sorti della storia, il popolo burkinabè lo ha dimostrato e forse altri lo seguiranno; ma, soprattutto, come recita un bellissimo proverbio burkinabè, è possibile che le formiche, tutti insieme, spostino l’elefante.

* Sociologa, missionaria in Burkina Faso, tra i fondatori dell’Associazione “Tante Mani Per... Uno Sviluppo Solidale” che porta avanti un programma di accompagnamento nutrizionale per 45 neonati che hanno perso la mamma di parto o che la mamma non può allattare e a cui viene garantito il latte (la sede dell’associazione è in via Grotta dell'Olmo 87-89 - 80014 Giugliano, Napoli).

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