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1976: Adista e la Sinistra indipendente alla prova delle elezioni

1976: Adista e la Sinistra indipendente alla prova delle elezioni

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 08/04/2017

(Per l'introduzione all'articolo, clicca qui)

La storia della sinistra in Italia va declinata al plurale. Per molti anni la retorica sulle “due Chiese” (Dc-Pci) ha veicolato un’immagine falsata delle vicende politiche del nostro Paese oscurando il ruolo che le componenti “eretiche” hanno avuto in alcuni frangenti storici. Leggi come quelle sul divorzio, sull’aborto, sull’obiezione di coscienza e sul nucleare, così come la riforma carceraria e quella dell’ordinamento giudiziario non avrebbero visto la luce senza l’impegno politico e culturale delle minoranze laiche, socialiste e cattoliche. In questa geografia composita si colloca anche la storia della Sinistra indipendente tra il 1968 e i primi anni Novanta. Adista ne è stata un’osservatrice attiva e partecipe, contribuendo in diversi passaggi chiave a sostenere le parole d’ordine del gruppo. Particolarmente rilevante è stato lo sforzo dell’agenzia nella campagna per le elezioni politiche del 1976 che porteranno al Senato la prima pattuglia di cattolici indipendenti eletti nelle fila del Pci.

I primi passi di questa complessa operazione risalgono al 1967. Il 19 dicembre usciva sull’Unità un appello a firma di Ferruccio Parri che chiamava a raccolta tutte le forze democratiche (dentro e fuori dai partiti) per dare forza a una rinnovata politica di sinistra. Lo storico dirigente partigiano e presidente del Consiglio del primo governo di Unità nazionale era la guida di un gruppo eterogeneo di intellettuali e militanti che faceva riferimento alla rivista Astrolabio. La chiamata era rivolta principalmente al Pci e al Psiup, ma trovava riscontro tra gli intellettuali di matrice azionista e socialista e in alcuni ambienti del cattolicesimo di sinistra. Siamo negli anni del primo post-concilio e alla vigilia dell’esplosione della contestazione cattolica contro il magistero di Paolo VI e le compromissioni tra Chiesa e potere politico democristiano. Spicca la figura di Adriano Ossicini, in quel periodo attivo insieme a Franco Leonori nel mettere in piedi Adista. I contatti con il Pci erano nelle mani di don Lorenzo Bedeschi, in prima linea nel gestire l’“operazione senatori” in sinergia con Giorgio Napolitano, Emanuele Macaluso e il segretario Luigi Longo.

L’obiettivo del partito, messo a punto a livello teorico da Pietro Ingrao, era aggregare in uno spazio interno, ma dotato di una sua autonomia, le diverse forze di opposizione alla Dc per scomporre definitivamente il “blocco cattolico”. Nonostante i numerosi incontri con personalità provenienti dall’area dei gruppi spontanei, dalle Acli e dalle riviste più impegnate nella riforma della Chiesa, questo primo tentativo si scontrava però con la diffidenza nei confronti del Partito Comunista a cui si rimproverava una certa doppiezza nei rapporti con la Chiesa e la Dc. Pesava anche la preoccupazione, espressa da Mario Gozzini, che il gruppo degli indipendenti avrebbe riprodotto l’errore di «avere dei cattolici operanti come tali nell’ambito politico». Non c’è da stupirsi dunque se le elezioni di maggio portavano al Senato solamente quattro esponenti indipendenti dell’area cattolica: Ossicini, Gian Mario Albani, ex-rappresentante delle Acli milanesi, Ludovico Corrao, ex-esponente dell’Azione cattolica, e Sergio Marullo, proveniente dall’Unione sicialiana cristiano sociali (quella che in regione aveva dato vita alla celeberrima giunta Milazzo). La scelta di nominare il gruppo Sinistra indipendente era di Ossicini, che lo aveva utilizzato già nel 1945 per definire l’autonomia della sua collocazione politica in occasione della candidatura al consiglio comunale di Roma. Dal momento che gli eletti erano stati nove (cinque del Movimento dei socialisti autonomi), compreso però Parri che era senatore a vita, non fu possibile costituire un gruppo autonomo. Per quello fu necessario attendere il 1976, l’anno delle elezioni e del temuto sorpasso del Pci di Enrico Berlinguer.

