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Abusi sulle suore: il nodo del potere maschile e del clericalismo nella Chiesa

Abusi sulle suore: il nodo del potere maschile e del clericalismo nella Chiesa

Tratto da: Adista Notizie n° 4 del 02/02/2019

39667 ROMA-ADISTA. Ci sono voluti più di 15 anni dall’esplosione dello scandalo pedofilia nella Chiesa, innescata dalla celeberrima inchiesta del Boston Globe del 2002, perché venisse a galla lentamente, caso dopo caso, in tutta la sua portata un altro risvolto del fenomeno degli abusi sessuali perpetrati da membri del clero, ovvero quello in cui le vittime sono le religiose, a ogni livello: superiore, suore, novizie, postulanti molestate, abusate, violentate da preti, direttori spirituali, a volte anche vescovi; persone, comunque, in posizione di superiorità gerarchica, ma non di rado anche consorelle e superiore. Abusi di potere, prima di tutto, psicologici e poi fisici, su donne spesso fragili, in contesti locali dove l’obbedienza (specialmente a un uomo) è ancora una virtù e dove l’appartenenza a una congregazione religiosa fa la differenza in termini di sussistenza: Africa e Asia in particolare, ma non solo. Abusi spesso che restano sepolti nella coscienza per decenni e che le vittime riescono a elaborare solo dopo aver abbandonato la vita consacrata, dopo aver trovato la forza di ricominciare un’altra esistenza. L’ultimo tabù rimasto da infrangere, in gran parte per le dinamiche di controllo che causano omertà e senso di colpa.

Il fenomeno era già affiorato all’inizio degli anni 2000 con gli sconvolgenti documenti di due suore, Marie McDonald e Maria O’Donoghue, pubblicati dal National Catholic Reporter nel 2001 (v. Adista nn. 24, 26, 27, 37, 42, 50, 85/01), che rivelavano come in Africa molte religiose fossero oggetto di abusi sessuali, sedotte e spesso violentate da preti e missionari in quanto considerate «sicure » dal punto di vista sanitario (era l’epoca di massima diffusione dell’Aids) e come il fenomeno fosse diffuso in almeno 23 Paesi dei cinque continenti. Quei documenti, di fatto, rimasero lettera morta. Un altro grido di allarme è arrivato, in tempi più recenti, nel 2015, da suor Rita Mboshu Kongo, congolese, docente alla Pontificia Università Urbaniana, che in una relazione a un convegno organizzato dall’Osservatore Romano affrontò di petto la questione, denunciando il fenomeno delle suore costrette a vendersi, abusate da ecclesiastici e poi abbandonate dalle loro stesse congregazioni (v. Adista Notizie n. 22/15).

Spezzare il muro di terrore e omertà in questo delicatissimo versante del fenomeno è stato finora difficilissimo. Ma il movimento #MeToo e la priorità che ha in questo momento la piaga degli abusi sessuali anche per il Vaticano – che il prossimo febbraio riunirà tutti i presidenti episcopali del mondo per discuterne – hanno portato le religiose ad affrontare pubblicamente la questione anche in sedi pubbliche, come il convegno di studio e testimonianze dedicato al tema “Superare il silenzio. Le voci delle donne nella crisi degli abusi” che si è svolto a Roma il 27 novembre, promosso da Voices of Faith (v. Adista Notizie n. 42/18).

Anche i media hanno cominciato a occuparsene: nel 2018, ad esempio, una lunga inchiesta è apparsa sul quotidiano francese Le Parisien (v. Adista Notizie n. 23/18).

Molto ha contribuito il caso, in India, del vescovo mons. Franco Mulakkal di Jalandhar, nello Stato del Punjab, arrestato per aver violentato più volte una ex superiora di una congregazione religiosa nel 2018. Una lettera che ne chiedeva la rimozione dagli incarichi pastorali era stata firmata da ben 80 suore; alcune religiose avevano addirittura fatto una dimostrazione pubblica di protesta (v. notizia successiva). Un grande impegno è stato profuso dall’Unione Internazionale delle Superiore Generali (Uisg) nell’incoraggiare le vittime a evitare situazioni di rischio e a denunciare senza paura gli abusi subiti, e le superiore ad ascoltare e dare credito alle religiose. Come lo scorso 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, quando l’organismo ha invitato le suore che hanno subito abusi sessuali o di potere da parte di preti, religiosi, vescovi o cardinali a denunciare l'accaduto, raccontando ai propri superiori, ma anche alla polizia, quello che hanno dovuto sopportare, anche se risalente a molti anni prima (v. Adista Notizie n. 42/18).

