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Un No politico e conciliare. Il contributo di Adista alla campagna divorzista del 1974

Un No politico e conciliare. Il contributo di Adista alla campagna divorzista del 1974

Tratto da: Adista Notizie n° 11 del 18/03/2017

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Pochi eventi hanno segnato la memoria civile e politica del nostro Paese come il referendum sul divorzio del 12 maggio 1974. Tra gli organi d’informazione chiave per il No, Adista è stata la sede romana del comitato nazionale e ha fornito alla campagna un contributo di primo piano. La schiacciante vittoria del No – più di 19 milioni di voti pari al 59,1% – ha rappresentato il momento in cui la secolarizzazione galoppante della società si rivelò in maniera inconfutabile e incontrovertibile. Per quanto riguarda il mondo cattolico, è stata la più importante vittoria di quei settori che avevano sposato una visione organica e profonda della riforma politica conciliare contro le resistenze di buona parte della gerarchia ecclesiastica e del gruppo dirigente del laicato. Innanzitutto occorre tenere presente che, nonostante il dibattito fosse iniziato già nel 1965 con la presentazione della legge Fortuna (approvata nel 1970 nella formulazione della Fortuna-Baslini), la vera battaglia si è svolta in un fazzoletto di mesi. Della possibilità di ricorrere a un referendum abrogativo si era iniziato a discutere già nel 1967. Tuttavia, il riserbo dei vertici democristiani sull’opportunità di sostenere gli antidivorzisti sarebbe stato sciolto solamente nel gennaio 1974 e dopo molti sforzi per modificare la legge e scongiurare il ricorso alle urne. La scelta di Amintore Fanfani era di non politicizzare la campagna lasciando ai Comitati civici e alla gerarchia il compito di sostenere le ragioni del Sì. Da parte sua la Chiesa era divisa tra i vertici della Santa Sede, decisamente scettici sullo strumento, e quelli della Cei, cioè i card. Antonio Poma e Giuseppe Siri, convinti invece della necessità di prendere posizione nell’arena che si stava configurando. A far precipitare la situazione è stato il noto appello dei “cattolici democratici per il No”. Sfogliando Adista è possibile rendersi conto di quanto determinate parole d’ordine siano state in effetti rapidamente contagiose.

Ai primi di gennaio la redazione si esprimeva chiaramente contro «i quattro "generali" (Fanfani, Giulio Andreotti, Luigi Gedda e Gabrio Lombardi) alla testa delle armate "cattoliche" nella battaglia contro il divorzio». «In tutti e quattro – recitava l’editoriale – spicca l'integralismo, cioè la pretesa di imporre a tutto il paese una concezione delle cose (in questo caso, della famiglia) dedotta da una ideologia accettata per fede». La sinistra democristiana, la giovanile del partito e le Acli, cioè i tre soggetti maggiormente critici nei confronti dell’operazione, erano chiamati a dissociarsi pubblicamente. Quanto alla gerarchia, il referendum sarebbe stato un banco di prova: «Il portavoce vaticano ha affermato che nella consultazione popolare sulla legge Fortuna-Baslini i cattolici dovranno attenersi al loro dovere di cittadini. Si tratta di un disimpegno nel merito del Referendum stesso? Non è possibile crederlo, soprattutto se si ricorda che ancora prima che la legge sul divorzio fosse approvata, l'episcopato italiano incoraggiò i cattolici a chiedere la consultazione popolare. Ma in poco più di tre anni molte cose sono cambiate: ad esempio, il pluralismo politico dei cattolici ha avuto nuove conquiste. D'altronde la Chiesa non ha alcun interesse a misurare il proprio grado di "tenuta" sull'abrogazione della legge divorzista. Non ha questo interesse per il semplice calcolo umano che tale "tenuta" potrebbe rivelarsi inferiore a quanto finora creduto e, soprattutto, per il più serio motivo che molti sinceri cristiani ritengono che la libertà altrui sia un valore da non svendere» (v. Adista n. 346, 25/01/1974)

Già da questo articolo è possibile farsi un’idea di quale fosse la strategia che il gruppo di Franco Leonori - poi direttore di Adista per anni - e Adriano Ossicini intendeva mettere in campo. Anche a fronte di una scarsa fiducia nelle possibilità che l’ala riformatrice nella Chiesa potesse scongiurare il muro contro muro, si trattava di intervenire sul piano politico-sociale forzando il Pci a impegnarsi in favore del No. La Sinistra indipendente di Ferruccio Parri era lo strumento di pressione parlamentare, ma si trattava ancora di un’arma “spuntata”. Occorreva quindi mobilitare le forze cattolico-democratiche e socialiste lavorando di sponda con le testate influenti in un certo cattolicesimo post-conciliare: dal Regno a il tetto passando per altre riviste di coordinamento quali Com, Idoc e l’evangelica Nuovi Tempi (v. Adista n. 346, 25/01/1974).