Le ricostruzioni degli storici – si veda soprattutto al libro di Giambattista Scirè, Gli indipendenti di sinistra (2012) – hanno mostrato l’apporto dato dal raggruppamento della Sinistra indipendente alla trasformazione del profilo della sinistra italiana nei primi anni Settanta: l’attenzione alle istanze del movimento studentesco e del neo-femminismo; il lavoro per l’approvazione della legge Fortuna-Baslini e nella campagna per il referendum abrogativo del 1974; la battaglia per una legge sull’obiezione di coscienza e così via. Proprio l’esperienza dei comitati dei “Cattolici del No” fu il definitivo trampolino di lancio di quella esperienza. Riprendeva allora spazio la vecchia ipotesi della candidatura di un gruppo cattolico nelle liste del Pci, questa volta sotto le insegne della Sinistra indipendente (all’epoca formato quasi esclusivamente da personalità del mondo azionista e socialista). Raniero La Valle, ex direttore del quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia, era il primo interlocutore, ma l’operazione venne avallata durante una travagliata due giorni alla Badia fiesolana (1-2 maggio 1976), con p. Ernesto Balducci nel ruolo di mediatore. In sette decidevano di accettare la proposta: Mario Gozzini, La Valle, il giornalista Piero Pratesi, lo storico del cristianesimo Paolo Brezzi, il critico letterario Angelo Romanò, Massimo Toschi (l’unico a non essere eletto) e il pastore valdese Tullio Vinay. Adista avrebbe appoggiato da subito l’iniziativa. Per farsi un’idea di quale fosse la posizione dell’agenzia a poche settimane dal voto è sufficiente riprendere un editoriale dei primi di maggio: «La campagna elettorale si avvia ormai verso il suo pieno e completo dispiegarsi. In questo riteniamo di invitare i lettori e tutti coloro che più direttamente sono impegnati nella lotta politica ad avvicinarsi alle sollecitazioni partitiche per maturare la propria scelta tenendo presenti alcuni punti fermi, tre dei quali indichiamo in questa nota: 1) tra le motivazioni della scelta o della richiesta di voto o di non votare per un partito non può e non deve più entrarci alcun principio religioso. Nel 1976 questa annotazione può sembrare superflua o anacronistica, ma forti sono le tentazioni in clima preelettorale, per questo ribadiamo che scegliere in nome della propria fede cattolica è riduttivo per lo stesso credo cattolico; 2) alla scelta, magari diversa da quella fatta nel passato, occorre arrivare non sull'onda emotiva di un generico moralismo [...], ma con l'impegno e la consapevolezza che la moralizzazione sarà tanto più sostanziale guanto più partecipata sarà l'opera di "bonifica”; 3) Il responso elettoralesarà tanto più veritiero quanto meno gli elettori si lasceranno impressionare dall’incertezza del futuro [...]. Ai partiti durante l'arco di questa campagna elettorale bisogna avvicinarsi solo sulla base dei programmi che le singole formazioni presentane, tenendo conto del passato per soppesare realisticamente lo scarto tra il “promesso” e il “mantenuto" » (v. Adista n. 617618, 10/05/1976).

Dei tre punti è soprattutto il secondo a destare interesse. Occorre tenere presente che era diffusa la convinzione che il Pci fosse rimasto l’unico partito in grado di affrontare il “problema morale” della repubblica e che il trend elettorale in suo favore non fosse più arrestabile. Sul fascicolo del 14 marzo i candidati cattolici entravano nel dettaglio della questione.

