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Invito all’ecologia integrale

Invito all’ecologia integrale

Tratto da: Adista Documenti n° 35 del 15/10/2016

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UNA VISIONE INTEGRALMENTE ECOLOGICA DEL MONDO

Un’unica «Comunità di vita» in questo pianeta. Fino a qualche decennio fa, e ancora oggi, là dove non è arrivato l’influsso della nuova scienza, le persone e la società sono debitrici della visione tradizionale del mondo, concepito come un agglomerato di oggetti (non come una comunità di esseri viventi né, tanto meno, come un quasi-organismo vivo). Durante gli ultimi secoli ha dominato totalmente la divisione cartesiana della realtà in cose materiali, res extensa (fisiche, inanimate, organizzate meccanicamente), ed entità spirituali, res cogitans, fornite di coscienza, incorporee. Il mondo in tutta la sua estensione sarebbe composto da materia, questa realtà fisica compatta, inanimata, passiva, senza vita, di per sé sterile. (…). 

La fisica attuale ha spazzato via la visione cartesiana della materia. In realtà la materia non esiste. Ciò che esiste è l’energia. La materia non è altro che una forma o uno stato dell’energia in cui tutto consiste, in quanto fra massa ed energia vi è una permanente convertibilità reciproca. Per questo la materia è esattamente il contrario della passività e della sterilità: tende naturalmente all’autorganizzazione, verso una crescente complessità, cioè verso la vita, verso forme superiori che finiscono per apparire come sensibilità, coscienza e autocoscienza. (…). «La materia sembra non essere altro che un’energia effimera, che fluisce in modo uniforme e con coerenza meravigliosa, producendo tipi di onde con stabilità dinamica e apparenza solida…» (Elgin). (…).

Un’altra visione della vita. La visione tradizionale che abbiamo avuto degli esseri viventi è quella di esseri inferiori a noi, classificati in specie e famiglie separate «create» in modo fisso e stabile fin dall’inizio, indipendenti, senza relazioni di parentela. Oggi le scienze ecologiche ci offrono una visione totalmente diversa.

Senza sapere ancora se la vita è germogliata sul nostro pianeta o è arrivata qui da fuori, portata da meteoriti, sembra certo che l’intera vita del pianeta sia imparentata. (…). È apparsa 3.500 milioni di anni fa, in quella prima cellula, Aries, in quel primo mondo di batteri che si riproducevano per semplice scissione, praticamente immortali, che vivono ancora oggi. Da quegli organismi procarioti si è prodotto un salto qualitativo enorme quando sono comparse le cellule eucariote, con il nucleo; in seguito gli organismi unicellulari e finalmente i grandi organismi, con tutte le formule possibili di organizzazione di vita.

Oggi la scienza ci mostra che non esistono famiglie vegetali e animali isolate, indipendenti, che condividono solamente tratti esteriori, ma che tutti gli esseri viventi di questo pianeta sono membri di una stessa e unica famiglia. Su questo pianeta vi è un solo albero genealogico, che raggruppa e include tutti gli esseri viventi (compresi gli esseri umani).

Non vi è alcuna specie vegetale o animale che sia stata «creata», che abbia avuto origine un certo giorno a partire da zero (l’affermazione religiosa della creazione da parte di Dio appartiene a un altro piano e non contraddice la materialità del processo biologico che oggi conosciamo scientificamente). Nessuna specie è apparsa su questo pianeta «un giorno», caduta dal cielo. Oggi sappiamo che ogni specie è sorta provenendo da altre specie precedenti, attraverso l’evoluzione. (…). Gli uccelli di oggi sono stati prima rettili e precedentemente anfibi, e prima ancora pesci e forme marine più semplici. La Vita non è statica, ma si è sempre evoluta, in una continua metamorfosi. Più del 98% delle forme che la Vita ha sperimentato, nello sforzo di migliorare progetti precedenti, è già scomparso. Tutte le forme di vita che permangono, tutti gli esseri viventi di oggi, sono imparentati, «della stessa carne»: sono fatti della stessa materia vivente (...) e si costituiscono allo stesso modo, replicando nel nucleo di ognuna delle proprie cellule l’informazione necessaria per funzionare e riprodursi (4 gigabyte in 7 miliardesimi di grammo!).

