Nessun articolo nel carrello

Violenza di genere e mondo cattolico. E le persone Lgbt?

Violenza di genere e mondo cattolico. E le persone Lgbt?

Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 07/11/2020

Parlando di violenza di genere si pensa (direi giustamente) immediatamente alle donne, in termini di violenza fisica, molestie di genere e sessuali, esclusione (dal lavoro, da alcune professioni, da fasce della società).

Ma nel concetto di violenza di genere va necessariamente incluso ciò che è stato, è e sarà ancora esperito dalle persone LGBT, lesbiche, gay e transessuali, “colpevoli”, nell’accumularsi denso e tossico di un pregiudizio attraverso i secoli, di non aderire a un concetto di genere che prevede come unico modello quello eterosessuale. Questo accade nella società come anche nel mondo cattolico e nelle comunità di fede.

Non riuscendo bene a tenere distinti, in questa analisi, l’approccio razionale dalla mia esperienza personale di adolescente gay cattolico degli anni ’80, nel pensare a come trattare questa “violenza di genere” mi è venuta spontanea una immediata associazione ai ricordi infantili della recita dell’Atto di dolore e, in particolare, alla parte in cui si citano le mancanze in “pensieri, parole, opere e omissioni”.

Proprio da queste quattro parole voglio partire. E non parlerò di violenza fisica, perché sono abbastanza sicuro che non sia una cifra ricorrente, quanto di quel sottofondo di ostilità implicita che, di fatto, ha reso e ancora rende impossibile la permanenza di molte persone LGBT all’interno delle comunità di fede.

Pensieri

L’impianto morale cattolico si basa anche sulla presenza di due monoliti inscalfibili, derivata diretta dell’episodio biblico della Creazione: l’uomo e la donna. Questi due archetipi prevedono il regime della più assoluta complementarietà con ruoli sociali, famigliari, professionali distinti e mai sovrapposti. Il tutto viene ricondotto al disegno divino.

Qualunque cosa venga a turbare questa “armonia presunta” è elemento di disturbo del disegno divino e pertanto agente di tradimento.

Da questo, sono convinto, deriva lo stigma che ha accompagnato nei secoli le persone LGBT nei loro percorsi di fede, costringendole spesso al nascondimento, a volte anche a fingere la vocazione religiosa per perseguire un percorso socialmente accettabile. L’omosessualità non esiste se non nel pensiero del suo essere trasgressione del disegno divino. Non esistono le persone omosessuali, con le loro vite, desideri, affetti, speranze; esiste solo l’omosessualità, come se fosse disincarnata dal contesto umano; esiste il vizio, la turpitudine, la corruzione.

Credo l’impatto di tutto questo sia sottovalutato seriamente, perché si tende a trattare l’omosessualità non come una possibilità ma come un’anomalia. E con questo approccio condanniamo tanti ragazzi al silenzio, all’autoemarginazione, li priviamo della leggerezza con cui i loro coetanei vivono l’adolescenza, l’innamoramento, lo stare insieme e, non formando pastori e comunità, li esponiamo anche al pericolo di bullismo omofobico.

Parole

Immediatamente mi sovvengono gli articoli 2357, 2358 e 2359 del catechismo della Chiesa Cattolica. Sono parole molto forti quelle che vengono rivolte alle persone omosessuali, anche senza nominarle direttamente. Già! La dottrina cattolica, su questi temi, è sempre intenta in un atto di equilibrismo audacissimo che cerca di restringere la condanna agli “atti” e di riservare accoglienza e rispetto alle persone, tentando di instillare la convinzione che le persone, verso cui viene raccomandato di rivolgere cura e compassione, siano “preda” di tentazioni rapaci, irrefrenabili e innominabili che ne minano l’integrità morale. Ma non è così, e noi omosessuali lo sappiamo. Noi non siamo “altro” rispetto al nostro orientamento sessuale, non ne siamo preda. Siamo anche il nostro innamoramento, i nostri affetti, i nostri desideri. L’operazione chirurgica di separazione della persona omosessuale dal suo desiderio è impossibile e, anche se lo fosse, lascerebbe cicatrici molto profonde. Bene lo sa chi ha provato a vivere in maniera dissociata la sua identità dalla propria sfera affettiva, o al relegare questa a un ruolo subordinato, di zavorra che emerge solo quando il peso diventa insostenibile e l’urgenza impossibile da contenere.

Ecco, nei documenti ufficiali, come la lettera ai vescovi sulla cura pastorale delle persone omosessuali del 1986 e il catechismo che ad essa si ispira per questi temi, si fa riferimento all’omosessualità parlando di “oggettivo disordine” e di “comportamento intrinsecamente cattivo” in ambito relazionale, senza operare distinzioni e casistiche. Agli omosessuali viene richiesta la “castità”, come se essa possa essere il “disegno di Dio” per tutte le persone LGBT, come se possa essere imposta e non scelta. Parole terribili, senza appello, senza speranza.