In primo luogo, la decisione era presentata come la risposta a una fase di emergenza (economica, politica e sociale) gravissima: «In questo quadro abbiamo ritenuto anche noi, come molti altri amici, di non poterci sottrarre a un più esigente coinvolgimento personale, accettando come, indipendenti, la candidatura per il Senato o per la Camera che ci veniva proposta dal gruppo della Sinistra Indipendente o direttamente dal PCI. Questa proposta, non implicando né la richiesta di un'adesione ideologica al marxismo, né quella di una assunzione di tutti i contenuti programmatici e delle metodologie proprie del Partito comunista, riconosceva l'autonomia del nostro discorso e delle scelte parlamentari di quanti fra noi venissero eletti; autonomia che alcuni di noi intendono esprimere, se eletti al Senato, nella partecipazione al gruppo della Sinistra Indipendente e che, per gli eletti alla Camera, si eserciterà nelle forme che la situazione parlamentare suggerirà alla loro libera valutazione».

La Valle e compagni cercavano poi di sgombrare subito il campo delle possibili accuse di “integrismo di sinistra” provando a ribaltare il discorso sulla contaminazione dei piani: «La scelta che abbiamo fatto, accettando tali candidature, è dunque politica, ed appartiene al regno della relatività e della storicità della politica, che è solo un momento, per quanto importante, della libertà e della creatività umana, e non esaurisce tutta la nostra vita. Il fatto che noi siamo dei cristiani non qualifica e non connota politicamente la nostra scelta; riteniamo però che ciò rappresenti una ulteriore prova che i confini della comunità di fede sono più ampi dei confini di un partito, e che le due realtà, quella della aggregazione politica e quella della comunione ecclesiale, non sono né identificabili né sovrapponibili. Se in questa situazione, priva dì garanzie e sicurezze precostituite, la nostra azione ci farà riconoscere come cristiani, è nostra speranza che ne risulti anche testimoniata la fede» (v Adista, n. 621622, 14/05/1976).

Infine, gli autori motivavano le ragioni della loro scelta dal punto di vista politico cioè in riferimento ai meriti del Pci, alle potenzialità d’aggregazione della società civile e alla volontà del segreteria di Berlinguer di procedere nell’aggiornamento. Si trattava di un punto molto caldo, dal momento che proprio sulle intenzioni di Berlinguer si appuntavano le reazioni critiche del Popolo e dell’Osservatore Romano (v Adista, n. 623624, 14/05/1976; n. 623614 17/05/1976). Negli stessi giorni arrivava, come era prevedibile, la presa di posizione della Cei che in una nota della presidenza chiedeva ai cattolici di «inserirsi attivamente nel tessuto sociale e di testimoniare quegli originali principi per i quali gli uomini sono davvero liberi e davvero sono chiamati e vivere nella fraternità e nella pace». Seguiva il richiamo «ai nostri fratelli di fede, maggiormente sensibili agli impegni del momento perché vogliano evitare scelte che sono in aperto contrasto con il messaggio cristiano e che possono mortificare la comunione ecclesiale» (v Adista, n. 623614 17/05/1976). In una lettera privata mons. Giovanni Benelli, Sostituto alla Segreteria di Stato, rincarava la dose e accusava Gozzini di ingratitudine verso la Chiesa e di aver arrecato «grave disorientamento e vero e proprio danno» ai credenti. All’udienza generale del 12 maggio Paolo VI interveniva così sulla questione: «L’instaurazione dell’ordine nuovo, soprannaturale, evangelico, non sopprime il male, che è nel mondo che è nell’uomo. Il male esiste ancora, e forse noi cristiani lo vediamo più degli altri come un medico ha una visione più chiara e immediata. Il cristiano incontrerà ancora sui sentieri del pensiero l’oscurità del vero e la facilità dell’errore; sui sentieri dell’esperienza psicologica la tentazione, la propensione al peccato, la debolezza della passione e della carne. Anzi, egli incontrerà ancora nel mondo l’opposizione, la persecuzione, l’ingiustizia. Incontrerà fra gli stessi fratelli di fede la discordia, l’avversione e perfino, proprio in questi giorni, il tradimento. Com’è comune, vicina a noi, oggi questa sofferenza! Talvolta agli amici più cari, i colleghi più fidati, i confratelli della medesima mensa, i sacerdoti, i religiosi, sono proprio quelli che si sono ritorti contro di noi! La contestazione è divenuta abitudine, l’infedeltà quasi affermazione di libertà!» (v. Adista, 6223624, 17/05/1976).

