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Papa Francesco in Africa: la speranza oltre guerra, terrorismo e corruzione

Papa Francesco in Africa: la speranza oltre guerra, terrorismo e corruzione

Tratto da: Adista Notizie n° 40 del 21/11/2015

38337 ROMA-ADISTA. Dopo quelli in America Latina, Asia e Medio Oriente, papa Francesco si appresta ad affrontare il suo primo viaggio apostolico nell'Africa subsahariana, tra il 25 e il 30 novembre. Evento che si preannuncia carico di aspettative, date le delicate condizioni politiche, economiche, sociali ed ecclesiali in cui versano i Paesi attraversati dal pontefice. Tre le tappe, secondo il programma comunicato a settembre dal direttore della Sala Stampa vaticana p. Federico Lombardi: Kenya (25-27 novembre), Uganda (27-29 novembre) e Repubblica Centrafricana (29-30 novembre). Per il “continente nero”, grande dimenticato e per lo più mal raccontato dall'informazione globale, la visita del papa è soprattutto un'occasione per riconquistare qualche titolo di copertina e per costringere l'opinione pubblica mondiale a puntare i riflettori su una regione del continente crocevia di interessi politici ed economici non solo africani, e forse proprio per questo motivo ricca di ambiguità ed enormi problematiche.

In Kenya, alla vigilia della Cop21

Verosimilmente, l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale sarà catalizzata principalmente dal Kenya, in parte perché la capitale Nairobi è base africana (spesso unica) delle più importanti agenzie internazionali di informazione, e in parte perché già sono stati annunciati numeri da capogiro: alla celebrazione ufficiale del 26 novembre, infatti, presso l'Università di Nairobi, si attendono rappresentanze di oltre 1.000 parrocchie, con 9mila religiosi, circa un milione e mezzo di fedeli, sorvegliati da 10mila poliziotti e da un servizio sicurezza composto da altri 10mila membri della National Youth Service. Un ingente dispiegamento di forze di sicurezza, preoccupate che il grande evento possa attrarre le mire degli jihadisti somali di Al-Shabaab, i quali hanno dichiarato guerra al Paese dopo l'adesione alla coalizione Amisom (Missione dell'Unione Africana in Somalia). E si direbbero timori più che legittimi dopo il massacro al college universitario di Garissa (150 morti il 2 aprile scorso) e la sparatoria al centro commerciale Westgate di Nairobi (circa 70 morti il 21 settembre 2013): ferite ancora aperte nella coscienza collettiva del Paese.

In questa sua prima tappa il papa parlerà – non solo ai rappresentanti delle istituzioni civili e ai fedeli cattolici (che costituiscono un terzo della popolazione locale, secondo cifre ufficiali, ritenute oggi sovrastimate) ma anche ai leader musulmani, induisti e delle religioni tradizionali – dei mali che affliggono le popolazioni africane, di pace, di dialogo interreligioso e interetnico, e sicuramente di famiglia, tema molto caro alla tradizione africana. E dedicherà particolare attenzione alla questione climatica, anche perché la visita, che si svolge alla vigilia della Conferenza Onu sul Clima di Parigi (Cop21, dal 30 novembre all'11 dicembre), sarà occasione propizia per lanciare gli ultimi appelli ad un impegno concreto per la “cura della casa comune”. E nonostante le difficoltà sulla logistica e sulla sicurezza, il papa ha chiesto di visitare anche lo slum di Kangemi, alla periferia della capitale, abitato da circa 100mila persone.

Ma la più grave «piaga purulenta» del Paese, ricordano i vescovi keniani in un messaggio diramato in chiusura della loro assemblea plenaria (Fides, 9/11), è costituita dalla corruzione della classe politica, che genera ingiustizia, disuguaglianze e mancato sviluppo: «La visita del Santo Padre – dicono i vescovi – ci offre l’opportunità di riflettere sui valori che sono alla base della nostra nazione, per la quale i nostri progenitori hanno lottato e sacrificato le loro vite», «sui valori del duro lavoro e dell’onestà, dell’integrità e della responsabilità, dell’unità nazionale e del rispetto della legge».

Intanto, in attesa dell'arrivo del papa, la Kccb (Conferenza dei vescovi keniani) ha lanciato il logo, con il motto evangelico “Siate forti nella fede... non abbiate paura”, i profili Facebook e Twitter, nonché il sito web ufficiale della tappa keniana, sul quale è possibile seguire gli eventi in programma (www.popeinkenya.or.ke).

Uganda: un Paese in continua “crescita”

