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Prepotenze e morte nel Sud-Kivu. Distruzione delle case, espulsione dai campi

Prepotenze e morte nel Sud-Kivu. Distruzione delle case, espulsione dai campi

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 10 del 17/03/2018

La popolazione di Mbobero, villaggio sulle colline alle porte di Bukavu, la capitale della provincia del Sud-Kivu, nell’est della Repubblica democratica del Congo, è in maggioranza povera. I campi non producono più come un tempo e gli abitanti sono diventati numerosi.

C’è chi con fatica è riuscito a costruirsi una casa in mattoni e chi vive in semplici casette di legno. Molti uomini spaccano pietre nella cava sulla strada che costeggia il lago Kivu e rientrano a casa la sera con poco più di un dollaro per nutrire una famiglia di sei o sette figli.

Poiché la scuola si paga, molti bambini non vanno a scuola e passano la giornata raccogliendo scatolame che vendono a 100 franchi al chilo (1/16 di dollaro). Su questa popolazione si è abbattuto da alcuni anni un dramma di cui non si vede ancora la fine: la distruzione delle case e l’espulsione dai campi. L’ultima risale al 10 febbraio scorso. Andiamo per ordine.

Un po’ di storia

Nella cultura della tribù dei Bashi, maggioritaria nella zona, è l’autorità tradizionale, il Mwami, che distribuisce le terre, accordandole con parola definitiva alle famiglie. È in questa terra, presso la propria casa, che vengono seppelliti i morti. È la terra, insieme alla famiglia e, tradizionalmente, alle mucche, che fa del Mushi un “Mushamuka”, un uomo completo.

Il Mwami vigila sulla sua popolazione e ne protegge i beni. Il Mwami di Kabare, che ha giurisdizione su Mbobero, negli anni della colonia aveva attribuito una parte di terra al sig. Michaux, belga. Prima di lasciare il Paese nel 1973, il sig. Michaux, non avendo la possibilità di dare la buonuscita ai suoi operai, attribuì a ciascuno di loro una parte di terra, con i relativi documenti. Lasciò anche al suo segretario, il sig. Mihigo, un vasto pezzo di terra, che includeva anche la propria abitazione. Di tutta la sua concessione vendette solo una parte a un suo collaboratore. Il sig. Mihigo finì per pensare che tutta la concessione gli apparteneva e cercò subito di allontanare la gente che vi abitava. La gente ricorse in tribunale ed ebbe causa vinta. Una decina di anni fa, Mihigo incontrò il presidente della Repubblica Joseph Kabila e gli offrì l’intera concessione. I commissionari che dovevano pagare il sig. Mihigo produssero documenti falsi per assicurare al presidente che tutta la concessione gli appartenesse. Il presidente non scese fra la popolazione per ascoltarla e rimase in silenzio.

La prima distruzione

Alla fine di gennaio 2016, le persone che abitavano vicino al luogo dove il presidente aveva piantato le sue tende, ricevettero l’ordine di sgomberare. Protestarono, alcuni finirono in prigione, ma nulla arrestò la demolizione, avvenuta sotto gli occhi delle autorità provinciali. Furono rase al suolo una cinquantina di case. Tra esse l’ospedale del dott. Kachungunu, neurologo. Quando le ruspe arrivarono, il medico stava operando una donna. Supplicò che lo lasciassero almeno finire di operare. Nulla da fare. La distruzione cominciò e l’operazione si concluse sul prato.

I militari incaricati della distruzione bruciarono delle case. Un bambino ricevette una scottatura al braccio e in seguito morì. Mamma Marcelline, angosciata, partorì un bimbo già morto. Il Mwami non prese alcuna difesa della popolazione. La gente si riunì per vedere che cosa fare.

Nel 2017, il giovane Cédrick, di Mbobero, mentre era per strada, si vide esigere il telefono da parte della Guardia repubblicana (la guardia del presidente) che stazionava nella zona. Al primo cenno di rifiuto, gli spararono a bruciapelo e morì.

La gente chiese all’Ufficio dei Diritti umani della forza Onu in RD Congo (Monusco) una presenza di interposizione, che non le fu accordata. Dopo un tentativo di intervento nel 2016, respinto dalle Guardie repubblicane, la Monusco non è più stata vista a Mbobero. La gente rimasta nelle proprie case pensò che il problema fosse finito. Chi stava costruendo continuò a costruire. Nel frattempo, i militari cercavano di cancellare perfino le tracce delle case distrutte.