Questo di papa Montini non era certo il primo richiamo rivolto agli ambienti della contestazione e non sarebbe stato neppure l’ultimo. Sono note le parole con le quali il pontefice nel 1972 aveva denunciato l’ingresso del «fumo di Satana nel Tempio di Dio». Come altre volte in passato, Adista non esitava a rispondere agli ambienti curiali che invocavano una scomunica. Sono da leggere in questa luce i due editoriali di maggio incentrati sulle responsabilità storiche della Chiesa italiana nell’aver garantito l’unità politica dei cattolici (v. Adista, 625626, 19/05/1976; 627628, 21/05/1976). Nonostante ci fosse attenzione (e pure qualche speranza) per l’ormai prossimo convegno ecclesiale organizzato da mons. Enrico Bartoletti e dal titolo suggestivo di “Evangelizzazione e promozione umana”, l’agenzia dava ampio spazio alle voci più critiche verso la repressione e non faceva mancare la propria solidarietà ai candidati: «Alle urne senza timori e condizionamenti extrapolitici, si scriveva qualche numero fa. Alle urne con giudizio, riteniamo di scrivere oggi. In che senso? Innanzitutto giudicando il passato, sia delle forze politiche che hanno avuto responsabilità di governo, sia di quelle che hanno svolto il ruolo di opposizione. Tra le prime la Democrazia Cristiana è quella che più criticamente va giudicata. La crisi attuale non è frutto di forze sataniche, né solo conseguenza di una certa congiuntura internazionale; è la conseguenza di una certa politica economica e sociale di cui la DC è responsabile. Una condizione ci sembra però essenziale: l’unità delle varie componenti popolari di diversa estrazione culturale. Se ciò è vero, come è vero, occorre usare l'arma del voto per punire chi si oppone a questa strategia unitaria e premiare chi invece, a rischio di qualche impopolarità, questa unità nazionale sostiene». (v. Adista, 627628, 21/05/1976).

Il fascicolo riportava poi i due documenti delle Comunità di base e dei Cristiani per il socialismo «contro i tentativi di riesumare le scomuniche quarantottesche» (v. Adista, 627628, 21/05/1976); l’appello elettorale di Parri “Alle urne per cambiare” (v. Adista, 629630, 24/05/1976) e un interessante documento di vicinanza ai candidati della Sinistra indipendente sottoscritto da decine di sacerdoti diocesani e religiosi, centinaia di sindacalisti, aclisti, quadri dell’Azione Cattolica, e numerosi gruppi. Tre le firme più rappresentative c’erano quelle di padre Ernesto Balducci, direttore di Testimonianze, don Giovanni Cereti, p. David Maria Turoldo della comunità di Sotto il Monte, degli animatori della Comunità di Bose, e i nomi di circa seicento laici, tra i quali: Pierre Carniti, segretario confederale CISL; Emilio Gabaglio, consigliere nazionale ed ex presidente nazionale Acli; Pietro Barrero (Agesci), Pippo Greco (segretario centrale Fuci), Giuseppe Alberigo, Valerio Onida, Ruggero Orfei, Boris Ulianich, Pippo Ranci, Francesco Tortora e Giancarlo Zizola. Per quanto riguarda il contenuto, gli estensori sceglievano uno stile semplice e chiaro per garantire la massima divulgazione: «Cari fratelli nella fede, la vostra candidatura al Parlamento per le prossime elezioni politiche, apparsa nelle liste del PCI, rispetto al quale conservate la vostra indipendenza e dal quale ricevete riconoscimento della vostra autonomia, ha suscitato interesse, sorpresa e scalpore nel mondo cattolico. Noi, cattolici e credenti praticanti, preti e fedeli, indipendentemente dal merito della vostra scelta politica, sentiamo il bisogno di confermarvi la nostra stima e la nostra solidarietà, ravvisando nella vostra decisione uno dei possibili e legittimi modi di realizzare la presenza dei cristiani credenti nella vita pubblica del nostro Paese. Nella nostra sensibilità cristiana e nella nostra leale appartenenza alla Chiesa, ove svolgiamo ministeri e collaborazioni; riteniamo che il vostro gesto non abbia ferito la comunione ecclesiale, che si costruisce intorno a Cristo Signore e si vive nello sforzo continuo di interpretare il Vangelo e di viverne le esigenze nelle mutevoli circostanze storiche» (v. Adista, notizia n. 629630, 24/05/1976).