C’è di più: il linguaggio o codificazione di questa informazione è lo stesso fin dal principio e anche gli umani lo conservano ancora oggi, tant’è che l’informazione genetica portata dall’ameba, dalla medusa, dalla felce, dalla quercia, dalla libellula, dal coccodrillo e dall’orango è espressa in un identico codice basato su «quattro lettere» nel DNA di ognuna delle loro cellule. Ciò significa che alcune parti del nostro DNA di esseri umani coincidono con parte dell’informazione propria del DNA degli alberi, perché si tratta, per esempio, dell’informazione necessaria all’elaborazione dei carboidrati, ossia di una conquista della vita sorta prima che gli alberi e i nostri antenati si separassero nell’unico albero genealogico della Vita di questo pianeta.

La biosfera. Non è un agglomerato di esseri viventi ammucchiati sulla superficie della Terra. È una rete di sistemi, di sistemi di sistemi, interdipendenti, retro-alimentati, che dipendono dall’interazione di delicate variabili le quali mantengono stabili gli equilibri da cui dipende il benessere comune.

La famosa prima fotografia della Terra dallo spazio dall’Apollo 8, nel 1968, ha impressionato l’opinione pubblica, e l’ipotesi Gaia di James Lovelock ci ha dato da pensare: questo pianeta azzurro rivestito da quella coltre sottilissima di vita, la biosfera, è vivo; a modo suo, certo, ma conservando la sostanza di ciò che chiamiamo «essere vivente», una capacità auto-organizzatrice e auto-regolatrice che permette la stabile continuità della vita entro i propri limiti, senza deteriorarsi, mantenendosi nel tempo.

In un mondo nuovo. Uno sguardo al mondo da una prospettiva integralmente ecologica ci offre allora una visione radicalmente diversa di tutto (...): un mondo senza oggetti, senza «materia inerte», pieno di vuoto fecondo, di vibrazioni subatomiche, di energia auto-organizzata, di vita completamente imparentata, organizzata in reti di sistemi inseriti gli uni dentro gli altri, in un insieme globale vivente, Gaia, la nostra casa, la nostra placenta, nella quale siamo stati generati e viviamo.

La visione ecologica integrale ci conduce dal vecchio mondo spogliato di incanto di oggetti-risorse verso una Terra Viva, vibrante di energia auto-organizzata e cosciente di sé. (…). Con questa nuova visione stiamo tornando alla nostra vera casa: una Terra piena di Vita e di Mistero, a cui sentiamo di appartenere e dalla quale possiamo integrarci nell’intero Universo.

UNA VISIONE INTEGRALMENTE ECOLOGICA DI NOI STESSI

Considerata in maniera integrale, l’ecologia influisce anche sul modo di comprendere noi stessi, gli esseri umani. Da migliaia di anni ci siamo visti come un’«altra cosa», come qualcosa di diverso da tutto ciò che esiste nel mondo, come esseri infinitamente superiori e per ciò stesso con diritto di dominio assoluto su tutto ciò che si trova sulla terra.

Per capirlo ed esprimerlo abbiamo creato fedi e miti religiosi che lo “giustificavano”: saremmo stati creati da Dio, soltanto noi, separatamente, nel sesto giorno della creazione, «a sua immagine e somiglianza». Verremmo dall’alto (da Dio), non dal basso (dalla Terra); dall’esterno di questo mondo (siamo spirituali e immortali), non dall’interno… Ma le odierne scienze cosmologiche vedono le cose in un altro modo. (...).