Sono da leggere in quest’ottica anche i numerosi interventi dedicati alle fratture che attraverseranno in pochi mesi le Acli e le altre organizzazioni del mondo cattolico, sulle quali si voleva fare leva per rompere qualsiasi parvenza di “unità politica”. Nella stessa direzione andava l’attenzione per le prese di posizione che venivano dall’area del cosiddetto “dissenso”: il movimento “7 novembre” (v. Adista n. 347, 01/02/1974), i Cristiani per il socialismo (v. Adista n. 348, 04/02/1974) e le Comunità di base (v. Adista n. 355, 25/02/1974). Anche se tra queste componenti non mancavano differenze di visione, i redattori di Adista sottolineavano soprattutto i punti in comune come la difesa dell’indissolubilità in quanto realtà evangelica e non giuridico-teologica; il contrasto delle motivazioni socio-economiche della crisi delle famiglie; l’opposizione a una deriva integralista e “fascistoide” del sistema politico. Centrale in questa strategia non poteva che essere poi il suddetto appello dei “cattolici democratici per il No” che Adista pubblicava sul fascicolo del 17 febbraio (v. Adista n. 352, 17/02/1974). 

La dichiarazione portava le firme di 82 esponenti di primo piano del cattolicesimo italiano (docenti universitari, giornalisti, magistrati e sindacalisti) che, «pure nella diversità di orientamenti politici», facevano appello a «tutti i democratici di fede cristiana» affinché rifiutassero con il loro voto la proposta abrogazionista, «affermando così i valori di convivenza civile e di libertà religiosa essenziali in una società pluralistica e democratica». Scrivevano gli estensori:  «Il principio morale e religioso dell'unità della famiglia e della indissolubilità del matrimonio può e deve essere custodito e rafforzato come valore, ma non può essere assunto in maniera intransigente dalla legge civile. Il rifiuto dell'abrogazione servirà a sbarrare la strada ad ogni utilizzazione del referendum in senso conservatore e autoritario e al tentativo dei fascisti di reinserirsi nella vita politica del Paese. Il miglioramento della legislazione divorzista, che già si sarebbe ottenuto senza la rigidità che il referendum ha introdotto nella dialettica politica e parlamentare, è di fatto largamente maturo nelle coscienze più responsabili dei vari settori di opinione». 

L’esperienza dei “cattolici per il No” meriterebbe un articolo a sé. Il gruppo avrebbe presto raggiunto le duecento firme e raccoglieva al suo interno probabilmente le migliori menti della cultura cattolica degli anni Sessanta: da Raniero La Valle a Pietro Scoppola, da Giuseppe Alberigo a Paolo Prodi, e poi ancora Ettore Passerin d’Entreves, Luigi Pedrazzi, Francesco Traniello, Pier Giorgio Camaiani, Arturo Parisi, Emanuele Ranci Ortigosa, Giancarlo Zizola, etc. Tornando ad Adista, il gruppo redazionale interveniva così sul punto associando le proprie considerazioni a quelle dei firmatari: «Ci uniamo alle forze che, nell'ambito della loro lotta per una società più giusta e più libera, sono già impegnate nella battaglia per il No all'abrogazione del divorzio. Ci uniamo a queste forze anche perché cristiani, non malgrado la nostra fede religiosa. In quanto cristiani siamo convinti che l'indissolubilità è un valore essenziale del matrimonio sacramento. Ma siamo ugualmente convinti che i valori sacramentali vanno vissuti nella libertà della grazia, non delegando sacrileghe tutele al braccio secolare. Concordiamo inoltre con tutti coloro che, mentre dicono No all'abrogazione del divorzio, sono convinti che lo scioglimento effettivo – non quello giuridico – del matrimonio è un male, che non cesserebbe di essere tale anche nel caso il nostro ordinamento giuridico tornasse a non prenderne atto. È sulle radici di questo male che occorre agire: non solo giungendo alla rapida approvazione di una legislazione sulla famiglia all'altezza della società e della cultura moderna, ma anche e sopratutto riformando profondamente un sistema economico e politico che ha dato e continua a dare le "vedove bianche", i quartieri-dormitorio, la speculazione edilizia, la scuola inadeguata ma autoritaria, il lavoro alienante, la disoccupazione» (v. Adista n. 352, 17/02/1974).