Balzato spesso agli onori della cronaca come uno dei Paesi più omofobi del Continente (da febbraio 2014 una nuova legge prevede pene severe, fino all'ergastolo, per le persone omosessuali), l’Uganda rappresenta il più “cattolico” dei tre Stati toccati da Francesco, con oltre il 45% della popolazione aderente alla Chiesa di Roma ed una realtà ecclesiale giovane, vivace e in espansione. Lo stesso si può dire sul versante politico, con un'economia in costante e robusta crescita e con un posizionamento di tutto rispetto nello scacchiere geostrategico dell'Africa centrale, conquistato dal presidente Museveni che sembra piacere molto alla comunità internazionale e agli investitori stranieri, attratti dalle grandi potenzialità di un Paese che ha persino scoperto enormi giacimenti petroliferi nel sottosuolo e disposti a chiudere un occhio su una gestione del potere autoritaria e corrotta. Tra l’altro, Museveni, 72enne, ha lanciato la propria quinta candidatura alle prossime elezioni 2016, con il beneplacito della Commissione elettorale nazionale e in barba ai limiti di mandato imposti dalla Costituzione del Paese. Prassi che sembra andar di moda un po' in tutta la regione, dove l'alternanza di governo sembra un vago miraggio e i presidenti di Burkina Faso, Burundi, Repubblica del Congo e Repubblica Democratica del Congo non mostrano la benché minima intenzione di voler abbandonare lo scranno. Ma la popolarità interna del padre-padrone dell'Uganda moderna comincia a vacillare, a causa degli altissimi tassi di disoccupazione giovanile, del livello di corruttela generale nella macchina dello Stato e soprattutto a causa dell'incapacità di porre fine alle atrocità commesse dal Lra (l'Esercito di Liberazione del Signore guidato dal criminale di guerra Joseph Kony) nel Nord dell'Uganda. Nato in seno al popolo Acholi, come movimento di ispirazione cristiana, il sanguinario Lord Resistence Army ha preso piede proprio dopo l'avvento di Museveni, il quale ha distribuito il potere politico ed economico ai gruppi etnici del Sud. Ed ora, dopo quasi 30 anni, semina terrore in tutta la regione a cavallo tra Repubblica Centrafricana, Sud Sudan e Repubblica Democratica del Congo.

Anche in Uganda, il papa intende incontrare le autorità civili e religiose, nonché parrocchie e luoghi simbolo, come i Santuari, quello cattolico e quello anglicano, dedicati ai martiri ugandesi. Segnali positivi sono giunti dalla comunità musulmana del Paese: l'Uganda Muslim Supreme Council (UMSC) ha parlato di relazioni cordiali tra cristiani e musulmani, anche perché i grandi problemi degli ugandesi, come la povertà, l'analfabetismo, l'Aids-Hiv e la malaria, rappresentano una sfida comune (Cisa, 10/11). 

Online e in tempo reale, è possibile seguire passo per passo la tappa ugandese del viaggio apostolico, grazie all'hashtag ufficiale: #popeinuganda.

Centrafrica: una visita sempre più in bilico

Sempre più a rischio, invece, la permanenza del papa in Repubblica Centrafricana, dove gli episodi di violenza si sono intensificati proprio a poche settimane dall'evento, nel quale un intero popolo, non solo quello cattolico, ripone le sue residue speranze di pace. A fine marzo 2013, un colpo di Stato ha destituito il presidente Françis Bozizé, consegnando il Paese al vuoto di potere politico e ad una lunga fase di pesante instabilità, caratterizzata dal feroce scontro tra bande islamiche, facenti capo alla coalizione militare Séléka, autrice del colpo di Stato, e gruppi di autodifesa anti-Balaka, principalmente cristiani. Le misure successive – l'intervento militare franco-africano sotto l'egida dell'Onu, la costituzione di un Consiglio nazionale di transizione, la nomina di Catherine Samba Panza come presidente che dovrebbe traghettare il Paese alle prossime elezioni libere previste per dicembre – hanno riattivato il protagonismo della comunità internazionale nella regione africana, ma con esiti incerti; e gli scontri, anche nella capitale, continuano senza sosta, rinvigoriti da un crescente odio etnico-religioso.

La comunità cattolica locale attende con trepidazione il papa, tanto che sulla home page della Conferenza episcopale, accanto al logo con il motto della tappa “Passiamo all'altra riva”, campeggia in evidenza un conto alla rovescia che indica quanto tempo resta all'atterraggio di Francesco. «La visita del papa porterà un messaggio di speranza», ha dichiarato il 28 ottobre a Tv2000 mons. Dieudonné Nzapalainga (arcivescovo di Bangui e presidente dei vescovi centrafricani). «Il papa viene a incontrare i poveri, ad attirare l’attenzione dei Paesi ricchi verso i poveri, verso quelli che soffrono; e permetterà a questo popolo di porre la prima pietra per una riconciliazione tra i centrafricani». Ma l'allerta resta elevata perché, sebbene i leader islamici si siano detti entusiasti per la visita del papa, diversi gruppi armati, di ispirazione musulmana, restano fuori dal loro controllo e più volte, anche durante la preparazione dell'evento, hanno manifestato una certa irrequietezza. Uno scenario non certo rassicurante, che rischia di tagliar fuori definitivamente la Repubblica Centrafricana dall'itinerario di Francesco. Lo stesso papa, durante l'angelus della festività di Ognissanti, ha espresso «viva preoccupazione» per la situazione in Centrafrica, lanciando poi un appello «alle parti interessate, affinché si ponga fine a questo ciclo di violenze». «Esprimo la mia solidarietà alla Chiesa, alle altre confessioni religiose e all’intera nazione Centrafricana, così duramente provate mentre compiono ogni sforzo per superare le divisioni e riprendere il cammino della pace». Ed è proprio per sottolineare la grande domanda di misericordia e riconciliazione che nasce in quel contesto che, in chiusura dell'Angelus, il papa ha dichiarato la sua intenzione di inaugurare il Giubileo straordinario proprio aprendo la porta santa della cattedrale della capitale Bangui. L'ennesimo colpo mediatico messo a segno da papa Francesco. Un gesto, dal forte impatto simbolico, che contribuirà a spostare l'attenzione da Roma alla periferia; da quella Chiesa, oggi sommersa dagli scandali legati alla vicenda Vatileaks, alla Chiesa marginale, umile, povera e martire, vera protagonista della predicazione di Francesco.

* L'immagine del papa è di Jeffrey Bruno, tratta dal sito Wikimedia Commons, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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