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Per la rinascita di un vero campo progressista

Per la rinascita di un vero campo progressista

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 21 del 09/06/2018

Di fronte a questa drammatica crisi della democrazia  italiana, frutto di anni di progressivo logoramento (indotto e spontaneo) della reputazione delle istituzioni, oltre che da una sempre più oggettiva difficoltà di dare risposte esaustive ai bisogni dei cittadini, ebbene di fronte a questa situazione generata dal (momentaneo) fallimento dell’accordo Lega-M5s viene da chiedersi se non abbia ragione Steve Bannon: oggi non ha più senso il confronto destra contro sinistra, ma quello fra sovranisti e globalisti. So di dire qualcosa che a molti può apparire una bestemmia. Intanto perché si dà ragione a un noto giornalista e opinionista politico della destra americana più accesa, consigliere di Trump e fino a poco tempo fa anche presidente esecutivo in Breitbart News, il sito nazionalista e razzista che ha suscitato scandalo addirittura nella stessa opinione pubblica repubblicana statunitense. Forse non si dovrebbe neppure citare in un giornale serio e civile come questo. Figuriamoci dargli ragione

…E poi perché mette il dito nella piaga, che, aperta e virulenta, sarà oggetto delle prossime (inevitabili, ma ne avremmo fatto volentieri a meno) e tesissime (ma si può contribuire ad attenuarne le conseguenze devastanti) elezioni politiche.

Che saranno precedute dalla più lunga campagna elettorale che il nostro Paese abbia mai sopportato, la più aggressiva, irrazionale e irragionevole, radicata e divisiva che abbiamo mai frequentato. Già partita il 28 maggio e che non si sa ancora quando finirà.

No, in realtà Bannon – secondo me – ha torto. Perché i concetti, le pratiche o perlomeno il senso comune dell’autorappresentazione e collocazione dell’elettore nel quadro generale della configurazione politica è ancora Destra vs Sinistra; ma, appunto, coniugato in un quadro di sistema, di parametri e orizzonti diversi, che la globalità di un mondo sempre più piccolo (ci piaccia o no, ma è così) sta determinando. Essere sovranisti riassume quindi, a mio avviso, conciliandoli e in alcuni casi fondendoli, la “sovranità” su concetti come Dio (il mio), Patria (la mia, con prevalenza al genere – maschio – e al colore della pelle – bianca –) e Famiglia (esclusivamente etero e guardata con qualche sospetto se non “ha prodotto” figli); come l’esaltazione delle storie patrie discendenti da “eroi che” conquiste della libertà dallo straniero opprimente; idolatria dei confini, dei muri, del giardino di casa, della sicurezza privata a dispetto di uno Stato che sembra incapace di assicurarla per tutti col rispetto dei diritti; del patrimonio privato (anche ereditato senza alcun merito) contro i Beni Comuni; della casa, del cibo, della lingua, eccetera. Tutto ciò che non c’è in questo quadro è altro, straniero, nemico. Ergo: inaccettabile.

Di fronte c’è il cosiddetto globalismo, che include l’Unione Europea, le Nazioni Unite, gli accordi tra Stati su singole tematiche, gli Obiettivi del Millennio, altri accordi multilaterali più politici in diverse parti del mondo, Asia, Africa, America Latina, strutturati su una logica diversa: quella di provare a governare – insieme – l’evoluzione (con incertezze, passi falsi e successi) che sta facendo il mondo sulle battaglie millenarie dell’umanità (pace, fame, carestie, mobilità, schiavitù, povertà, ecc.), in un quadro di rispetto dei Diritti umani (vedi Dichiarazione universale) compatibilmente alla tutela dell’ambiente e delle risorse della terra, delle scelte dei singoli popoli e delle culture locali, dello sviluppo globale. Ardua impresa.