- Non veniamo da fuori, ma da dentro, vale a dire che veniamo dalla terra. Il nostro corpo è fatto di atomi, di elementi che non sono eterni, che hanno una data di scadenza, che sono stati prodotti dalle stelle nell’esplosione delle supernove, che hanno permesso la comparsa – per la prima volta – del calcio per le nostre ossa, del ferro per il nostro sangue, del fosforo per il nostro cervello (...). Tutto quello che è avvenuto in questi miliardi di anni di evoluzione della Terra per rendere possibile la nostra esistenza è la nostra particolare «storia sacra», ben oltre gli appena 4.000 anni delle storie sacre delle nostre religioni.

- Non veniamo dall’alto (...), ma siamo una specie emergente, formata attraverso l’evoluzione di altre specie che ci hanno preceduto. (...).

- Siamo la specie nella quale culmina (per ora) l’ascesa evolutiva della Vita verso forme di coscienza, riflessione e spiritualità: in noi la materia organizzata, autopoietica, la Terra nel nostro caso, arriva a sentire, a riflettere, a riempirsi di meraviglia, a contemplare, a venerare, ad adorare. Siamo la Terra che arriva a contemplare se stessa. «Siamo idrogeno del cosmo che giunge a contemplare la meraviglia dell’idrogeno del cosmo», dice il poeta Ernesto Cardenal.

- Il nostro stesso corpo, osservato con occhi ecologici che sappiano vedere, parla chiaramente di una lunga storia evolutiva, delle cui conquiste conserva le tracce, quasi in ogni sua caratteristica. (…).

Considerare tutto questo e ridefinire quella modalità vecchia di vedere noi stessi come separati dal mondo, come superiori ad esso, come estranei a tutto ciò che è cosmico ed ecologico, significa che stiamo tornando alla nostra casa, alla nostra dimora ecologica, da cui non ci saremmo mai dovuti allontanare. Significa tornare a mettere i piedi sulla terra, sul suolo della Vita. (…).

Fine del dualismo tradizionale. La filosofia cristiana ha insistito sul fatto che l’essere umano è formato da due principi, uno materiale e l’altro spirituale, quest’ultimo direttamente legato a uno straordinario atto di creazione da parte di Dio: è il dualismo che ha accompagnato il cristianesimo per secoli. Oggi le scienze optano per un’alternativa: quella «emergente», non riduzionista né dualista.

La materia tende verso la vita, verso la complessità, verso la coscienza e verso la spiritualità. C’è una discontinuità fra il materiale e lo spirituale, fra l’animale e l’umano, ma non una rottura. È la continuità caratteristica della materia con qualità «emergenti»: il tutto è più grande della somma delle parti e risulta inesplicabile in funzione delle qualità delle parti. (…). Pietre, piante, animali, esseri umani... sono in continuità viva, come sistemi annidati in sistemi superiori. Qualcosa di molto diverso dalla visione tradizionale atomizzata, frammentata, segnata da dualismi. (…).

Un cambiamento di «luogo cosmico». La teologia della liberazione parlava della necessità che avevamo di cambiare «luogo sociale» - quel settore o luogo della società dal quale sentiamo di vivere e sperimentare la storia, che sia a partire dal sistema o a partire dai poveri - e insisteva sul fatto che il luogo sociale adeguato per vivere onestamente è il luogo sociale dei poveri, degli oppressi (...).

Adottare una visione integralmente ecologica comporta anche un cambiamento di «luogo cosmico», cioè un cambiamento nel modo di sentirsi rispetto al cosmo. La spiritualità tradizionale ci ha fatto sentire come se ci trovassimo fuori dalla natura (totalmente diversi) e sopra di essa (spirituali)… Il «luogo» con cui ci identificavamo era il cielo, l’esterno rispetto al mondo, le cose di lassù... non il cosmo, la Terra, la natura, la Vita, il suo arduo lavoro evolutivo, il suo incessante dispiegarsi di interiorità. Nel paradigma dell’ecologia integrale giungiamo a sentirci «cosmo», a sapere che siamo - letteralmente - «polvere di stelle», natura evolutiva, Terra... E che questa è la nostra dimora, la placenta che ci ha generato e con la quale ci identifichiamo, il nostro nuovo «luogo cosmico».

