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Frammenti del Gesù storico

Frammenti del Gesù storico

Tratto da: Adista Documenti n° 16 del 01/05/2021

È almeno a partire dall’Illuminismo che, nel mondo culturale occidentale, sulla scia forse delle riflessioni di pensatori ebrei e anche di antichi eretici e libertini, studiosi “laici” hanno lanciato un processo di riumanizzazione e de-divinizzazione di Gesù. Scindendo il Gesù della carne dal Cristo, oggetto della fede, solo il primo, in quanto umano, è stato ritenuto oggetto possibile di ricerca storica. Così, grazie a questo nuovo «divisismo cristologico» (di cui Manlio Simonetti parlava a proposito dello gnosticismo), il “Cristo della fede” è stato esiliato e circoscritto nell’ambito degli studi di natura teologica e/o confessionale e accolto in ambiente storico soltanto in quanto oggetto del creduto di vari e diversi contesti culturali nella loro evoluzione storica. E, tuttavia, anche il Gesù solo umano e definito “storico” si è rivelato oggetto ostico alla ricerca. Per un verso sono fiorite le “vite di Gesù” senza pretese di scientificità, mentre numerosissimi e diversissimi ritratti di Gesù, ricostruiti sulla base delle testimonianze appunto “storiche”, risultavano piuttosto ritratti degli studiosi (e, più di recente, delle studiose) che li avevano ricostruiti. Tanto che già von Harnack ebbe a pronunciare la famosa frase lapidaria: Vita Jesu scribi nequit (“non è possibile scrivere una vita di Gesù”). In anni recenti, infine, si è giunti a distinguere il “Gesù storico”, necessariamente ricostruito dagli studiosi contemporanei, dal “Gesù reale”, cioè quel profeta ebreo itinerante di Galilea giustiziato (come numerosi altri) dai Romani, ritenuto irraggiungibile nella sua completezza e doppiamente perduto, in quanto coperto dalla coltre del tempo e dalle nebbie sparse da secoli di esegesi partigiana.

Inoltre alcuni dati della ricerca storica laica sono tali da scandalizzare un buon numero di seguaci di una religione che al Cristo si richiama e che, pur nelle sue innumerevoli suddivisioni interne, si presenta come la più diffusa sul Pianeta. Per esempio, un elemento fondante per il creduto della maggior parte dei “cristiani” è che il fondatore sia in qualche modo risuscitato dai morti. Essendo ciò razionalmente impossibile, per giustificare l’origine di una tale fede, la ricerca sul Gesù storico è arrivata a conclusioni disparate, dal furto del cadavere operato ingannevolmente dai discepoli (Samuel Reimarus) sino all’ipotesi che il cadavere insepolto sia stato abbandonato dai Romani ai cani e agli uccelli (John Dominic Crossan). Tuttavia, una parte almeno del mondo cristiano (e non soltanto alcuni politici italiani di secondo piano) pare ancora persino provare sconcerto all’idea, ormai accettata e considerata uno dei (pochi, forse) dati di fatto su Gesù da parte di tutti gli studiosi accreditati, che Gesù fosse un ebreo, nato, vissuto e giustiziato in quanto tale. Questo significa che concetti ormai solidificati e “normali” nel mondo della ricerca scientifica non sono filtrati fino al grande pubblico, anche per lo sbarramento creato da alcune forze religiose conservatrici. E assistiamo perciò allo spettacolo non solo di romanzieri alla Dan Brown, ma di studiosi anche seri che,  ricerca scientifica e il mondo esterno, si gettano in operazioni dal valore culturale ambiguo in cui, con il pretesto di divulgare le conoscenze, presentano come grandi novità cose arcinote, talora con ottimi tornaconti sia finanziari sia di notorietà acquisita.

Non è quindi facile muoversi con onestà ed equilibrio sulla fune tesa fra i diversi interessi che avvolgono e condizionano la ricerca sul Gesù storico. La riflessione che mi sento di proporre si basa sul convincimento che tutto il nostro passato in generale, e in particolare la cultura del mondo antico e tardoantico, siano a noi noti solo nelle loro parti sopravvissute a un naufragio. Noi ne raccogliamo i frammenti, gettati e sparsi senz’ordine dall’oceano del tempo sulla spiaggia del nostro presente. Parlo allora di “frammenti” del Gesù storico, sia perché l’idea stessa di Gesù storico si è ormai frantumata a opera di quella stessa critica scientifica che l’aveva creata, sia perché, comunque si voglia intendere il contenuto dell’espressione, esso non è raggiungibile se non in forma frammentaria. Senza presumere di presentare una nuova ricostruzione di un altro Gesù storico, propongo un esempio atto a facilitare la comprensione proprio di quella giudaicità di Gesù, su cui ancora molto si discute e che pure funge da elemento necessario a qualsiasi tentativo di avvicinarci al Gesù reale.

Quasi fra le pieghe dei testi evangelici troviamo tracce che paiono arcaiche dell’insegnamento di Gesù sulle norme di purità e di osservanza, norme che persero significato dopo la caduta di Gerusalemme nel 70 e grazie all’apertura del movimento dei suoi seguaci al mondo  pagano circostante, da cui sempre più provenivano i nuovi convertiti. Le Chiese nascenti, proiettate verso il mondo grecoromano e impegnate a costruire un’immagine supersessionistica di sé, quali farfalle che uscivano da crisalidi giudaiche ormai vuote, non avevano interesse a conservarle. Ma le tracce esistono e permettono appunto di parlare di un antico frammento giudaico di Gesù. Frammento che non sempre “quadra” con l’immagine tradizionale che ci siamo fatti di lui.