In mancanza di un protocollo o di iniziative da parte del Vaticano, le singole congregazioni e Conferenze episcopali stanno facendo da sé, con una intensificata formazione sul tema a scopo preventivo, misure come la stesura di contratti scritti con la specificazione di orari e servizi per le suore impegnate nelle parrocchie, la certezza che le religiose abbiano sempre denaro per potersi spostare, allo scopo di ridurre al minimo la possibilità di situazioni di rischio. A questo scopo è di vitale importanza che le congregazioni siano economicamente indipendenti, e non debbano appoggiarsi a vescovi o parroci (come accade frequentemente in Africa), ma ricevano denaro in via diretta, e che venga limitata la creazione di congregazioni diocesane, soggette a un maggiore controllo locale e a potenziali abusi. Suor Rose Pacatte, fondatrice e direttrice del Pauline Center for Media Studies e collaboratrice del National Catholic Reporter ha elaborato, per la Conferenza delle superiore del Pakistan, un documento in slides che va proprio in questa direzione, dal titolo Catholic Clergy Sex Abuse: Scandal & Crisis Prevention & Healing, e che può essere adattato a differenti situazioni locali. Esso contiene indicazioni sulle modalità di “adescamento” delle religiose e giochi di ruolo su come respingere avances e denunciare alle superiore. Ogni comunità, ha detto al Ncr (21/1), deve trovare il modo di offrire queste informazioni alle suore più giovani senza tuttavia instillare una sfiducia preventiva negli uomini o nel clero, «rendendole sagge ma non paurose».

Grazie a questi programmi, in Kenya, Malawi, Nigeria e in altri Paesi africani la consapevolezza delle religiose sta crescendo insieme al loro livello culturale, fattore, questo, che consente loro di essere meno sprovvedute. Il lavoro che sta portando avanti l’Associazione delle donne consacrate dell’Africa centrale e orientale (ACWECA) comprende anche la protezione dei minori dall’abuso, non solo sessuale ma psicologico o emotivo, delle religiose stesse: «La questione della protezione dei minori o dell’abuso sessuale fa parte della formazione e della vita religiosa in Africa», ha affermato suor Eneless Chimbali, segretaria generale dell’AMWECA, che rileva un enorme miglioramento nell’educazione e nella consapevolezza delle religiose negli ultimi 15 anni. Anche in Congo e in Uganda, grazie alla collaborazione tra Conferenze episcopali, Uisg e ambasciata del Regno Unito presso la Santa Sede, si sono svolti programmi educativi, negli ultimi anni, per formare religiosi, uomini e donne, all’accompagnamento delle vittime di abusi sessuali durante il conflitto.

Un vero cambio di passo, tuttavia, non è possibile senza una profonda trasformazione dell’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica nei confronti delle donne in generale e delle religiose in particolare, da sempre cittadine di seconda classe nella Chiesa. A questo proposito viene sempre più sottolineato il bisogno di aprire posizioni di leadership ecclesiale alle donne, anche allo scopo di mandare un messaggio alle Chiese dove la posizione della donna, culturalmente parlando, è ancora molto schiacciata sull’obbedienza. Si tratta, dunque, ha affermato suor Esther Fangman – superiora delle benedettine di Mount St. Scholastica a Atchison, Kansas, che nel 2001, a un congresso di abati benedettini a Roma, affrontò la questione degli abusi sessuali (v. Adista n. 36/01) – di una «questione di potere: la differenza tra uomini e donne e tra coloro che nella Chiesa detengono il potere». Molte religiose sono ormai impegnate in questo campo da anni, tutelando la donna anche a livello di tratta e di violenza domestica, soprattutto nelle Chiese asiatiche. Il punto è aiutare le religiose a riconoscere i processi di adescamento, le strategie utilizzate dai predatori, ma soprattutto a cambiare le dinamiche che rafforzano l’idea che il clero sia una categoria “speciale” la cui autorità non può essere discussa. «Noi religiose – ha detto suor Kathleen Bryant, direttore vocazioni dell’arcidiocesi di Los Angeles e impegnata nella lotta alla tratta – dobbiamo smettere di alimentare il clericalismo. Dobbiamo aiutare le altre religiose e le vittime».  

* William Bell Scott (1811-1890), Visita di Boccaccio alla figlia di Dante, olio su tela; particolare - foto tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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