Trasformazioni che ne derivano. L’atteggiamento ecologico profondo comporta una serie di trasformazioni, dirette a: auto-detronizzarsi, cioè scendere dalla deificazione in cui ci eravamo situati e superare l’alienazione e l’incomunicabilità con la natura; superare l’antropocentrismo, smettere di guardare tutto in funzione dell’interesse dell’essere umano, prendendo in considerazione la centralità della vita, il «biocentrismo», il valore centrale che ogni vita possiede, per il quale tutte le forme di vita hanno valore in se stesse; assumere la nostra storia cosmica evolutiva, sapendo di esserne il risultato finale, il fiore che sintetizza tutta la storia di questo caos-cosmo che stiamo comprendendo ora grazie alla nuova cosmologia; rivalutare il «naturale», ossia superare il pregiudizio di un «peccato originale» che ha guastato tutto fin dai primordi, rendendo peccaminoso e trasformando in «nemico dell’anima» il mondo, il sesso, il piacere… e recuperare la sicurezza che al principio di tutto c’è stata piuttosto una «benedizione originale».

UNA VISIONE INTEGRALMENTE ECOLOGICA ANCHE DELLA SPIRITUALITÀ

Eco-spiritualità: un nuovo progetto di religiosità. L’ecologia integrale è un nuovo sguardo, un paradigma, che inquadra tutto nell’ambito della natura (...). Anche l’aspetto spirituale e religioso? Sì, anche quello.

Tradizionalmente non era così. La dimensione spirituale era considerata totalmente altra dal nostro mondo materiale. (…). Credevamo che la sfera spirituale appartenesse a un altro mondo, il mondo celeste o, come anche lo si chiamava, soprannaturale. Davamo per scontato un dualismo, una separazione radicale, fra questi due ambiti. E per questo una persona religiosa, o spirituale, era una persona che si teneva lontana dalle cose materiali, dagli interessi corporei e umani, e considerava soltanto i valori incorporei, sovrannaturali, spirituali, che la religione ci diceva appartenere al cielo, non a questo mondo. Per una persona spirituale l’ideale sarebbe stato vivere la propria vita senza lasciarsi distrarre dalle «cose di questo mondo», guardando solo e sempre alla Patria celeste, alla vita post mortem in cui nel cielo, lasciandoci alle spalle questo mondo, ci saremmo riuniti con Dio, per cantare in modo puramente spirituale le sue lodi. È ovvio che questo tipo di spiritualità ci allontanava interiormente da questo mondo, alimentava pregiudizi negativi contro di esso (il mondo come nemico dell’anima!), dirigeva il nostro sguardo al cielo e ci distraeva dai problemi del mondo e della Terra. Ma la spiritualità è necessariamente così o questo è stato un modo di intenderla che oggi può essere sostituito da uno migliore, davvero all’altezza di ciò che adesso sappiamo e vediamo, e che i nostri predecessori non sapevano né vedevano? Oggi, nel tempo della scienza e dell’ecologia integrale, è possibile riscoprire la spiritualità.

Valore pedagogico-spirituale del cosmo. Una prima caratteristica della ES (Eco-Spiritualità) è la convinzione del valore pedagogico che il cosmo possiede per la nostra spiritualità. Lo abbiamo già detto: la scienza, la scoperta scientifica del cosmo è ciò che sta più trasformando la nostra visione, la nostra sensibilità e la nostra spiritualità. Oggi siamo consapevoli di non essere nel cosmo, bensì in una cosmogenesi. Il racconto della sua fantastica storia ci riempie di stupore, fino a estasiarci. Così la scienza e il cosmo stesso hanno un «valore rivelatore» (Berry): ci rivelano il dispiegarsi del divino della realtà cosmica. Non invano la teologia ci dice oggi che il primo libro che «Dio» ha scritto non sono state le sacre Scritture delle diverse religioni, ma il cosmo.