Se, come pare, il Vangelo di Marco è il più antico sopravvissuto, proprio in esso, all’interno della scena famosissima della cosiddetta “Purificazione del Tempio”, troviamo un particolare di solito trascurato dai commentatori, perché difficile a capirsi. Dopo avere cacciato fuori dal Tempio (si intende il cortile esterno) quanti vendevano e quanti compravano e dopo avere rovesciato i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe, Gesù avrebbe vietato a chiunque di «trasportare recipienti attraverso il tempio». Il complesso del Tempio aveva vari livelli crescenti di purità, più o meno concentrici, a cui diverse persone potevano accedere: prima “i Gentili”, poi “le donne”, poi “gli Ebrei”, quindi “i sacerdoti” e infine solo il sommo sacerdote all’interno di una parte dell’edificio, dove stava la “Presenza” invisibile di Dio, il “Luogo” santissimo dell’Arca antica, perduta e distrutta, della creazione di Adamo, del sacrificio di Isacco. Gesù, come molti Farisei dei suoi tempi in polemica con il presunto lassismo dei sacerdoti, vorrebbe proteggere la purità di tutto il tempio, estendendo all’intero complesso del tempio un “divieto sabbatico” (trasportare recipienti attraverso zone con diversi livelli di purità), che dovrebbe valere sempre. Così egli caccia dall’area templare quanti vendono e quanti comprano, come aveva fatto Neemia per l’intera Gerusalemme di sabato e come, secondo Zaccaria, ci si aspettava sarebbe avvenuto alla fine dei tempi, per garantire la purità di Gerusalemme e d’Israele nel sabato eterno di Dio. E quando scuote e rovescia tavoli e sedie, Gesù compie gesti che la Mishnà (testo legale di tradizione farisaico-rabbinica) ritiene leciti di sabato, poiché è lecito scuotere oggetti per lasciar cadere quanto vi sta sopra, a patto di non volerlo usare (e Gesù certo non raccolse le monete cadute dai tavoli).

Siamo in piena armonia con numerosi passi soprattutto del Vangelo di Matteo, da cui risulta un estremo rispetto di Gesù per il Tempio, per i sacrifici (penso al divieto di giurare o al divieto di contaminare l’offerta – cioè la vittima sacrificale – persino col pensiero) e per la carne degli animali sacrificati, che erano cibo riservato ai sacerdoti, le “cose sante” (termine tecnico ebraico) da “non dare ai cani” (come anche altri maestri di scuola farisaica insegnavano, anche loro in polemica con il presunto lassismo dei sacerdoti).

Abbiamo quindi un Gesù che non solo non attacca manu militari il Tempio, ma vuole proteggerlo, anche in polemica con quanti lo gestiscono al momento, estendendone ed elevandone il livello di purità, sempre nell’ambito di un’osservanza vicina a quella dei Farisei. Anzi, appare “più papalino del papa”, e perciò non viene arrestato. La polizia sacerdotale del Tempio aveva tutti i mezzi per arrestarlo, giacché i Romani avevano sospeso la loro giurisdizione all’interno del Tempio, permettendo addirittura che in caso di sacrilegio il colpevole fosse giustiziato dagli stessi ebrei e non da loro (come sembra poi accadere con Stefano e con Giacomo). Non si arresta, però, un ultraosservante.

Sembra dunque che Gesù, disponibile a non condividere alcune interpretazioni delle norme di osservanza che rendevano difficile la vita nel quotidiano, nel suo insegnamento voglia incrementare la sacertà del luogo in cui cielo e terra si toccano, il monte santo dove Dio è presente. Tale Presenza ferma il tempo e lo rende sacro: è sempre sabato nel Tempio, perché è lo sgabello terreno del trono celeste di Dio, l’inizio, il primo seme del Regno che deve venire ed estendersi a partire da Gerusalemme.

Da questo frammento di un Gesù ebreo, osservante e vicino ai Farisei, che cosa possiamo ricostruire?

Francamente non so se il mondo delle principali Chiese cristiane sia davvero pronto. Ci sono voluti la seconda guerra mondiale, l’olocausto, il senso di colpa della cultura occidentale per arrivare ad accettare l’idea di un Gesù ebreo. Il Gesù “ariano” è stato abbandonato da quasi tutti, ma siamo pronti a dimenticare l’improbabile fanciullo biondo cogli occhi azzurri, a cui eravamo abituati? La Nostra aetate (ottobre del ‘65) ha finalmente sollevato gli Ebrei dalla responsabilità collettiva per l’uccisione di Gesù, ma un antisemitismo inconfessato serpeggia ancora nel mondo cattolico ed è il motivo profondo per cui un Gesù ebreo è così difficile per molti da “trangugiare”. E, se non riusciamo a fare nostro il Gesù ebreo dell’esegesi scientifica contemporanea, troveremo un livello di fede matura per accettarne i frammenti?

Nel confronto con la scienza galileiana, la riflessione teologica ecclesiale è arrivata con secoli di ritardo; non possiamo permettercelo col Gesù della storia. 

Storico della Chiesa e teologo, Edmondo Lupieri vive a Chicago e insegna alla Loyola University.

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