In questo lungo estratto troviamo la conferma del carattere politico che Adista attribuiva alla mobilitazione dei cattolici per il No. Lottare per il divorzio significava anche lottare contro lo stato di cose presenti; un impegno per il quale la redazione sceglieva di triplicare il numero di “uscite” dell’Agenzia. Nella lunga lista delle notizie spicca la denuncia della censura imposta dalla Cei al documento approvato dal Consiglio nazionale dell'Azione Cattolica del 3 marzo, in cui si lasciava la decisione ultima «alla responsabilità di ogni persona evitando ogni atteggiamento di crociata» (v. Adista n. 362, 22/03/1974). In un altro fascicolo veniva pubblicata la lettera inviata da Gedda ai Comitati civici per invitarli a «costituire gruppi di punte avanzate della reazione in vista delle prossime battaglie elettorali» (v. Adista n. 359, 11/03/1974). Il 6 maggio il gruppo redazionale lanciava il suo ultimo appello: «Innanzitutto bisogna registrare un fatto estremamente positivo: la maturità laica di larga parte dei cattolici, che ha consentito un aperto confronto all’interno dello stesso mondo cattolico senza isteriche fughe tra le braccia del laicismo anticlericale, ma anche senza codini silenzi in nome di una cieca ubbidienza. E questo giudizio deriva non solo dal fatto che numerosi cattolici si sono espressi per il No, ma anche e forse soprattutto dalla constatazione che nessuno ha sostenuto le proprie tesi come verità di fede. Un secondo elemento da sottolineare è la dimensione veramente nazionale del movimento. Dal piccolo comune alla grande città, dal Nord al Sud, spontaneamente si sono levate voci di credenti di tutti i ceti sociali a sostegno delle tesi antiabrogazioniste. Un pullulare di gruppi e di iniziative coordinate solo dalla unicità e semplicità dell’obiettivo da raggiungere; una molteplicità di attività organizzate solo dalla forza insita nella chiara ed elementare idea che sorregge tutti: la causa della crisi della famiglia non è il divorzio, ma la società» (v. Adista n. 375-376, 06/05/1974).

Commentando tale fioritura di gruppi antidivorzisti, la redazione richiamava alla memoria l’esperienza dei gruppi spontanei post-conciliari «che in pratica, fra l’altro aveva fatto nascere e vivere l’Adista», e constatava una maturazione che si auspicava avrebbe contribuito a far crescere il movimento anche dopo la chiusura delle urne. Due giorni dopo la Cei diffondeva un comunicato che deplorava l’atteggiamento di quei cattolici che stavano mettendo in pericolo l’unità della Chiesa. Il 10 maggio tale posizione otteneva il sostegno ufficiale di Paolo VI: tardivo e sostanzialmente inutile.

Non è possibile fornire un resoconto sufficiente delle tantissime reazioni che la vittoria del No avrebbe provocato nel mondo cattolico di sinistra (v. Adista 378, 22/05/1974). Basti dire che l’agenzia decideva di dare un’ampia copertura al convegno nazionale di Roma dei “cattolici per il No” del 21-23 giugno, invitando «ad un'intesa tra le forze democratiche per la rapida approvazione del nuovo diritto di famiglia e per segnare l'avvio di una politica sociale capace di contrastare le vere cause di insicurezza e di instabilità delle famiglie italiane» (v. Adista 379, 29/05/1974). Seguivano in altri fascicoli i comunicati dei Cristiani per il socialismo (v. Adista 378, 22/05/1974) e delle Comunità di base (v. Adista 382, 12/06/1974). Nel complesso i toni erano entusiastici; si parlava di una vittoria ecclesiale e politica, di un fronte da tenere unito contro il rischio di un’involuzione fascista e in vista delle nuove campagne contro il Concordato. La seconda metà del decennio vedrà inoltre la Cei avviare il primo vero momento di ripensamento post-conciliare e questo paradossalmente mentre cresceva nel cattolicesimo diffuso la presa reazionaria di Comunione e Liberazione. La sconfitta del referendum, pagata a caro prezzo da centinaia di preti che avevano contraddetto pubblicamente il diktat della Dc, aveva manifestato sia la penetrazione del Vaticano II nel cattolicesimo diffuso sia l’emergere di una disaffezione nei confronti della Chiesa che aveva decisamente surclassato il contributo dei voti cattolici per il No. Il decennio successivo sarà profondamente segnato da tale dicotomia (secolarizzazione contro identità) costringendo i cattolici della sinistra post-conciliare a confrontarsi con sfide nuove e per certi aspetti ancora più complesse. 

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