Piano, conosco le obiezioni. Non solo questi obiettivi sono “ben lontani” dall’essere raggiunti in modo compiuto. Ma è proprio quel “compatibilmente” che mostra i limiti, mettendo in chiara luce la precarietà di scelte – diciamo così – meramente riformiste, tralasciando quelle più radicali e apparentemente risolutive. A detta di molti, non senza qualche ragione, proprio la distanza tra il dichiarato e il realizzato ha creato quella delusione delle attese di cui ha pagato lo scotto soprattutto quella parte di sinistra che aveva puntato la propria identità su quelle sfide. A parte che i dati ci dicono che molti di questi obiettivi sono – almeno un po’ – più raggiungibili di qualche decennio fa, anche grazie (altra parolaccia) alla globalizzazione, viene da ipotizzare che su questo crinale si orienterà il confronto (scontro?) della battaglia politica dei prossimi giorni. Ma non sarà semplicemente un dibattito tra chi vuole più Europa o meno, chi vuole un Unione più equa, popolare e democratica o chi (ma poi chi?!) la vuole serva dei burocrati e della Germania, tra chi è prone all’Euro e chi se ne affranca per “difendere le tasche degli italiani” (come, con la vecchia povera lira?...). Ecco sarà di più, molto di più, una partita giocata anche all’interno dello schieramento più dichiaratamente opposto al centro-destra. Su questo punto dovremmo avere nervi saldi, capacità di ascolto, d’immaginazione e di comunicazione fuori dall’ordinario. Qui, a mio avviso, si gioca tanta parte del nostro futuro.

Ha scritto sul suo sito il deputato europeo del PD Michele Nicoletti, qualche giorno prima della crisi definitiva dell’incarico al professor Conte: “La partita nel 2019 (quella delle elezioni Europee, ndr) si presenta tutt’altro che facile. Rispetto al 2014, quando i popolari prevalsero (219 parlamentari) e ottennero la nomina di Juncker, oggi le forze di centrodestra, di destra e populiste in Europa si presentano ancora più forti e agguerrite, ancor di più dopo il risultato delle elezioni italiane del 4 marzo scorso che ha fortemente ridimensionato il PD, quel PD che nelle elezioni europee del 2014 aveva superato il 40% consentendo ai Socialisti e Democratici europei a Bruxelles un buon risultato complessivo (189 parlamentari di cui 31 italiani).” E aggiunge: «Oggi più di ieri, è essenziale fare di tutto per tentare una leadership progressista dell’Europa. Mai come in questo momento s’intreccia la necessità di una più forte Europa politica con una più forte Europa solidale: un governo europeo ridotto alla sola austerity e incapace di vera solidarietà su sviluppo, lavoro e migranti ha di fatto portato acqua all’euroscetticismo. Il risultato italiano ne è buon testimone. Dunque bisogna tentare di vincere» Condivido in pieno e rilancio. È qui che si deve giocare la rinascita non solo del Pd o del centrosinistra, ma di tutta un’area di pensiero, di stili, di memorie, di valori e principi Costituzionali (attaccati in modo molto più grave di quanto non abbia fatto il tentativo di riforma bocciato il 4 dicembre del 2016, e attaccato da molti che ora, invece, tacciano imbarazzati di fronte alle invereconde accuse a Mattarella di coloro che volevano il cambiamento…). Per vincere nella situazione attuale, dice Nicoletti, «bisogna allargare il campo, costruendo a livello europeo un campo largo dei progressisti che comprenda i Socialisti e i Democratici, ma anche altre forze politiche, a partire da quelle più fortemente europeiste ». Concludendo: così il PD «dimostrerebbe nei fatti di volersi porre alla guida di un nuovo processo politico dei progressisti europei capace di coniugare più Europa politica e più democrazia e giustizia. E scoprirebbe che quando le destre sono forti, serve una maggiore unità, non una maggiore divisione». A una vasta parte del centrosinistra può non importare nulla la fine del PD e il futuro dell’Europa. E sia.

Ma l’alternativa, onestamente, qual è?        

* Vittorio Sammarco è giornalista, membro di C3dem

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