Tutto questo assume un significato allarmante se riportato in contesti, come quello africano, dove, il pregiudizio culturale sulle persone omosessuali e transessuali, viene aizzato dalle parole di pastori, spesso appartenenti a Chiese fondamentaliste protestanti, che, evocando nell’abominio dell’omosessualità l’opera del demonio, hanno finito di fatto per innescare tra le popolazioni locali una caccia all’uomo spesso con esiti fatali.

Opere

Nel sinistro e distopico documento della Conferenza Episcopale polacca, recentemente pubblicato, sulla questione LGBT, al punto 38 viene evocata addirittura la possibilità di ricorrere alla riparazione per rimediare all’orientamento sessuale. Dicono i vescovi polacchi: «In seguito alle sfide portate dall’ideologia gender e dai movimenti LGBT è necessario creare dei centri di supporto (anche con l’aiuto della Chiesa e delle sue strutture) per aiutare le persone a ritrovare la loro salute e il loro orientamento sessuale naturale!». Poco importa l’orientamento della comunità scientifica che da decenni ha ormai chiarito che nell’orientamento omosessuale e nell’identità transessuale non ci sia nulla da riparare.

Leggere queste parole “violente” ci fa piombare in un passato che in Italia pensiamo di aver lasciato alle spalle. Eppure, ancora nel 2020, in molte diocesi italiane, vengono organizzate conferenze che promuovono, senza citarle esplicitamente, le pratiche riparative, illudendo molti genitori e costringendo i loro figli a passare attraverso un inferno inutile quanto ingiusto.

In occasione di ogni dibattito politico su temi riguardanti le persone LGBT, dalle unioni civili all’omotransfobia, legioni di nuovi crociati, provenienti da una inedita crasi tra frange cattoliche fondamentaliste e movimenti di estrema destra, si sono schierate per ostacolare il percorso parlamentare dei disegni di legge. Per ben due volte il Circo Massimo è stato teatro del “Family Day”, la seconda volta con una presa di distanza piuttosto netta di papa Francesco («nessuna condizione umana può costituire motivo di esclusione dal cuore del Padre»). I cartelli, le parole che sono risuonate in quella piazza sono impossibili da scordare: “Gender, sterco del demonio” “Uomo + Uomo (o Donna + Donna) = Sbagliato!”. C’è da chiedersi quale sia il motore di queste “opere di (non) misericordia” e che minaccia, interiore o esteriore, gli autori di queste mobilitazioni di massa vedano per poter infliggere alle persone LGBT queste sferzate verbali ed assembleari.

Omissioni

E poi c’è tutto quello che non c’è (scusate il gioco di parole). Non esistono percorsi pastorali ufficiali e consolidati per le persone omosessuali.

Non esistono percorsi di formazione specifici per catechisti, religiosi, educatori, pastori. E laddove il tema “omosessualità” rientra in un’agenda formativa viene rimandato alla trattazione di altri che non siano le persone LGBT che mai vengono chiamate in causa come esperte delle proprie vite.

Ad oggi una persona LGBT, che si voglia accostare a un contesto comunitario dove vivere la sua fede, sarà soggetto alla casualità della preparazione e inclinazione pastorale del parroco o referente comunitario. In pratica, potrebbe esperire accoglienza come anche richiesta di tenere sotto traccia la sua omosessualità e frequentare “in incognito” attività e gruppi. E il discorso si complica se si è in due: se una coppia omosessuale, infatti, decidesse di rivelarsi alla propria comunità parrocchiale facilmente troverebbe disinformazione e molto spesso persone non preparate ad accoglierla. Invece, questa coppia, proprio per l’assenza di modelli di riferimento cui guardare, avrebbe bisogno di sostegno da parte dei pastori e della propria comunità, quel sostegno che servirebbe a indirizzare l’affettività, a irrobustirla nel segno del dono di sé, del rispetto del partner, della costruzione di quello spazio condiviso che costituisce un insieme superiore alla somma delle due persone.

In conclusione: molte sono le “aree di pericolo” che una persona LGBT incontra nel suo percorso di fede. Spesso ci si scotta attraversati dai pensieri altrui, altrettanto spesso si ascoltano parole così forti che sembrano spinte che fanno cadere, altre volte si è vittime di opere che rendono doloranti, altre ancora ci si smarrisce nelle omissioni che non creano territori così larghi e inclusivi da poter essere riconosciuti come “casa” da tutti. 

Andrea Rubera è portavoce di “Cammini di Speranza”, associazione nazionale di persone LGBT cristiane. 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

Sostieni la libertà di stampa, sostieni Adista!

In questo mondo segnato da crisi, guerre e ingiustizie, c’è sempre più bisogno di un’informazione libera, affidabile e indipendente. Soprattutto nel panorama mediatico italiano, per lo più compiacente con i poteri civili ed ecclesiastici, tanto che il nostro Paese è scivolato quest’anno al 46° posto (ultimo in Europa Occidentale) della classifica di Reporter Senza Frontiere sulla libertà di stampa.