Questo breve comunicato sembra confermare quanto la strategia ecclesiale degli indipendenti fosse riuscita a penetrare in profondità. La lista, del resto, era composta da nomi di prestigio nel mondo della cultura e proprio per tale levatura aveva provocato un clamore decisamente superiore del passato costringendo le principali forze del mondo cattolico a prendere posizione. La ventilata scomunica, riproposta da più voci, non aveva avuto il via libera dal papa, ma le tensioni rimanevano molto forti (basti pensare al “caso Franzoni”, costretto a lasciare lo stato clericale per l’appoggio dato al Pci in campagna elettorale). A poche settimane dal voto Pratesi tornava a ribadire che non c’era nessuna «pretesa da parte dei “cattolici democratici” di battezzare il PCI, poiché oltretutto questo non è compito politico, ma della nostra chiesa”» (v. Adista, notizia n. 627628 del 21/05/1976). Su Adista La Valle andava oltre e spiegava in che modo la sua scelta interrogasse la strategia di fondo della Chiesa: «La nostra candidatura è più un segno che un discorso. E questo solleva un problema che non riguarda soltanto, lo credo la Chiesa italiana. Caduto il fascismo, questa situazione si è prolungata sia con la conferma costituzionale degli accordi del Laterano, sia, soprattutto, con la garanzia del monopolio politico dei partito cattolico. Nel momento in cui queste condizioni stanno per scomparire, mentre la sinistra pone la sua candidatura al potere, in particolare la pone il Pci che non è un partito antireligioso o anticlericale, ma è certamente un partito laico, la chiesa si trova di fronte a una alternativa: o privilegiare la sua natura di comunione di fede, di sacramento di salvezza, di popolo di Dio, e allora la Chiesa dovrebbe porre in modo dei tutto diverso il suo rapporto con il mondo; oppure privilegiare la propria fenomenicità storica, come ordinamento giuridico, come società separata e autosufficiente e allora dovrebbe riaprire la Questione Romana» (v. Adista notizia n. 651664, 16/06/1976).

Che quella di La Valle non fosse una posizione isolata lo confermarono le urne. La scommessa del Pci e degli indipendenti era premiata con l’elezione di quasi tutti i candidati cattolici. Con il 34% il partito otteneva il miglior risultato di sempre aprendo una nuova stagione storica. Seguirono anni di importanti battaglie parlamentari e sociali che videro gli indipendenti in prima linea contro il nuovo Concordato firmato da Bettino Craxi nel 1984 e l’istallazione degli euromissili a Comiso, ma anche attivi in maniera fortemente propositiva, per esempio nell’elaborazione della legge Gozzini (1986). Fino al 1992, l’anno dello scioglimento del gruppo parlamentare, la Sinistra indipendente ha rappresentato dunque un’anomalia nella storia italiana ed europea: non ci sono altri esempi di un partito politico che abbia messo a disposizione tra il 10 e il 15% dei propri seggi per la costituzione di un gruppo parlamentare autonomo. È stata il luogo di incontro tra le anime “storiche” della sinistra e soprattutto un laboratorio culturale, prima ancora che politico, che mirava a coinvolgere la società civile proprio per mettere la politica al passo con i tempi (una questione di cui solo oggi afferriamo veramente la centralità). Nello stesso tempo, l’azione degli indipendenti è stata la spia di ritardi culturali del comunismo italiano e della strumentalità di certi suoi disegni. Le divisioni all’interno di un’area tanto eterogenea, in cui sarebbero confluite personalità come Stefano Rodotà, Luigi Spaventa, Claudio Napoleoni e Altiero Spinelli, si erano palesate già di fronte alla proposta del “compromesso storico”. Se nel ‘76, grazie anche al contributo di Adista, la battaglia per piegare definitivamente l’unità politico-confessionale dei cattolici sembrava finalmente vinta, il nervo della laicità rimarrà ancora a lungo scoperto.

 

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