Olismo: tutto interrelato senza dualismi. Sotto lo sguardo della ES tutto appare in un altro modo, (...) senza dualismi imposti dalla nostra mente analitica. (…). Tutto è relazionato e interconnesso. Ugualmente non esistono più quelle frontiere fra materia ed energia, vita e coscienza, biologia e cultura, coscienza e spiritualità, terra e cielo, vita e ciò che esiste oltre la morte… Tutto è interrelato e il Tutto (Divino) sta in tutto. «Tutto è sacro, per chi sa vedere» (Teilhard de Chardin).

Aperti alla dimensione spirituale del cosmo. La ES supera la visione riduzionista del materialismo scientifico propria del paradigma cartesiano-newtoniano, che vedeva soltanto massa, pesi e misure, tutto sprovvisto di anima, di coscienza di sé, di mistero, di incanto, d’interiorità… La scienza moderna è diventata sensibile al mistero che scopre nel cosmo e nelle sue infinite dimensioni, nella materia e nelle sue profondità subatomiche e quantistiche, nella reciproca implicazione fra la materia, la vita e la dimensione spirituale…

Se supereremo questa parentesi, durata pochi secoli, di scientismo riduzionista di corto respiro, recupereremo l’intuizione che la nostra umanità ha coltivato fin da prima che ne avessimo memoria: da sempre tutti i popoli hanno provato un sentimento di venerazione per la Madre Terra; hanno guardato il cielo nelle notti stellate e sperimentato un’«esperienza spirituale uranica» (Mircea Eliade). Durante tutto il paleolitico, la nostra spiritualità è stata radicata nella percezione incantata della dimensione spirituale della nostra esperienza cosmico-tellurica, molto prima che apparissero (nel neolitico) le grandi religioni…

Grandi scienziati, che a volte si auto-considerano «a-tei», confessano di sentire un «profondo sentimento cosmico religioso» (Einstein). Si sta superando la trascendenza immaginata dalla metafisica filosofica tradizionale: adesso non la sentiamo né l’immaginiamo come proveniente da un oltre meta-fisico, più in là del fisico, come una zona fuori dal mondo reale, bensì la percepiamo piuttosto verso l’interno della realtà cosmica e del mondo. La trascendenza non è «verso fuori», ma «verso dentro», verso la profondità, l’interiorità abitata, senza fuggire verso il non-mondo. Alcuni autori non parlano più di trascendenza, ma di immanensità. Il mistero è qui, non «fuori». (…).

Eco-Spiritualità trasformatrice. La ES è un’esperienza (...) che poco a poco ci converte in esseri ecocentrati, tutto il contrario di ciò che il vecchio paradigma cartesiano-newtoniano aveva fatto di noi. E, con questo, molte altre dimensioni spirituali si trasformano, si «ecocentrano». La ES non si trova a proprio agio con il teismo, che considera il Mistero fondamentale come una divinità esterna al mondo, qualcuno che abita nei cieli, (...) optando piuttosto per una visione pan-enteista… La ES manifesta l’esigenza che ogni religione operi una «riconversione» del patrimonio simbolico elaborato nelle sue Sacre Scritture ai tempi in cui il primo libro (la natura e il cosmo) era per noi quasi completamente chiuso. Quei miti e quelle credenze devono essere trasformati secondo ciò che ora sappiamo del cosmo e di tutto il reale. La ES permette di ricomprendere secondo la scienza i misteri della coscienza, dell’autocoscienza, della vita oltre la morte, della religiosità/spiritualità… senza ricorrere al mito.

Eco-Spiritualità e prassi. Vedere e sentire in altro modo ci porta ad agire inevitabilmente in modo diverso. Sentire che apparteniamo alla Terra ci invita a sentirla e a difenderla come il nostro stesso corpo, come la nostra Casa Comune. Recuperare una spiritualità eco-centrata, libera da quella millenaria alienazione per la quale ci siamo sentiti più figli del cielo che della Terra, è l’unica speranza per salvare la Vita e il Pianeta, perché smetteremo di distruggere la Terra solo quando saremo coscienti del suo carattere sacro e ci sentiremo integralmente parte del suo Corpo divino.

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