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“Il tuo corpo è un campo di battaglia”

“Il tuo corpo è un campo di battaglia”

Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 07/11/2020

Se Dio è sempre incarnato, i cristiani e le cristiane dovrebbero ispirarsi al modello di un mondo realizzato come corpo di Dio e avere con i propri corpi un rapporto sereno e colmo di gratitudine. Fondato sulla resurrezione e sull'incarnazione il cristianesimo è la tradizione che ha dato più peso al corpo. Un corpo creato, un corpo in contatto con la morte che ritorna a essere, attraverso la resurrezione, in vita. Un corpo che in ogni fase della sua esistenza è in continua trasformazione e accompagnato dalla relazione con Dio. La nostra storia è segnata da un corpo che ci salva, quello di Cristo, che salva tutti corpi delle donne e degli uomini. Persino Paolo, l’apostolo, quando parla della Chiesa usa come modello il corpo di Cristo: «Così noi, che siamo molti, siamo un solo corpo in Cristo, e, individualmente, siamo membra l'uno dell'altro» (Romani 12,5).

Il corpo è fondamentale perché rappresenta la dimensione fisica e materiale dell'esistenza umana. Senza il corpo non siamo! In quanto creato da Dio il corpo è buono ma a causa dell'influenza del dualismo cartesiano e della metafisica greca è arrivato a essere compreso inferiore alla dimensione immateriale dell'esistenza umana. Nonostante il fatto che questo non corrisponda alla verità dei vangeli che ci narrano della Parola che si è fatta carne, il corpo rimane una materia sospetta e il corpo delle donne, in particolare, viene visto più incline al peccato e quindi sottoposto al controllo dei maschi legati a loro volta al mondo più pregevole della dimensione immateriale dell'esistenza umana, quindi alle idee e allo spirito.

A causa di questa comprensione dualistica dei generi, i cristianesimi sono diventati, di fatto, movimenti di dominazione maschile e sottomissione delle donne, dei loro corpi e della loro sessualità.

In questo quadro la violenza maschile rientra tra i mezzi usati per controllare i corpi delle donne. Lo stupro è infatti, ancora oggi, il fondamentale strumento di violenza usato contro le donne, il principale agente della volontà maschile per generare la paura femminile. Lo stupro sembra mostrare che lo scopo primario del patriarcato sia la distruzione del corpo e dello spirito delle donne. Ginocidio e femminicidio sono le parole d’ordine di quanto accade sotto i nostri occhi quando il marito, il fidanzato, l’amante uccide la propria compagna o quando durante i conflitti lo stupro diventa arma di guerra, pericolosa tanto quanto, se non di più, dei carrarmati.

Lo stupro porta le donne a sentirsi vittime e prigioniere di questo ruolo sociale e a scoprire che “il tuo corpo è un campo di battaglia”(1).

L’immaginario imperialistico tradizionale su Dio ha prodotto una catena di soggetti che apprezzano il dominio come parte essenziale dell’identità. Le donne esistono e sono al tempo stesso cancellate (albero genealogico, trasmissione del nome, confinamento nelle case, velo, femminicidio) ci dice Rebecca Solnit(2).Oggi, come nel passato, l’intelligenza delle donne segna l’esistenza umana anche se spesso non è riconosciuta. E questo è un peccato, un peccato di genere, un peccato maschile che ha rinchiuso le donne nella sfera dell’irrilevante mentre esse sono soggetti desiderati da Dio, che le ha volute, come ha voluto gli uomini, per co-creare il mondo. Le chiese cristiane sono state promotrici di questo peccato di genere, occorre quindi fare una autocriticadura e realista proprio perché quel tipo di violenza è presente nelle famiglie all’interno delle nostre comunità.

In questo panorama il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste, massimo organo decisionale, ha chiesto alle Chiese, nel 2019, di sostenere il movimento globale contro la cultura dello stupro e di aderire alla campagna mondiale “Giovedì in Nero” (#ThursdaysinBlack), ispirata dagli esempi dalle Madri di Plaza de Mayo argentine, dalle Donne in nero di Israele e Palestina, dalle donne ruandesi e bosniache, per rendere visibili le storie sullo stupro come arma di guerra, sull’abuso e sull’ingiustizia di genere.

Già nel 1999 il Sinodo delle Chiese valdesi e metodiste, riflettendo sulla violenza e sugli abusi sessuali subiti dalle donne, deve constatare che questo problema, nella società italiana, è troppo spesso taciuto, trascurato, sottovalutato, a volte addirittura schernito da sentenze discutibili e da un giornalismo ammiccante. È anche convinto che ancora troppo poco sia stato fatto dalle chiese cristiane per diventare dei luoghi di asilo e di guarigione, per predicare e lottare contro questo atteggiamento predatorio maschile. Nello stesso tempo accoglie con speranza l’iniziativa, maturata nel corso del Decennio di solidarietà delle chiese con le donne, di sensibilizzazione verso il problema della violenza e degli abusi sessuali nei confronti delle donne che è stata promossa, a livello europeo, dalla Conferenza delle Chiese europee (KEK) e dal Consiglio delle Conferenze Episcopali Europee.