Nuova distruzione

Era il 7 gennaio di quest’anno 2018. La gente di Mobero, riconoscendo il nuovo governatore passare in macchina, corse al finestrino: «Può dirci qualcosa?». «Sapete che siete nello spazio del presidente!». «No, la sua parte è quelle di Mihigo!». «No – reagì il Governatore – Mihigo a venduto tutto!». «Non poteva vendere ciò che non era suo!», replicò la gente.

L’11 gennaio, ogni famiglia la cui casa era destinata ad essere distrutta ricevette una lettera di ingiunzione, in cui le veniva imposto di lasciare la casa entro il 10 febbraio, giorno fissato per la distruzione. Firmato: il capo di divisione e urbanismo nella città di Bukavu. La gente cominciò a far passare messaggi alla radio: «Può forse un Capo di divisione distruggere delle case senza che ci sia un decreto?». Non vi fu alcuna reazione.

L’8 febbraio arrivò a Mbobero il ministro nazionale degli Affari fondiari, accompagnato dal Mwami e da un gruppo di militari. Senza dir parola, i militari cominciarono a distruggere tre case. La gente era incollerita. Il ministro promise di tornare il giorno dopo. Il Mwami confermò le sue parole. Nell’angoscia di quel momento, con gesto inaudito, il Mwami fu ferito e privato delle insegne regali. Incollerito, disse: «Aggiungerò 49 ettari dalla parte del quartiere Ikambi, perché sono stato umiliato!».

Il giorno dopo, il 9 febbraio, giunsero a Mbobero molti militari. Gli uomini si nascosero dietro le case pronti a combattere, le donne e i bambini scesero in strada. I bambini ancora piccoli gridavano «Kabila akufe!» (che Kabila muoia!).

La sera, i rappresentanti della popolazione di Mbobero furono chiamati a una riunione in città. Esposero le loro ragioni. Il ministro chiese loro di portare l’indomani mattina presto i documenti comprovanti la proprietà. Lì furono raggiunti da un colpo di telefono della famiglia che li informava che la distruzione era iniziata. Intanto, nella notte era stato preparato il decreto di distruzione e la radio al mattino ne diede notizia. Sabato 10 febbraio, alle cinque del mattino, la gente si è vista circondare da militari, poliziotti e guardie repubblicane. Alcuni si mettevano davanti alle loro case come a impedirne la distruzione, ma dovevano venir via perché il bulldozer avanzava. Si aiutavano reciprocamente per togliere quanto potevano dalle case. Un uomo disse ai soldati: «Vi do la mia casa, almeno non distruggetela!». Ma anch’essa è stata distrutta.

Più di 200 case sono state distrutte in quel giorno e 227 famiglie si sono trovate sulla strada, per un totale di circa 2.800 persone. Il ministro ha dichiarato che ci sono ancora 33 case da distruggere a Mbobero e 74 a Mbiza: «Abbiamo finito con i briganti. Restano da indennizzare queste case e poi le si distruggerà!». «Non siamo dei rifugiati – ha detto un uomo. – Siamo dei rifiutati!».

Chi fra la popolazione ha ancora una casa l’ha aperta per accogliere chi l’ha persa, diversi si organizzano per offrire dei soccorsi. I rappresentanti della popolazione continuano a cercare di far valere i loro diritti. Assicurano che nessuno dei proprietari delle case distrutte ha venduto, nessuno ha ricevuto un soldo.

A passare in questi quartieri di Mbobero si stringe il cuore. È peggio di un terremoto: delle semplici case di legno non esiste più traccia. Di quelle in muratura restano le fondamenta da cui i militari cercano di togliere pietre per venderle, insieme a pezzi di mattoni ammucchiati. Chi vuol tornare a ciò che resta della sua casa per vedere se può recuperare qualcosa, chi va nel suo campo ormai occupato deve pagare una tassa ai militari. «Fatichi inutilmente», hanno detto a una povera mamma che continua a prendersi cura del suo campo di manioca. Infatti anche i campi saranno recuperati.

In questi giorni, ai piedi della collina, sulla strada che costeggia il lago, i militari hanno messo le pietre che segnano i limiti della proprietà del presidente. Sono pietre dipinte di rosso, come il sangue della povera gente scacciata dal suo spazio vitale. 

* L’articolo dell’autrice, esperta della realtà congolese, è frutto di ascolto diretto di diverse persone spettatrici e vittime degli eventi, e di un contatto diretto con i luoghi.  

* * Foto tratta dalla pagina twitter di Radio Maendeleo

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