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LA QUALITÀ NON BASTA. LA CRISI DELL’EDITORIA E LA LEZIONE DI “POPOLI”

Tratto da: Adista Notizie n° 1 del 10/01/2015

37934 MILANO-ADISTA. È tempo di saluti per il mensile internazionale dei gesuiti Popoli, che ha deciso di abbassare la saracinesca a fine 2014. Sull’ultimo numero, quello di dicembre, la parola passa – dopo i chiarimenti del presidente della Fondazione Culturale San Fedele, p. Giacomo Costa, in una comunicazione del 1° ottobre scorso (v. Adista n. 36/14) – al direttore Stefano Femminis (in carica dal 2006) che, oltre ad una nota critica sulle scelte editoriali dei gesuiti, consegna ai lettori un editoriale ricco di suggestioni: «Ciò che ho capito in questi anni e che forse può essere di qualche interesse e utilità per altri». Sicuramente per Adista, che con Popoli naviga nelle stesse cattive acque della piccola editoria in crisi.

Secondo il direttore sono due le possibili aspirazioni per un piccolo periodico: da un lato può essere espressione di realtà, associazioni e gruppi che «vi si identificano» e la sostengono come atto di «militanza» (è il caso di Adista, voce storica delle “periferie” sociali ed ecclesiali); dall’altro può raccogliere una sfida diversa, puntando ad un pubblico di massa e chiedendo di essere comprato «per la forza dei propri contenuti, la cura del prodotto, l’originalità dell’offerta informativa». Ambedue le opzioni sono precluse a Popoli, sottolinea Femminis: la prima a causa delle «resistenze che ha incontrato il progetto di una maggiore sinergia editoriale tra varie opere e associazioni che fanno riferimento ai gesuiti italiani»; la seconda per la difficoltà a «stare sul mercato» dell’informazione, che oggi richiede non solo la qualità del prodotto, ma anche – e soprattutto! – una serie di investimenti («promozione, marketing, comunicazione») difficilmente affrontabili da un piccolo editore.


Addio mercato crudele?

E così oggi il destino di Popoli, che «non ha saputo o potuto prendere con risolutezza nessuna delle due strade», suona come un campanello d’allarme per moltissime testate cattoliche, missionarie e laiche, come appunto Adista, costrette a mettere in campo strategie innovative per non essere spazzate via da un mercato profondamente trasformato e sempre più ostile per chi vive solo di abbonamenti e pubblicità, senza sponsor alle spalle e, ormai, con contributi pubblici ridotti a poche briciole. Le parole d’ordine della nuova informazione sarebbero qualità, visibilità e sostenibilità, si legge tra le righe dell’editoriale. «La soluzione più logica – suggerisce alle riviste di una medesima area – sarebbe unire le forze, creare alleanze, fare massa critica, ma ognuno continua orgogliosamente a ritenersi autosufficiente».


Democrazia vo cercando

A danneggiare un settore già in difficoltà, aggiunge poi Femminis, subentrano anche altri fattori: se da una parte la crisi «spinge a tagliare le spese superflue», dall’altra «un trentennale lavaggio del cervello televisivo» ha “educato” l’opinione pubblica a considerare “superflue” proprio le spese per la cultura e l’informazione (ricorda Femminis che la popolazione italiana «è stabilmente agli ultimi posti in Europa per lettura di giornali e libri»). E questo costituisce un grave vulnus non solo per il settore economico dell’editoria, ma anche per la qualità della vita democratica del Paese.

A remare contro ogni sforzo di resistenza dei piccoli periodici, denuncia ancora Femminis, ci si sono messi anche «un servizio postale monopolistico che ha quadruplicato le tariffe in pochi anni ma ha peggiorato costantemente la propria efficienza» (il problema è reale e di gigantesche proporzioni: anche molti affezionati lettori di Adista preferiscono interrompere l’abbonamento perché non ricevono le riviste o le ricevono irregolarmente con ritardi tali che rendono superata l’informazione proposta); l’avanzata dei contenuti digitali su web, «che offre grandi potenzialità, ma che non porta immediatamente ricavi», dal momento che «oggi moltissimi cercano l’informazione in rete e non sulla carta, ma pochissimi sono disposti a pagarla»; in ultima istanza, non meno rilevante per il caso specifico di Popoli, «il momento delicato in cui si trova la Compagnia di Gesù italiana e la necessità di razionalizzare le forze».


Quale destino?

«Popoli non muore», afferma il direttore, ricordando che le competenze e le relazioni costruite in tanti anni di pubblicazioni confluiranno nelle altre realtà dei gesuiti (Aggiornamenti Sociali, Fondazione San Fedele, Fondazione Carlo Maria Martini, Magis) che, «seppure con linguaggi e modalità in parte diversi, perseguono gli identici obiettivi» della rivista. «Molti lettori in questi anni hanno definito Popoli una “finestra aperta sul mondo”. Ebbene, sappiate che, nella stessa casa, anche se magari in locali arredati in modi un po’ diversi, potrete trovare altre finestre che vi offriranno il medesimo, ampio panorama».

Quante saranno invece le “finestre”, aperte da altrettante testate in questi ultimi decenni, che si chiuderanno definitivamente dopo questo lungo inverno buio dell’editoria, non è ancora dato saperlo. Adista continua a vivere e a resistere, nonostante le evidenti difficoltà, grazie al contributo di tanti affezionati lettori che ritengono la nostra informazione imprescindibile e grazie ad una più che oculata gestione delle proprie risorse. Ma, al di là delle esperienze specifiche di Popoli e Adista, sembra ormai evidente che, se le cose non cambieranno presto – a livello culturale, economico e politico – il bilancio dei caduti crescerà di anno in anno. (giampaolo petrucci)

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