Nel 2013 il Sinodo decide che per contrastare la violenza sulle donne non è sufficiente agire con l’inasprimento delle pene, ma è urgente favorire un cambiamento culturale della società tutta, in cui la Chiesa ha la sua parte di responsabilità. Chiede inoltre agli organismi territoriali e alle Chiese locali di appoggiare iniziative di sostegno alle vittime di violenza. Iniziative che vedranno prendere forma al progetto della Diaconia valdese “Mi fido di te” rivolto alla sensibilizzazione sulle questioni di genere e ai legami maltrattanti a esse legate nelle scuole secondarie.

Nel 2015 il Sinodo fa proprio l’appello della Federazione delle chiese evangeliche in Italia e dell’ufficio nazionale per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso dal titolo “Contro la violenza sulle donne. Un appello alle Chiese cristiane in Italia».

«La violenza contro le donne è un’emergenza nazionale. Ogni anno in Italia sono migliaia le donne che subiscono la violenza di uomini, ed oltre cento rimangono uccise. Il luogo principale dove avviene la violenza sulle donne è la famiglia: questo e? un fatto accertato e grave. Questa violenza interroga anche le Chiese e pone un problema alla coscienza cristiana: la violenza contro le donne è un’offesa ad ogni persona che noi riconosciamo creata a immagine e somiglianza di Dio, un gesto contro Dio stesso e il suo amore per ogni essere umano. Il rispetto della vita e la pari dignità di ogni creatura sono beni al cuore della fede cristiana che ci invita ad abbattere i muri che discriminano, escludono, emarginano le donne», si legge nel documento(3).

Oggi quasi ogni Chiesa ha il posto occupato da una donna che sarebbe ancora tra noi, se non fosse stata vittima di femminicidio; molte comunità, poi, propongono iniziative con la città per onorare il 25 novembre, la giornata contro la violenza alle donne e diverse sono le persone che intervengono nelle nostre assemblee facendo attenzione al linguaggio inclusivo. Le veglie contro l’omofobia sono diventate uno dei maggiori appuntamenti ecumenici e viviamo nella Speranza che ogni chiesa locale Valdese e metodista abbia recepito e applicato il documento Linee guida per la tutela dei minori e la prevenzione dell’abuso.

C’è ancora moltissimo lavoro da fare e occorre costruire con gli uomini una ri-mediazione che dia forma ad una necessaria amicizia fatta di sguardi complici e non più predatori.

Il tema della violenza contro le donne potrebbe essere un argomento di respiro ecumenico. Non da intendere come oggetto da dibattere ma come un campo d’azione dove far trionfare la radicalità evangelica dell’apostolo Paolo: «Non c'è qui né Giudeo né Greco; non c'è né schiavo né libero; non c'è né maschio né femmina; perché voi tutti siete uno in Cristo Gesù» (Galati 3,28).

Le Chiese cristiane divise dalla mancata accoglienza eucaristica, dal ministero femminile e altro ancora, potrebbe unirsi per lottare contro un male, quello della violenza contro le donne, che non ha confini né confessionali, né nazionali, né etnici. 

Pastora titolare della Chiesa Valdese di Milano,  Già direttrice del Centro di formazione Ecumenico internazionale di Agape a Prali nelle Valli Valdesi (TO), Daniela Di Carlo si occupa di ecumenismo e di teologie ecofemministe, femministe e di genere. È membro della Commissione Justice-Peace&Integrity of Creation del Consiglio delle Chiese Cristiane di Milano (CCCM) e si occupa di formazione interreligiosa delle e degli operatori sanitari con il gruppo Insieme per Prenderci Cura (IPC).  

                                                          * * *

(1) L’artista e femminista Barbara Kruger ha dato questo titolo ad un’opera del 1989 che accompagnava la marcia delle donne su Washington a difesa della legge sull’aborto.

(2) Rebecca Solnit, Gli uomini mi spiegano le cose. Riflessioni sulla sopraffazione maschile, Ponte alle Grazie 2017.

(3) L’appello viene siglato dai seguenti firmatari: metropolita Gennadios Zervos (arcivescovo della Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia e Malta), mons. Siluan (vescovo della Diocesi Ortodossa Romena d’Italia), archimandrita Antoniy Sevryuk (segretario dell’Amministrazione delle Parrocchie del Patriarcato di Mosca in Italia), mons. Anba Barnaba el Soryany (vescovo della Chiesa Copta Ortodossa-Roma), p. Tovma Khachatryan (vicario generale del Delegato Pontificio della Chiesa Armena Apostolica dell’Europa Occidentale), mons. Mansueto Bianchi (presidente della Commissione Episcopale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso), don Marco Yaroslav Semehen (coordinatore nazionale per gli ucraini cattolici di rito bizantino in Italia), pastore Massimo Aquilante (presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia), venerabile Jonathan Thomas Boardman (arcidiacono d’Italia e Malta, cappellano della Chiesa Anglicana di Ognissanti in Roma), reverendo Claudio Bocca (Chiesa Cattolica Nazionale Polacca degli Stati Uniti d’America e Canada).

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